Giovani e Discernimento: i nostri Giovani… creta benedetta da Dio.

Assisi
28-06-2018

Quando penso a Gesù e ai suoi discepoli, al suo chiamarli a stare con lui, a incominciare il cammino, a prendere sul serio il desiderio presente nel loro cuore, non posso non pensare ai giovani, ai nostri giovani.

Quando penso agli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, al Re che cammina per borghi, chiese, villaggi, non posso non pensare alle strade che Gesù percorre anche oggi, al suo chiamare ad incontrare il volto più vero e il desiderio di salvezza del nostro mondo attuale.

Mi chiedo se noi vescovi, sacerdoti, tutta la Chiesa, stiamo curando il nostro ascolto per non essere sordi alla chiamata del Re eterno. Sono convinto che potremo parlare ai giovani in termini di vocazione solo se noi stessi abbiamo chiara davanti a noi la via da percorrere e sappiamo chi stiamo seguendo. Il Signore ci chiede di mediare ai giovani la sua Parola, il suo regno di giustizia e di pace: «Chi già lo ha visto all’orizzonte, il profeta lo invita a farsi messaggero per gli altri: “Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme” (Is 40,9)» (Evangelii gaudium, 4).

I giovani sono risorsa perenne nel mondo e nella Chiesa, sono la forza della nostra speranza quando nella generosità rispondono al desiderio di prossimità mettendosi al servizio degli altri, dei più deboli, dei più fragili; sono il respiro della nostra gioia, il motivo autentico del nostro attendere nel presente un futuro possibile; le attese dei giovani, i loro successi e le loro cadute sono per noi sempre luce perché interpellano la nostra capacità di ascolto, la nostra vita, la nostra fede.

Abbiamo veramente questo sguardo sui giovani? Per noi sono veramente un dono o li vediamo ancora come un problema? Cerchiamo di essere onesti con noi stessi e diciamoci se li consideriamo una risorsa da sfruttare e non persone che, con la loro presenza, sono provocazione al reale rinnovamento e cambiamento. Una Chiesa che oggi si interroga sull’evangelizzazione, che vuole essere povera e in uscita, non può non riconoscere nella via dei giovani la chiamata a capire e vivere il discernimento come stile essenziale, sequela, testimonianza per loro e supporto al loro discernimento per la realizzazione autentica della loro vita.

Questo dovrebbe essere il desiderio che ci anima e che ci sorregge come uomini e come Chiesa. Ci sentiamo in questo senso punto di riferimento credibile per i giovani? Quando diciamo che i giovani sono voce profetica in una Chiesa veramente in uscita, cosa stiamo affermando?

Nelle parole del Papa (lettera ai giovani) e nel nostro cuore, mettendoci dalla parte del Signore, non possiamo non cogliere nel volto dei giovani l’immagine più viva del desiderio di Dio, del sogno di Dio, la direzione più percepibile del soffio del suo Spirito. Se la nostra Chiesa sta “invecchiando” è perché per troppo tempo ha guardato altrove impiegando energie e forze a difendere una certa modalità ecclesiastica.

Il Sinodo dei giovani non può diventare la risposta a un’urgenza (per esempio il deficit delle vocazioni al sacerdozio), ma la sottolineatura di una sfida: accompagnare le scelte e la vita concreta dei giovani per riconoscere e assumere insieme i valori fondanti la dignità della persona e portare frutti nella carità per la vita del mondo (cf Optatam totius, 16).

Inizio così questa riflessione per sottolineare non solo una priorità ma la complessità legata alla realtà dei giovani, se vogliamo prenderli sul serio. Lo stesso Sinodo non vuole e non può risolvere un “problema” ma deve cercare vie per innescare processi volti alla riflessione comune e continua nel tempo. Questa presa di coscienza dovrebbe raggiungere le nostre comunità perché rinasca nel tempo un più vivo e forte impegno nella corresponsabilità. Per questo dobbiamo chiederci quale discernimento oggi, che cosa intendiamo per discernimento, quanto e come ci sentiamo coinvolti nella realtà del discernimento (Discernimento sui giovani o con i giovani? Discernimento della comunità? Chi è soggetto del discernimento? Ma soprattutto, qual è il fine del discernimento?).

Cercherò di affrontare questi punti che mi sembrano importantissimi almeno collocandoli in tre passaggi che esplicitino i nodi problematici e le possibilità concrete di azione che intravediamo.

