RIFLESSIONE PER QUESTO TEMPO

A tutti i sacerdoti della diocesi
11-03-2019

Carissimi,
sono ormai imminenti le elezioni amministrative in diversi paesi della nostra diocesi. Colgo l’occasione per riprendere alcuni aspetti importanti della missione che condividiamo con l’intero popolo di Dio: siamo tutti chiamati a portare frutto nella carità per la vita del mondo! Vocazione alla missionarietà è anche vocazione alla povertà. La comunione si attua nella condivisione, nel condividere la vita dei poveri: questo vale per i sacerdoti e anche per le comunità parrocchiali, ci ricorda don Tonino Bello! So che molti di voi hanno particolarmente cura di questo sguardo che desidero incoraggiare e sostenere. La carità traduce sul piano sociale la solidarietà come atteggiamento morale e sociale. La Sollicitudo rei socialis definisce la solidarietà come determinazione interiore e impegno fermo e perseverante per il bene comune, in quanto tutti siamo responsabili di tutti. Abbiamo bisogno di riscoprire la dimensione comunitaria all’interno delle nostre parrocchie, la capacità di cura, di accoglienza, di partecipazione al dolore e al disagio degli altri. La dimensione sociale non è come un’aggiunta esterna alla nostra vita: in quanto persone, la nostra vita è già sociale perché di fatto viviamo con altri. Allo stesso modo, la politica ci costituisce. Essa non è soltanto l’attività specifica di alcuni addetti ai lavori, ma è la vita concreta dei nostri paesi, la nostra socialità, il nostro modo di pensare, di scegliere, di formare, di accorgerci di quello che vivono i giovani, il nostro modo di fare cultura, il nostro modo di essere Chiesa qui e ora, di assumerci le nostre responsabilità!
I criteri, le finalità, gli stili, gli orientamenti che assumiamo concretamente sono gli stessi che strutturano le relazioni e le mentalità. Anche il modo in cui distribuiamo e viviamo i ruoli all’interno della Chiesa, i modi in cui progettiamo (siamo preoccupati più del programmare o del camminare insieme?), esprimono un modo di vivere la cura del sociale.
La complessità, che caratterizza il tempo presente, attraversa la società, attraversa la Chiesa stessa, attraversa la vita concreta di tanti giovani, di tante famiglie. La fuga nel privato di un’etica fortemente individualistica tocca anche la vita di molti operatori pastorali e anche di noi sacerdoti. «La vita spirituale si confonde con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione» (Evangelii gaudium, 78). Questa problematica dobbiamo assumercela come Chiesa. Dobbiamo chiederci e dobbiamo chiedere alle istituzioni: Che cosa vuol dire pensare al bene comune? Al bene comune “di chi”?
Il sacerdote di fatto fa politica perché il suo primo servizio è alle coscienze, nell’ascolto, nel dialogo, nell’accompagnare la libera responsabilità dell’altro. Fa politica aiutando la maturazione della responsabilità sociale e politica di tutti. Altre forme di attivismo politico non gli appartengono. Per questo motivo è chiesto al sacerdote di vivere con particolare cura, prudenza, verità e affidamento a Dio il luogo del confessionale, delle omelie, della formazione. Cifra dell’equilibrio e del fervore della cura è l’amore disinteressato e gratuito per la libertà delle persone, per la verità del loro cammino, per la partecipazione responsabile alla vita della comunità.
Il sacerdote in una parrocchia è di tutti e per tutti, è al servizio di tutti, nessuno escluso. L’unica preferenza che gli è chiesto di avere è per i poveri ma anche questo nel desiderio di essere per tutti sprone all’impegno condiviso per il bene comune, «per tradurlo concretamente in categorie di azione, di partecipazione e di impegno. Tutto questo, senza confondersi con atteggiamenti tattici né col servizio di un sistema politico» (Evangelii nuntiandi, 38).
I sacerdoti sono chiamati a valorizzare gli spazi di dialogo con tutti, soprattutto con chi si spende nell’impegno politico e sociale, dona il tempo e le energie, le competenze, per la ricerca condivisa del bene e vive spesso il travaglio della coscienza critica. «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. (…) Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare» (Deus caritas est, 28).
