LA PACE VUOLE UN LINGUAGGIO SEMPLICE – Lettera del Vescovo Mimmo per la III Domenica di Avvento, 16 dicembre 2018

13-12-2018

 

«La pace vuole un linguaggio semplice, senza riguardi di persone, senza retorica, senza crociate. “Pace a voi!” “Sia pace a questa casa!” “Vi do la mia pace!” “Rimanete nella mia pace!” E si mettevano sulla strada, a due a due, senza borsa, senza bastone, senza niente. La gente li scherniva, quasi fossero dei pazzi; qualcuno però si fermava, mormorando: E se avessero ragione? Ma dietro non avevano nessuno e niente. Non erano attaccati a nessuno, a niente: essi erano attaccati all’uomo, alla sua anima, alle sue tribolazioni, poiché l’uomo era entrato nel loro cuore assieme al Figlio dell’uomo, col nome di fratello. Così è incominciato il Vangelo di pace».

Primo Mazzolari


Amati fratelli sacerdoti,

l’invito della Parola, in questa terza domenica di Avvento, è rivolto a tutti: “Rallegriamoci nel Signore, sempre”! Lasciamo che esso risuoni fortemente nel nostro cuore. Desidero accoglierlo con voi quale parola di speranza, atteggiamento profondo del cuore, perché insieme possiamo andare incontro al Signore che viene, annunciarlo con fede, con la forza di parole affidate, di vite toccate e sanate dalla Sua misericordia, dalla Sua cura, con la forza di passi condivisi. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (Evangelii gaudium, 1).

Il popolo è in attesa ed è questa attesa che il Signore rivela e condivide con noi. La gioia dell’incontro con Lui è la sola fonte che rinnova e rigenera, che spinge tale attesa a trasformarsi in coraggio, accoglienza, grido: “Preparate la via del Signore”!

Siamo chiamati a condividere la speranza della nostra vocazione, a unire i nostri passi a quelli della nostra gente, a comunicare la possibilità di seguire il Signore, la bellezza di questo dono, l’importanza di assumerlo personalmente e viverlo insieme nella storia. Questa rinnovata consapevolezza diventa vero annuncio della gioia: “Non temere Gerusalemme… il Signore tuo Dio è in mezzo a te, esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te” (cf Sof 3,16-18).

Le solitudini che abitano la vita della nostra gente, l’esperienza dell’abbandono, della povertà, dell’emarginazione, dell’ignoranza, del pregiudizio, dell’ingiustizia sociale, attendono una parola di pace, di perdono, di benedizione. Quanti deserti ci portiamo dentro anche noi. Quelli delle nostre inconsistenze e contraddizioni, dei fallimenti, degli scoraggiamenti, del pessimismo, dell’incapacità di amare tutti come il Signore ha amato per primo noi. L’intreccio della nostra vita con quella del popolo a noi affidato diventa promessa di pace, di giustizia: “misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”! In questa reciprocità donata e vissuta nella fede, nel rapporto con Dio come ricerca della comunione fraterna quale via di salvezza nella storia, germoglia oggi un virgulto nuovo di cui possiamo accorgerci!

Vorrei poter raccogliere le vostre preoccupazioni, le ansie pastorali, le stanchezze, le insoddisfazioni e dirvi: non preoccupatevi! Il Signore è vicino! Guardate a Lui e camminiamo insieme davanti a Lui, andiamogli incontro! Con le nostre fragilità e debolezze, con la nostra vita consegnata a Lui per il bene della nostra gente. Lasciamo che nei nostri occhi si accenda ancora, oggi, il fuoco della speranza, della misericordia, della gratuità. Lasciamoci correggere dal Signore, è Lui che ci chiama e ci manda.

Abbiate sempre maggiore cura di questa spiritualità “incarnata”, la spiritualità del discepolo che condivide con il Signore il giorno e la notte, che porta con sé il dolce peso della verifica della propria vita, dei passi concreti, della cura della propria vocazione, della cura della fraternità sacerdotale e con tutti. Accompagnatevi reciprocamente in questo pregare e affidare! La vostra affabilità sia nota prima di tutto tra voi, vi permetta di condividere e accogliere i pesi gli uni degli altri. Stimatevi vicendevolmente. Non stancatevi mai di tornare al Signore, di parlare con Lui delle vostre preoccupazioni, nella sincerità dell’ascolto della sua Parola, del suo silenzio. Tutta la vostra vita accolga il Signore che viene insieme alle persone che vi sono affidate! Amatele quanto amate Lui! Lasciate che il Signore ne abbia cura attraverso voi!

Anche il vostro riposo sia abitato dalla gioia di una vita che trova senso e compimento solo nella condivisione dell’esistenza.

«Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. (…) Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. (…) Questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito» (Evangelii gaudium, 2).

Non è uno sforzo di volontà a spingere le persone a farsi battezzare da Giovanni Battista ma l’aver riconosciuto nelle sue parole, nella sua vita, una via possibile anche per loro, vicina, desiderabile, tesa al compimento vero della vita, alla beatitudine di una gioia duratura, alla comunione come fondamento e luce per ogni scelta: beati i poveri in spirito, i puri di cuore, essi vedranno Dio! Lo vedranno nel volto di un uomo, del Figlio, lo vedranno nella vita vissuta da fratelli.

