IL CUORE DEL PADRE – Lettera del Vescovo Mimmo per la IV Domenica di Quaresima, 31 marzo 2019

29-03-2019

Padre,

in ginocchio davanti a te, provo a tenere gli occhi ed il cuore fissi su di te mentre io stesso mi scopro fissato, amato da te.

Penso a te, al tuo cuore di Padre, un cuore custode di ogni uomo e ogni donna, un cuore pieno di amore che mai riuscirò a comprendere fino in fondo.

È un amore, il tuo, che avvolge e sconvolge; un amore che non condanna, che ci lascia perfino sbagliare e poi ci attende, dopo ogni sbaglio, senza neppure chiederci conto del nostro tradimento; un amore che fa festa ogni volta che un uomo si lascia salvare.

Ripenso a questo amore, al tuo cuore di Padre, mentre provo ad immaginare la scena di quel figlio minore che ti chiede la sua parte di beni per poter andare via, lontano dalla casa, dai luoghi che hanno fatto la sua vita, lontano da te. Provo ad immaginare quali sentimenti ti hanno attraversato in quel momento…e mi sembra di sentire la tua voce…

Mi sentii spezzare il cuore… restai senza parole… non potevo crederci… sembrava un servo (in casa mia neanche i servi parlano così…) che chiedeva che assolvessi in fretta a un suo diritto.

Ma quello, sai, non era un servo, quello era mio figlio, il figlio piccolo, desiderato, amato…  A quel figlio io non volevo dare solo cose… ma me stesso, la mia cura, la custodia, un approdo sicuro… e invece volle andar via! Che dolore vederlo raccattare le cose, i soldi così velocemente e avidamente.

Non lo riconoscevo più…

Com’è stata la tua vita dopo quel giorno?

Nulla era più come prima, come quando ti muore un figlio.

Il sole perde splendore, i fiori scoloriscono, il cuore si fa pesante e certi giorni sanguina, fai fatica ad accennare un sorriso perché la nostalgia ti divora…

Quella casa per me senza di lui non era più la stessa, anche se tutto in fondo era uguale e gli altri facevano le cose di sempre, ognuno preso dalle sue occupazioni come se nulla fosse accaduto per loro.

Ma per me ogni giornata cominciava e finiva con lo stesso tormento…mi chiedevo: sarà ancora vivo? Avrà una casa, del cibo, dei vestiti? Si ricorderà di me, della sua casa? E il suo volto mi si imprimeva davanti e la sua voce mi risuonava nelle orecchie come i passi frettolosi del suo andar via e scomparire nella nebbia.

Quella scena mille e mille volte rievocata… vederlo svanire all’orizzonte… che dolore!

Ogni giorno mi riaffacciavo sull’uscio di casa con in cuore la speranza di rivederlo comparire, ma passavano i giorni e si assommavano… mesi… anni…”

E poi cosa è accaduto?

… è accaduta una cosa bellissima, ancora mi vengono le lacrime a raccontarlo! Un giorno quando ormai vecchio e stanco mi trascinavo sull’uscio, una giornata di pioggia funesta si trasformò in un attimo in una giornata di sole!

Credevo in un miraggio, in uno scherzo dell’età… invece era proprio lui, mio figlio! Non potevo crederci, tanto grande era la gioia, mi venne in corpo un’energia grandissima e incominciai a correre come un ragazzino, lui invece arrancava lentamente… quando lo raggiunsi me lo abbracciai con una forza… provò a balbettare qualcosa, ma io sentivo solo gioia per quel figlio risorto. Lo potevo ancora toccare, guardare, abbracciare, baciare, una, mille volte!

E fu festa, subito grande festa!”

Ecco, padre, mi chiedo come Gesù ha raccontato questa parabola, perché l’ha inventata. Sono curioso di sapere qual era il tono della sua voce mentre la raccontava, chi c’era ad ascoltarlo, con quali occhi guardava a quei “moralisti”, quella gente pronta ad indignarsi, a strapparsi le vesti, a puntare il dito contro e mai a comprendere, ad accogliere, a cambiare il proprio cuore. Sono curioso di sapere se mentre la raccontava pensava a te, allo strazio interiore che ti abitava, alla tua tristezza, alle lacrime che in segreto scorrevano dal tuo cuore ferito. Sono curioso di sapere chi fosse quel ragazzo, quel figlio minore che ti ha portato via un pezzo di te all’improvviso, senza nessuna spiegazione, solo con la fermezza e la freddezza di chi non vuole più avere nulla a che fare con il suo passato ma vuole andarsene, lontano da tutto e tutti.

Mi piacerebbe sapere se in quel momento stesse parlando anche di me, in quale parte del Vangelo mi ha particolarmente pensato; in quale angolo e in che modo io gli sia stato presente. Perché l’avventura del più giovane dei figli è una seduzione continua, una provocazione e insieme una paura, la paura di perderti, Signore.

E provo a mettermi nei panni di quel figlio minore per tentare di capire il perché della sua decisione.

Tu lo hai atteso per anni, salendo sul terrazzo della casa ogni giorno, con la speranza di poterlo scorgere in lontananza e di fargli anche solo un cenno con la mano per dirgli di non aver paura di tornare.

No, non è da te che sta scappando.

Ma perché, allora, ha deciso di andare via? Perché tanti figli e fratelli continuano ad andare via ogni giorno? Le crisi religiose, soprattutto da giovani sono tremende, non vanno prese alla leggera. Restare o non restare è un dramma per chi si trova a dover scegliere.

È la parabola di ogni uomo. Quante volte mi sono sentito dentro lo stesso turbine di tentazioni. Il prodigo è il fratello di tutti, una presenza che ci insegue da sempre.