   1. Ascolto “dei” giovani

Il discernimento è il frutto di essere sempre un cuore ascoltante e discernente (1Re 3,9.12) che, nello Spirito del Dio «che scruta il cuore ed i reni dell’uomo» (Ger 17,10), sa leggere ed interpretare ogni realtà, facendo passare tutto nel crogiuolo della purificazione per giungere alla sua autenticità e brillare della sua verità ed originalità.  Avere l’occhio di Dio e conoscere il disegno di Dio è il fine del discernimento.

È prioritario, allora, il tema dell’ascolto senza il quale non è possibile alcun discernimento. La conoscenza degli elementi in gioco in una realtà che chiede di essere considerata e compresa non può attuarsi fuori dalla conoscenza e dall’ascolto reciproco. Il discernimento è sempre personale: personale non vuol dire individualistico che invece è sinonimo di arbitrarietà (autosufficienza, difesa delle proprie opinioni e ragioni, pretesa di stabilire da sé stessi e previamente cosa è bene e cosa è male). In questo senso l’ascolto dei giovani deve essere letto come genitivo, oggettivo e soggettivo (sguardo attento sui giovani e fiducia nella loro capacità di ascolto e comprensione oggettiva del vero e del bene).

L’ascolto da parte della Chiesa dovrebbe essere nell’ottica del “coltivare”: è impresa impegnativa e gravosa, chiede tempo, energie, forza e determinazione. Significa preparare il terreno, ararlo quando è necessario, concimarlo, irrorarlo. In questa immagine è nascosta la vera natura del discernimento consapevoli che tutti siamo, allo stesso tempo, terreno e agricoltori, bisognosi di cura e capaci di cura. Solo in questa reciprocità è possibile il reale ascolto e confronto che, nel tempo, si fa cammino. L’esercizio di questo reale ascolto lascia intravedere vie percorribili perché il dialogo sia possibile. Dovremmo sentire fortemente l’istanza dell’incontro con i giovani non automatica e scontata, che ci chiede di uscire dai luoghi abituali e istituzionali (oratorio, parrocchia, associazioni, ecc…) e, al tempo stesso, rendere aperti tali luoghi.

L’andare incontro in forza di un ascolto e per la cura dell’ascolto è parte integrante del discernimento che siamo chiamati a fare noi come Chiesa per accompagnare il discernimento del giovane. Nessuno può sostituirsi alla nostra responsabilità, non possiamo delegare altri, come nessuno può e deve sostituirsi al giovane. Chi discerne? È sempre il soggetto che discerne, aprendosi all’azione dello Spirito Santo che è il profondo conoscitore dei cuori (cf. Ger 17,10; sal 138,1). Mi piace pensare alla Chiesa che accompagna, aiuta, come al vecchio Eli che non si sostituisce alla voce di Dio nella vita del giovane Samuele, ma lo aiuta a riconoscere quella voce che lo chiama e a rispondere con la generosità della sua stessa vita.

Tutto ciò comporta l’importanza di individuare modi di comunicazione che sappiano esplicitare ai giovani l’importanza di essere davvero protagonisti nelle loro scelte con consapevolezza, in un mondo che, sicuramente, ha assaporato, e continua tutt’ora a sperimentare, la povertà di una profonda crisi etico-sociale.

In un mondo che sta assaporando la povertà di una profonda crisi etica di cui siamo responsabili noi adulti, i giovani, i volti dei nostri giovani, sono già presenza profetica, ci chiedono cioè di scegliere e decidere non a partire da nostri eventuali interessi (sociali, politici, economici, di carriera) ma dal fine che è quello di una comunione possibile sulla terra, comunione tra gli uomini e comunione con Dio. Ci sentiamo in questa tensione profonda che dovrebbe essere la nostra pace e anche la nostra inquietudine?
In questa sede non avrò la pretesa di proporre uno studio dettagliato e scientifico, ma desidero presentarvi un punto di vista che possa aiutare a comprendere quanto sia importante non una lettura distante e pregiudizievole la realtà giovanile, ma entrare in punta di piedi nel mondo dei giovani e scorgere la profonda nostalgia di autenticità e di libertà che si manifesta talvolta anche nelle plateali e drammatiche trasgressioni. In esse si nasconde spesso il grido e l’invocazione di ascolto, di accoglienza, di presenza. Penso soprattutto ai giovani delusi dalla Chiesa, dalla politica, da una società che rende sempre più incerto il presente e impossibile il cambiamento per un futuro carico di novità e di speranza. La voce dei giovani è richiamo agli adulti ad una testimonianza di coerenza e responsabilità attraverso l’assunzione dei valori che rappresentano il fondamento dell’esistenza. I giovani chiedono di non essere più relegati nell’alveo di una giovinezza prolungata e forzata (disoccupazione, lavoro precario, saltuario, instabile e spesso ai limiti della legalità) che impedisce il passaggio alla vita adulta: diritto inalienabile di ogni giovane, di tutti i giovani.