Il sacerdote è colui che è chiamato a custodire la realtà parrocchiale che gli è affidata, deve avere a cuore l’unità, la comunione, non le sue convinzioni personali. Custodire secondo i criteri del Vangelo non vuol dire conservare ma lasciare che la comunità sia feconda, generi i suoi frutti di comunione, di giustizia, di pace, di servizio all’umano, di condivisione della vita e della fede. Non sarà cosa da poco che un sacerdote e la sua comunità siano capaci di leggere vie di solidarietà in progetti, finalità, testimonianze di persone di buona volontà, oneste, che non appartengono al recinto della Chiesa ma che amano il prossimo, che attuano la comunione, irradiano il volto di Cristo e la sua grazia pur senza saperlo. La vita politica ha bisogno di questo riconoscimento. La comunità ecclesiale diventa in questo modo fermento di comunione nel contesto territoriale, nella storia, nell’orizzonte più ampio del mondo intero.
Il sacerdote è presenza che, con le sue scelte, il suo sguardo, la sua preghiera, nella comunità ricorda il fine del bene comune come senso della vita, la condivisione dell’esistenza come fondamento, la reciprocità dei carismi e l’uguaglianza sociale come criteri concreti per incarnare tutto questo. In questo senso dovrebbe promuovere la cura del dialogo e del confronto e richiamare costantemente l’attenzione a un ascolto reciproco capace di generare l’esperienza di un continuo rinnovamento interiore delle coscienze. La reciprocità tra ascolto e dialogo consente la verifica dei progetti e delle finalità, dei percorsi che portiamo o vorremmo portare avanti nelle nostre comunità. Il dialogo veramente tale è preceduto sempre dall’ascolto e non maschera i conflitti ma li fa diventare anelli di un nuovo processo.
All’inizio della sua vita pubblica, Gesù nel deserto vive, senza accoglierle, le tentazioni generate dall’efficacia del peccato presente nella storia, che inducono a usare la propria condizione personale a proprio vantaggio, a privilegiare sé stessi e la propria parte, a piegarsi a strutture di potere, ad accettare insomma le vie apparentemente necessarie per garantire l’efficacia della propria missione e rispondere alle attese del popolo. Gesù condivide l’umanità degli uomini scegliendo fino in fondo la dignità di una libertà capace di farsi responsabile del bene perché è bene, non per altri fini, capace di accogliere l’altro perché è l’altro, non perché può tornarmi utile. La tentazione di un’efficacia vincente in termini mondani, in termini di soluzioni e di risultati immediati, può toccare anche il nostro modo di fare pastorale. Ma quello che continua a esserci affidato, come sacerdoti e come comunità ecclesiale, è il senso della condivisione e, in questo, l’impegno per la formazione delle coscienze! Allora la via è ben tracciata dallo stesso Gesù, ed è lui che siamo chiamati a seguire in questa storia. L’onestà avrà dei costi… ma è sulla croce che un pagano ha potuto riconoscere nel volto di Cristo il volto dell’uomo! L’onestà di coscienza è lo spazio reale della vita politica. «Insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci “a portare i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2)» (Evangelii gaudium, 67).
Carissimi fratelli miei, aiutiamoci sempre ed esortiamoci vicendevolmente ad avere in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, gli stessi criteri della sua esistenza concreta. «Nel nostro ministero, quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare! Quante relazioni ferite! In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello. (…) Come Mosé, il presbitero è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un “devoto”, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco» (Discorso del Santo Padre Francesco alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016). La logica delle beatitudini attraversi profondamente la nostra vita di sacerdoti, di credenti, di cittadini della nostra terra e di questo mondo che Dio continua ad amare e che ancora nuovamente, insieme, ci affida.

† don Mimmo, vostro Vescovo