STRADA E MAGNIFICAT, FATICA E AMORE – Lettera del Vescovo Mimmo per la IV Domenica di Avvento, 23 dicembre 2018

19-12-2018

 

Cara Maria,

è di nuovo Natale e non ti nascondo di essere in difficoltà. Non capisco la storia, mi sfugge il nesso tra quello che ho attorno ed il tuo Natale, il tuo avvento, la tua attesa. Mi ritrovo qui a pensare a te e sono frastornato.

Quanto tempo è passato da quel giorno in cui l’angelo venne a parlarti? E cosa accadde allora? Mi serve capire come può cambiare la vita l’ascolto di un angelo vero, che parla con la voce di Dio, in questo Natale di angeli di ceramica sugli scaffali dei negozi… Che cosa si è compiuto in te attraverso quel tuo “eccomi”? Quale rivoluzione dell’anima ha dato vita all’esplosione di gioia nel tuo “magnificat”?

Com’è difficile per me capirti, piccola donna di Nazareth, da quest’altro lato del mondo e della storia! E che differenza di potere tra me, maschio, bianco, benestante, istruito, ben integrato in un mondo che ha già intrapreso la strada del diritto e della giustizia e te, donna-bambina di un posto in cui alle donne non viene riconosciuta la dignità, povera, figlia d’un villaggio perduto in una storia lontana e dura. Fa male già questo, riconoscere la nostra differenza di potere, guardare il mio peccato originale d’ingiustizia, d’essere nato dalla parte sbagliata del benessere. Forse per questo ho bisogno di specchiare il mio senso in te, di cercare risposte in una donna così diversa e lontana nel tempo.

Perché rileggo oggi il tuo canto di lode e speranza, il tuo magnificat e le mie gambe troppo pesanti mi impediscono di correrti dietro in questo sogno, di coglierne a pieno il significato di libertà e cambiamento.

Hai cantato che Dio ha spiegato la potenza del suo braccio, che ha disperso i superbi, che ha rovesciato i potenti dai troni, che ha innalzato gli umili, che addirittura ha ricolmato di beni gli affamati rimandando i ricchi a mani vuote… Ma cosa significa? Perché non è così?

Qui, oggi, sono i superbi che trionfano, i potenti che spadroneggiano, mentre proprio gli umili sono calpestati e gli affamati si moltiplicano mentre i ricchi si arricchiscono sempre più…

Eppure non riesco a pensare che quel canto sia solo un’illusione, la poesia anarchica di una giovane piena di sogni e speranze ma inconsapevole delle brutture del mondo, della cattiveria della storia…

Non posso limitarmi a credere che sia un eden immaginato, lontano dalla tua, dalla mia realtà. Credo piuttosto che mi manchi lo sguardo giusto per guardare la storia dalla tua stessa prospettiva.

E allora cerco di comprendere, osservo da lontano la tua storia. Quanto cammino, quanta strada e quanta polvere sui tuoi piedi, donna del partire, del salire, della fatica. Quante volte nei vangeli si parla di te, di questa ragazza, donna poi, che si mette in marcia, spesso “salendo”, verso un incontro o una città, una gioia o un dolore, sempre in strada, sempre faticando.

Da questa fatica, da questa scomodità, sgorga il tuo canto di lode, dall’incontro di due donne speciali, due portatrici di grande speranza. Il frutto della fatica, della strada si fa subito comunità, si fa subito Chiesa. La gioia dell’incontro poi, si fa lode, magnificat, canto di speranza e rivoluzione. È in questa strada dello Spirito, in questo percorso che si svolge tra la fatica ed il canto di lode, che voglio restare, è su questi passi che voglio cercare le mie risposte.