Cerco di non dimenticare mai che i giovani sono creta benedetta da Dio che non guarda alla simmetricità della loro esistenza ma alla stravolgente asimmetricità del loro vivere che rende vere le loro storie, diversi i loro volti, profondi i loro sguardi. L’inquietudine, la fragilità, e il camminare incerto sono, oserei dire, fasi necessarie per superare la frammentazione esistenziale e per giungere ad una maturazione umana tendenzialmente unitaria. Il “si” alla vita lo si può riconoscere solo dentro l’esistenza dove abita la contraddizione e la coerenza, il caos e l’armonia, il senso e il non-senso.

   2. Discernimento: cura dell’interiorità, prossimità, stile

La mia personale esperienza di rapporto con i giovani, in particolare con coloro che per tanti motivi hanno trovato “rifugio” nella droga, mi fa ricordare qui la voce di Stefano che una sera di inizio estate a Catania volle parlare con me perché ero un prete. Continuò a raccontarmi la sua vita, mi confidò che era sieropositivo: «Io credo nel tuo Dio ma, quando lo incontrerò, cosa gli racconterò della mia vita? Cosa è stata la mia vita? E sai qual è l’unico rammarico che mi porto dentro? Quello di non essere mai riuscito a dire a mia madre: “ti voglio bene”. Mi puoi aiutare? »[1]. Dopo la nostra conversazione che si protrasse per tutta la notte, un abbraccio cambiò la vita di Stefano e anche la mia. Stefano seguì il suo percorso in comunità aiutando altri ragazzi ad uscire dalla droga e a ritrovare dignità e speranza. È poi morto dopo essere esplosa la malattia. Ricordo sempre a me stesso e a coloro che mi ascoltano il dono e il compito che mi ha consegnato tra le mani Stefano per sempre: «Mimmo, non ho paura, lotterò. La guarderò negli occhi, perché mi deve trovare vivo. Ma tu che puoi, dillo ai ragazzi, dillo a tutti i ragazzi, che questa vita è bellissima e vale la pena viverla. E viverla fino in fondo»[2].

Faccio riferimento a questo incontro che ha segnato la mia vocazione di uomo e di prete perché mi ha indicato dove andare. Nell’inquietudine dei miei ragazzi ho imparato a leggere una ricerca infinita di vita e di Dio. Lo smarrimento che ho sperimentato di fronte alla loro morte e alla drammaticità della loro esistenza, mi ha fatto rendere conto che ciascuno di loro è stato per me strumento di reale conversione.

Il senso del discernimento è radicato in una scelta che non può essere puntuale, ma va ratificata continuamente guardando a quell’orizzonte di senso che orienta, converte e realizza la vita. La domanda dell’uomo, e dei ragazzi in particolare è, oggi come sempre, la domanda di Pietro a Gesù: “Signore, da chi andremo?”. È una domanda di senso, di ricerca di strada, di sogni e di valori, di bisogno di assoluto prima che di finito: “tu solo hai parole di vita”.

Domanda antica allora, ma in nuovi contesti, in un altro tempo. Quale risposta allora possiamo dare oggi all’uomo, e soprattutto ai ragazzi, e prima ancora a noi stessi, al nostro bisogno di Alto e di Altro? È un’antica relazione affettiva che mi porta a rivolgere questa domanda ad un altro uomo, un giovane, un figlio inquieto della Chiesa. Come risponderebbe oggi Francesco d’Assisi, lui figlio ingrato del benessere, che ha scelto la radicalità del dono e dell’abbandono?