Giovanni Battista, non è la persona dura, tutta d’un pezzo, che spesso ci immaginiamo, lontana dalle nostre vite, irraggiungibile. No, Giovanni è l’amico dello sposo! Guardato da Dio, guardato dalla tenerezza del Padre: questo sguardo è diventato in Lui capacità di vedere e capire le persone, di accogliere le loro domande, la loro consapevolezza di poter cambiare vita, orientarla al bene, alla comunione. Giovanni Battista è più di un profeta, tra i nati di donna non vi è uno più grande di Lui, dice Gesù, eppure il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui! (cf Mt 11,9-11). Non è uno che ha accumulato cariche, riconoscimenti, punti, onori, non ha fatto carriera! La voce profetica nella storia è così, è fermento, permette processi di riconoscimento, tende a non imporsi ma a irrigare, seminare, curare e poi scomparire. Egli sa di non essere degno nemmeno di chinarsi davanti a Gesù per sciogliere il legaccio dei suoi sandali. È la cura dell’ascolto di Dio e della sua gente che permette a Giovanni di riconoscere la potenza della Parola, la sua efficacia. È questa cura che gli permette di riconoscere il Signore, di lasciare che sia Lui a far crescere il desiderio di seguirlo. È Dio che chiama, corregge, consola, sostiene, perdona i suoi figli, li prende in braccio, nel nostro accorgerci della vita dell’altro, del povero, nel nostro accostarci alla vita degli uomini, delle donne, dei bambini, dei giovani, dei malati, di tutti, pensando a loro, condividendo con loro il cammino. La Parola è viva sulla bocca di Giovanni, è buona novella nel suo farsi prossimo. Diventa parola che sveglia, provoca, conduce, denuncia il male e l’oppressione, infonde fiducia nella coscienza capace di ravvedersi, capace di riconoscere il Signore.

Quanto ci è ancora difficile credere in un Dio che si incarna per amore, in questa storia, che sceglie questa umanità, che sceglie voi, che sceglie me! Quanto è difficile credere in un Dio che si spoglia di tutto quello che non è umano. Quanto è difficile credere in un Dio che si fa via, che salva così. Spesso siamo da un’altra parte con la mente e con il cuore, a curare i nostri progetti, attese, pretese. Ad attendere Dio da un’altra parte. Quasi che Dio è Dio se fa quello che gli diciamo noi che deve fare! Ma la Parola continua ancora a scendere e a irrigare con il suo perdono, a farci umili, accoglienti. Noi ne siamo testimoni!

“Che cosa dobbiamo fare?” Questa domanda è il segno concreto della consapevolezza e della libertà che desiderano farsi responsabilità. È il movimento interiore di una conversione reale, personale, desiderio e non velleità. È il segno di una fiducia posta nell’ascolto dell’altro, della vita di coscienza affidata alla cura dell’altro. Giovanni Battista ci spinge a essere critici anche verso noi stessi, a interrogarci sull’amore. La domanda sull’amore è la domanda sul discernimento, sulla cura del discernimento nostro e sulla cura che accompagna il discernimento dell’altro. La via che il Signore ci chiede di preparare è questa: amare e accompagnare la vita della nostra gente. Averne cura nel Signore, perché possiamo essere pronti a riconoscere e adorare il Dio Bambino che rinasce nella vita delle persone che il Padre stesso ci affida.

Il Signore non abbandona, non tarda. Giovanni grida per ciascuno, per tutti, non per se stesso. La gioia da annunciare ha sempre i colori di una cura, di una nascita: il volto roseo di un bambino, il pallore di una donna che ha messo al mondo un figlio, gli occhi trasparenti di un uomo che continua a vegliare. Ha gli odori della notte e il profumo della terra, ha la luce tremolante delle stelle e dei primi chiarori dell’alba, ha il suono di vagiti intrecciati all’eco di pecore belanti e del risveglio di pastori, trasformato in attesa. Ha il volto nostro e della nostra gente, ha il sapore della speranza! Quanti sperano nel Signore riacquistino forza! Non temere, tu che condividi l’ascolto e le ansie per questa terra, per questa gente, per questa chiesa: tu gioirai! Ha cura di te il Signore, ti tiene per la destra e ti viene in aiuto. Gioirai della fatica. Il popolo gioirà nel Signore. Se puoi, alza gli occhi e contempla. Lascia che il Signore stesso dica di te chi sei, chi sei per Lui, come ha fatto con Giovanni Battista. È la gioia più grande della vita. Vedrai i poveri, ti accorgerai dei più deboli, vedrai agnellini e pecore madri. Vedrai come il Signore guarda il suo popolo, come lo chiama. Vedrai il regno presente venire nel rialzarsi di chi continua a credere, sperare, amare. Vedrai la via. Preparata e da preparare insieme. Vedrai il Signore che continua a operare e a fidarsi dei suoi figli. Vedrai e amerai ancora, con Lui.

Abbraccio ciascuno di voi e vi benedico, nel desiderio forte di poterci dire presto gli uni gli altri: benedetta la tua vita, perché il Signore è con te, ti renda saldo nell’attesa della sua venuta! Benedetti tutti quelli che attraverso te saranno guardati dal Suo amore! Benedetti tutti i luoghi della nostra terra, soprattutto gli angoli bui e dimenticati, perché sono i luoghi in cui il Signore già ci attende, negli occhi di chi spera, per essere sale, luce, calore, veglia per l’altro! E benedetto il Signore che consola il suo popolo attendendo con noi: “Consolate, consolate il mio popolo!”. La sua gioia si faccia in noi memoria grata della sua chiamata a seguirlo, a essere con Lui, a essere suoi compagni per sempre, per grazia!

† don Mimmo, vostro Vescovo