Donna bambina, in questo Natale, ti chiedo un regalo, per me, per le donne e gli uomini del mio tempo e del mio mondo: donaci il tuo sguardo, il senso delle cose, il cuore capace di cogliere ancora la speranza…

Qui, oggi, è tempo di deserto, deserto dei valori, deserto delle relazioni, aridità. Lo stesso deserto in cui da sempre si smarrisce il senso, si costruiscono gli idoli ma, allo stesso tempo, se capaci, si scopre l’essenziale, ci si spoglia degli orpelli inutili, si ascolta la voce di Dio. Dio, che dice al suo popolo, alla sua sposa: “ti attirerò a me, ti condurrò nel deserto e lì parlerò al tuo cuore”. Da questo stesso deserto tu ne sei uscita piena. “Benedetta tu fra le donne”, è il saluto che ti accoglie dopo questo cammino, è il riconoscimento di una vita abitata dal senso di Dio, di un’umanità arricchita, fertile e vivificatrice. Da questa strada la tua parola è divenuta profetica, la tua voce si è fatta strumento della Parola di un Dio che hai scelto di accogliere. La tua povertà si è fatta tesoro, il tuo silenzio è divenuto il grembo di una Saggezza infinita. Ed è già una risposta: il tuo magnificat acquista senso e sostanza solo per chi si fa spogliare dai paraocchi di una ragione miope, dalle nostre letture intellettuali su un tempo che non sappiamo cogliere nel suo scorrere, che ci è dato di osservare solo a piccoli tratti, di cui ci sfuggono il divenire e la complessità.

E ancora mi accorgo che il tuo canto è innanzitutto la testimonianza consapevole di una donna che ha sentito, nel proprio cuore, la potenza di Dio; che ha visto la propria vita, la propria quotidianità, modificata per sempre, salvata ed impreziosita dalla mano di un Dio delicato e rispettoso, che chiede il permesso, di un Dio grande che entra con pienezza nella storia di chi si lascia raggiungere. Solo da questa prospettiva è possibile vedere una storia diversa, solo attraverso l’esperienza personale di un Dio che riempie la propria vita è possibile guardare a tutto con gli occhi consapevoli della Speranza, con gli occhi di Dio. Quello che può sembrare utopia è solo la profezia di chi ha toccato con mano.

E allora la domanda non è quando e come Dio abbatterà i potenti dai troni, quando e come rimanderà i ricchi a mani vuote, ma quando e come ha chiesto il permesso di entrare nella mia vita, mi ha chiesto il permesso per fare la mia parte nella costruzione del Regno, di un Regno che ha tempi diversi dalla vita di un uomo, di un Regno che non so immaginare come un palazzo sontuoso, ma come una strada…

Per questo cerco nella strada il senso, nella tua strada, Maria, che si snoda tra la fatica e il magnificat. Per seguirla questa strada ed andare a cercare le risposte lì, dove sono sempre state. Nelle prime pagine del Libro è racchiusa, in modo delicatissimo, la pedagogia di Dio: “con il sudore del tuo volto mangerai il pane”. È il dono della fatica, dono e non punizione, offerta di un padre che subito dopo ricopre di pelli e di vesti, protegge e scalda, dichiarando il suo amore e la sua fedeltà. Fatica ed amore, ecco la risposta. Strada e magnificat. E tra la strada e la lode, come momento imprescindibile, l’incontro con l’altro. Perché la fame di giustizia che viene dal mondo può trovare senso solo nell’incontro, in una realizzazione collettiva, in una rinascita di comunità dove riacquistano valore il limite, la responsabilità e la fatica.

Il limite che restituisce un senso ai desideri, che riempie di significato i sogni facendoli incontrare con la realtà. La responsabilità che è soprattutto prendersi cura, sporcarsi le mani, mettersi in gioco. Che è pagare di tasca propria. La fatica, come sulle tue strade, che spinge ad andare avanti nonostante la stanchezza, a crederci ancora quando è più difficile, ad amare come se fosse un cammino in salita, come se fosse il cammino di un figlio con una croce di legno addosso e l’amore per l’uomo negli occhi. Nella lentezza della strada, la lentezza dell’avvento, dell’attesa. “Di generazione in generazione”, come dire nel lungo scorrere di un tempo che mi trascende ma che è carico di senso.

Regalaci questo, madre, il tuo si, il tuo farti casa e strada. Insegnaci a lasciarci abitare dall’infinito, ad assaporare la tenerezza e la speranza, a poter dire, con la consapevolezza dolce di chi si sente amato: è Natale, l’anima mia magnifica il Signore.

† don Mimmo, tuo vescovo