È la parabola dell’inquieto. Chi crede nel regno di Dio è un eterno inquieto.

È la parabola del giovane inesperto, la parabola dell’illuso, di colui che crede alle cose. Non possiamo nasconderci la verità della nostra storia: siamo prodighi tutti, tutti gente che sperpera, gente che sogna, che tenta ed è tentata ogni giorno; gente che sbatte le porte e se ne va tutti i giorni.

E tu continui ad amarci, tu ci ami nonostante tutto, sei ostinato nell’amore.

È la parabola di ogni uomo. E, se non siamo sulla linea del prodigo, siamo nella condizione dell’altro, del fratello maggiore, di quello che è sempre nei campi e che non si accorge neppure di avere un fratello. Questo maggiore che pensa solo agli interessi e a null’altro. Onesto ma infelice, estraneo in casa, dov’è il suo cuore? Vive da salariato, non da figlio.

Come tanti di noi, quando non accogliamo l’altro e restiamo prigionieri dei nostri pregiudizi. Gente che ha sempre qualcosa da dire, che non perdona neppure a suo padre, perché anche il padre eterno non dovrebbe far permettere certe cose. Atteggiamenti che si ritrovano nella tua stessa Chiesa, mio Dio: parlo della Chiesa mormorante, di una Chiesa sempre scandalizzata di tutto e di tutti, la Chiesa del fratello maggiore.

Provo a pensare a quale dei due fratelli somiglio di più, in quale mi rispecchio. E nel mio cuore ritorna il tuo volto, il tuo amore smisurato, la tenerezza del tuo sguardo. Sarà questa tua presenza, silenziosa e profonda, ad inseguire quel figlio piccolo. Una presenza sempre in attesa, se non in ricerca. Perché, Padre, sei sempre tu che ami per primo, che ci cerchi quando siamo perduti. Un Dio sempre perduto dietro l’uomo.

Da lontano, quel figlio, ricorderà il padre, la casa, i servi, ricorderà l’abbondanza, le feste e il pane, ma non ricorderà mai il fratello. Non un segno che ricordi il fratello. E neppure una parola o un segno da parte di costui verso il minore. A cosa porta l’incompatibilità dei fratelli in una casa, in una Chiesa, in una comunità.

È questa una delle ragioni per cui se n’è andato o almeno quella che lo ha fatto decidere? Nulla di peggio dei fratelli che non si amano: soprattutto quando il maggiore è cosi supponente, così meschino.  Forse fame di libertà è la vera ragione per cui se n’è andato ma anche bisogno di liberazione dall’incubo del maggiore: questo fratello proprietario di Dio, questo supponente: sempre troppo fedele, sempre troppo giusto, sempre onesto, cioè insopportabile.

Questo tuo figlio, dirà alla fine; mentre tu, Padre, nello sforzo di ricomporre l’unità infranta dirai: questo tuo fratello.

Quante volte anche a me capita lo stesso, quante volte mi rifiuto di incontrare i miei fratelli ed alzo muri verso di loro. E continuo a ferirti, mentre tu continui ad amarmi. Perché è di te amare in silenzio, amare all’infinito. Amare e basta.

E poi, il piccolo rientra in se stesso: si riscopre, si ritrova, si raccoglie. Riprende coscienza, che poi significa riassumersi per riesaminarsi alla luce delle prime più sante memorie.

Segno che Tu non muori, e che anche il passato più rinnegato non è mai interamente passato né interamente negato. Mi leverò e andrò da mio padre.

E se fosse così anche nei nostri giorni? Ci fosse questo uomo che si rimette in piedi; che si alza, e s’innalza, dalla palude; che ritorna ad essere verticale. Ma per arrivare a tanto, oltre che di una grazia grande, occorre grande coraggio e umiltà e sensibilità, e forza di spirito.

Troverà così in sé la forza di rialzarsi, e rimettersi in piedi, di riprendere il cammino. Anche le cicatrici possono diventare decorazioni, segni di gloria. Anche la miseria può diventare a sua volta un valore.

Mi alzerò, andrò, dirò… tutti dei futuri che sono già il presente, che danno vita all’uomo nuovo. E tu, Padre, subito gli vai incontro e gli butti le braccia al collo. Senza chiedere nulla, senza esitare, senza neppure fissarlo in faccia, per non umiliarlo, e specialmente per non fargli vedere la sofferenza che hai provato: la lunga sofferenza di Dio per l’uomo lontano, per questa sua creatura, capolavoro della creazione. Lo copri con il tuo abbraccio, e che nessuno lo giudichi. Il tuo amore di padre ha bruciato ogni giudizio.

L’amore del padre non è commisurato ai meriti dei figli, sarebbe amore mercenario. Non si misura su di un capretto, c’è molto di più, tutto: tutto ciò che è mio è tuo.

Ti rendo lode e ti ringrazio, Padre, per il dono di te, per la custodia di ogni nostra vita. Per la bellezza del tuo amore! Amen!

Ps: Perché Cristo racconta questa parabola? In nome di quale Dio rischiare la vita? Quale immagine di Dio ci ispira? Che Dio predichiamo? Perché tutto dipende dal Dio in cui si crede.  Credere, riuscire a credere è la sola autentica rivoluzione in nostro potere.

Non ci è detto se Gesù è riuscito a smuovere farisei e scribi. Non sappiamo. Perché rimane invalicabile la soglia della libertà dell’animo umano. Puoi anche, se così decidi, rimanere fuori dalla festa, da una relazione di fraternità. E non sai cosa perdi! Non sai cosa significhi questa parola bellissima: grazia. È lo stupore dell’immeritato.

† don Mimmo, vostro Vescovo