Meditazione del vescovo Giuseppe sul tempo presente

17-02-2024

 

“Come cantare i canti del Signore in terra straniera?” – dice il Salmo dell’esiliato che ha perso la pace e la terra. Come vivere in tempo di guerra? Sembra che le persone comuni non possano fare niente. Solo assistere o subire. Le sorti sono nelle mani di pochi signori della guerra. La maggioranza si sente impotente di fronte ad aggressioni, attacchi terroristici, bombardamenti, crudeltà, conflitti. Sì, perché in questo tempo le guerre non finiscono: si eternizzano, sfuggendo di mano a chi le ha iniziate. La guerra è un fuoco appiccato: non si ferma facile. Da 15 anni si combatte in Siria, da due anni si combatte in Ucraina.  La guerra in Terra Santa ci ha stupito per la brutalità. Tanti fanno la guerra.

Sono 59 le guerre. Che posso fare? Niente. Quindi pensa a te stesso! L’impotenza si trasforma in  indifferenza. L’indifferenza è giustificata dal fatto che non si può far niente e anche si capisce poco di situazioni intricate.

Dall’impotenza all’indifferenza. Pensare a sé e salvare se stessi.

C’è una via d’uscita che consola e libera dalla depressione: essere consumatore di prodotti e, alla fine per alcuni, accumulatore di denaro. Il rito del consumo è festa: non incidere in niente, ma comprare. Comprare e non cambiare. Acquisto, ma non conto. Ma acquistare fa sentire vivi. Avere e non essere. Essere nessuno ma avere!

Noi cristiani  potremmo essere considerati fuori tempo. Perché parliamo di pace. La pace è diventato un discorso impopolare e impossibile. Siamo fuori tempo, perché crediamo nella famiglia, nella bellezza di una comunità parrocchiale, sostenitori del noi, non di un io capriccioso e consumatore. Tante cose che la chiesa vive e propone sembrano inattuali: il pacifismo, il disarmo, l’amicizia, l’ecumenismo, il dialogo tra religioni. Anche la solidarietà. In Italia si riduce il volontariato: 900.000 in meno, il 15,7%.

La tentazione fa cedere uno per uno al protagonismo: io, io, meno noi.

L’inattualità è figlia della nostra fede. La Chiesa ci ha comunicato la fede: il mondo oggi non è abbandonato a destini confusi e a un futuro di male. La Chiesa  ci ha mostrato la presenza di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). La Chiesa è la povera casa dove il Signore è presente, ci raccoglie, ci apre alla speranza. Gesù non disdegnava le case degli uomini, come quella di Pietro o di Lazzaro.

La grazia, è il dono della presenza amica di Gesù. Egli ha detto: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.” (Gv 3, 16-17) Dio non abbandona il mondo. Dio soffre con noi. Gesù non è fuggito da Gerusalemme per salvarsi, nonostante gli abbiano gridato fino alla morte in croce il vangelo di questo mondo: “Salva te stesso!”. Gesù è Dio che salva! Gesù non abbandona i discepoli, nonostante la pietra sulla tomba, ma è risorto ed è apparso loro a Gerusalemme, Emmaus e in Galilea.

Il suo sogno si trasmette di generazione in generazione: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,9). I discepoli non sono mai abbandonati, in un’alleanza d’amore, segnata dal suo sangue versato per tutti. Si legge alla fine del Vangelo di Marco (16,20): “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano”. La compagnia del Signore è lo Spirito Santo, che rende la vita una passione per Dio, il Vangelo, gli uomini. La passione è dono del Signore cui lasciarsi andare: “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è dato” (Rom 5,5). Questo è Paolo, l’apostolo della passione per il Vangelo e i popoli del mondo.

L’inattualità della Chiesa è profezia. Geremia vede la gente arrabbiata per la sua profezia: “Così la parola del Signore è diventata per me, motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno” (10,8). Il conformismo lo tentò: perché agitarsi per gli altri? “Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome” (ivi, 9). Ma aveva una passione: “nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (ivi, 9). Il cuore di Geremia non è vuoto come i suoi contemporanei. Attesta che i credenti sono alleati di Dio e non abbandonati.

Isaia dice: “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la tua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada” (62,1). I profeti non sono fuori tempo, ma parlano del futuro: proiettati nel futuro – grazie alla Parola che nutre la vita e gli ideali. Veniamo da lontano e andiamo verso il futuro di pace. La storia non è prigioniera dell’oggi, ma va verso il regno che Dio ci dona. Il regno è già in mezzo a noi: Gesù lo realizza in sé.

Il male si vince con il bene. Con l’odio, la guerra, i muri, le armi, non si costruisce nulla. Paolo insegna: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rom 12,21). Lo Spirito soffia nella storia. Gesù agisce e non abbandona l’umanità anche nelle situazioni tragiche. Nessun popolo, nessuna comunità religiosa, è abbandonata al male.

Non facciamoci intimidire dalle difficoltà! Non facciamoci intimidire da chi considera la fede e la Chiesa inattuali! Non facciamoci intimidire dalla paura che incutono le montagne di difficoltà! Il problema non è riorganizzarci ma appassionarsi.

C’è una grande opera: seminare pace per svuotare la cultura della guerra, fermare i conflitti, avvicinare i lontani, guarire i feriti, soccorrere gli abbandonati, ritessere il tessuto umano lacerato.

Questa è la sfida: costruire una vicinanza spirituale, che è umana e religiosa: persona dopo persona, gruppo dopo gruppo, ambiente dopo ambiente. La Chiesa è tessitrice di legami e dialogo. E’ la Chiesa  della Fratelli tutti!

Abbiamo iniziato, chiedendoci: “Come cantare i canti del Signore in terra straniera?”.  Come vivere  in guerra? Gesù, nel Vangelo di Luca, parla ai discepoli di momenti e situazioni difficili, ma precisa: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (21,28). Alzatevi: bisogna lottare. Levate il capo: non c’è da aver paura dell’oggi o dell’inattualità. Il tempo della liberazione è vicino. La liberazione e la pace non sono solo nel futuro, ma già in mezzo a noi.

La pace è Gesù: “per mezzo di lui, possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo spirito” (Ef 2,18). Non è un fatto psicologico, ma il dono della grazia di Dio. Preghiamo il Signore di proteggere la Chiesa  dal male e di darci la vera pace nel cuore. Ci avviciniamo alla Quaresima. Davvero preghiamo con fede e insistenza.

E’ vero la Chiesa è debole. Ma, abbiamo ricevuto una forza con cui lottare appassionati. Gesù ci invita a pregare: “Voi avrete tribolazioni nel mondo: ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo” (ivi, 33).

+ Giuseppe, vescovo