Celebrazione del vescovo Giuseppe con la comunità scolastica del Luigi Sodo

Ecc.za Reverendissima,

caro don Giuseppe, la comunità scolastica del Luigi Sodo, Studenti, Genitori, Docenti, personale amministrativo e collaboratori scolastici, si ritrova per il secondo anno consecutivo a vivere questo momento di preghiera prima della celebrazione del Santo Natale del Signore. Siamo in ascolto della Parola a rivivere l’esperienza della gioia e dello stupore che hanno caratterizzato le figure bibliche di riferimento di questo tempo liturgico dell’Avvento: attendiamo con gioia il compimento della speranza come il profeta Isaia; impariamo a fare tesoro come Maria di tutti gli eventi che capitano in questo mondo scorgendo in essi i segni della presenza di Dio, pervenendo a quell’intelligenza spirituale tipica dei discepoli del Signore: mettere insieme le cose, discernere, per pervenire alla sapienza del cuore.

Domenica scorsa, III di Avvento, la liturgia della Parola ci ha consegnato ancora una volta la figura austera e sobria di Giovanni il Battista. Quel breve brano del Vangelo ci offre un’opportuna consegna che può essere di riflessione educativa per i nostri amati discenti.

Ai sacerdoti e ai leviti che andarono da Giovanni a chiedergli:

«Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?» Cf. Gv 1,6-8.19-28.

Giovanni non è la luce, non è il Cristo, non è Elia. Lui è solo voce, testimone di un altro: è voce di un altro che grida nel deserto. Giovanni Battista, strada d’ingresso della missione di Gesù Cristo, è uno che ha imparato la libertà da se stesso. Il Signore opera in lui in maniera straordinaria – è il più grande tra i nati di donna della storia a detta di Gesù – eppure si presenta in maniera libera: sa essere voce di un altro non sostituendosi a “colui che deve venire”. Sa essere uno che non si prende troppo sul serio.

Il peccato dei progenitori Adamo ed Eva è stato quello di essersi messi al centro della vita, ed essere per questo sprofondati nella tenebra. Giovanni c’insegna ad essere uomini e donne della gioia mettendosi non al centro del mondo, ma mettendosi un pochino da parte, a vedere e scorgere l’altro, a mettersi al proprio posto a servizio di un altro, a decentrarsi per fare spazio ad un altro. Giovanni ci educa pertanto all’amicizia e alla fraternità, ad essere liberi nella dignità unica e irripetibile di sentirci creature di Dio, non egocentriche ed assolute. Quest’epoca in cui l’uomo si è posto come centro e come luce, punto di riferimento assoluto, fa fatica a scoprire che al centro c’è il piccolo bambino Gesù. Giovanni ci dice di fare spazio all’altro (la prossimità) relativizzando noi stessi, di fare spazio a Dio, al suo venire. E’ questa la gioia, la strada per trovare se stessi nella libertà evangelica.

Caro don Giuseppe, ho voluto brevemente con questa semplice riflessione richiamare le tre parole che hai consegnato alla Diocesi (Parola, fraternità, amicizia). Nel creale in maniera educativa, secondo quello che è il particolare ambito dell’Istruzione e dell’Educazione tipico delle Scuole Cattoliche, ti palesiamo con affetto tutta la nostra gratitudine per l’impegno profuso a sostegno della Scuola Cattolica della Diocesi, non solo con il cospicuo impegno economico della Gestione, ma anche con il continuo contributo educativo con cui solleciti ad attenzionare la comunità scolastica sui temi della Giustizia e della Pace, della Fraternità e dell’Amicizia. La tua parola amorevole ed autorevole, il tuo saperti vicino e disponibile, il tuo incoraggiarci ad uscire da noi stessi, sono per noi il segno tangibile e luminoso di queste tre attenzioni (Parola, Amicizia, Fraternità).

Quella della nostra Scuola è una lunga storia, fatta di incontri, di persone, di professioni, ognuno è stato ed è un portatore di novità e di ricchezza. La scuola è parte della nostra storia, perché luogo di formazione e di crescita che ci accompagna in un tratto del cammino (sia per i ragazzi che per i genitori e per gli stessi operatori scolastici a vario titolo). La Scuola, come la storia non è il frutto dell’eterno ripetersi ciclico delle cose, è semmai – passati i termini disciplinari – il “vettore” che ci orienta verso l’escaton (il fine ultimo), noi da protagonisti di questa vicenda storica che stiamo vivendo, siamo chiamati nella gioia ad essere come dei tedofori che sapranno poi passare ad altri il testimone di un messaggio di luce e di speranza.

Grazie per la condivisione di questo momento e per la fraternità che ne conseguirà.

don Alfonso Luigi Salomone