La vita e la storia di Francesco mi direbbero: “Poco spazio ma tanto tempo ci separano dalla mia piccola Assisi. Oggi la Chiesa affronta la multiformità del globale. Bisogna guardare al lontano, alle lacrime versate dai poveri di tutto il mondo, schiacciati dalla forza del mercato globale, del mercato delle merci e degli uomini, rifiutati ed emarginati in quanto non consumatori. Uomini resi inutili, perché è scomodo il loro grido di giustizia. Che differenza col mercato di mio padre. Ed è proprio rifiutando quel mercato che ho scoperto la mia strada, la mia libertà, potete voi accettare questo?

     Ero un giovane come tanti, molto simile per le mie intemperanze a molti giovani che oggi abitano le vostre comunità. La stessa attenzione all’immagine, l’identità confusa nei bagordi del mio gruppo di amici, la stessa voglia di spendere tutto ora e subito. Ma lo stesso bisogno di qualcosa di altro. Un tarlo penetrante nei miei pensieri, nelle mie necessità più vere e profonde. Vivevo nel benessere ma mi mancava la gioia. Tanti gioielli, ma le perle che hanno dato valore alla mia esistenza le ho trovate in un forziere diverso. E allora, come lo scriba, dal tesoro del Cristo prendete la perla della semplicità, della chiarezza, della trasparenza, della coerenza radicale tra la parola e la vita”.

Le parole di Francesco sono chiare: la parola e la vita, le parole di vita. L’uomo non sceglie gli intellettuali ed i farisei, non i potenti o i sacerdoti. Sceglie parole di Vita. Le parole e la vita assieme, legate indissolubilmente. Parole semplici ma non banali allora, chiarezza e coerenza di pari passo, che non è fare l’occhiolino a fette possibili di mercato spirituale, non è ammiccamento complice. Francesco che bacia il lebbroso indica una strada. Sceglie da che parte stare. E non si mette solo accanto, ma bacia, in un gesto che è di amore totale e di coinvolgimento profondo in quella storia, nelle sue cause, nel suo futuro.

L’aver condiviso in prima persona tante storie di giovani in difficoltà ha formato il mio sguardo e risvegliato la mia coscienza aiutandone la libera responsabilità in termini di un accompagnamento concreto e di una sensibilità a cogliere la realtà del discernimento nella sua complessità. Il tipo di ascolto che viene da queste profonde fragilità costringe a mettersi l’uno davanti all’altro con la propria storia, la propria condizione, la diversità di strumenti e di formazione. Solo in questa reciprocità è possibile vedere, capire e decidere, ossia cogliere l’importanza e le dimensioni del discernimento.

Paolo testimonia, con la sua esperienza ed il suo insegnamento, come giungere a conoscere, sentire e gustare il senso profondo del proprio essere, del proprio mistero come è scritto nel cuore di Dio, sia la meta e l’approdo, consapevole o inconsapevole, di ogni creatura umana nel suo percorso di autentica maturazione in Cristo, una maturazione che è possibile soltanto in una dimensione di autentica relazione con i fratelli: «Voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù dirigere il nostro cammino verso di voi! Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (Ef 3,11-14).

Noi adulti conosciamo molto bene cosa vuol dire fare esperienza del nostro limite, del fallimento. La fatica dei giovani oggi mi parla a partire da questa mia consapevolezza che è maturata nel tempo. Condividere la strada, la vita con gli ultimi dovrebbe permettere di assumere la prossimità (cura delle relazioni), che è la cosa più importante e bella della nostra vita, come fondamento.

Lo sguardo costante alla qualità delle nostre relazioni e alle vie concrete di prossimità dovrebbe aiutarci a cogliere i disagi reali e non evidenti di chi ci è vicino, dei giovani che ci sono vicini. Questa diventa la via per sognare di camminare insieme anche a quelli più lontani, attraverso una mediazione possibile dei giovani ai giovani. È questa la vocazione in cui si manifesta la parola stessa di Gesù a ogni giovane oggi: “tu prossimo”. È questa la via di realizzazione autentica di sé stessi e degli altri. La cura per il proprio decidere diventa cura per il decidere degli altri. Papa Francesco ci ricorda: «Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: “Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo» (Evangelii gaudium, 10).

Ditemi voi se non sono i giovani il volto missionario della nostra Chiesa!

Le nostre comunità hanno il coraggio di rivelare oggi il volto e il cuore di una Chiesa madre, che guarda con amore i passi dei suoi figli, che “comprende, accompagna, accarezza”?

Sono convinto che la Chiesa, oggi più che mai, abbia tante cose da dire ai giovani e i giovani abbiano tantissime cose da dire alla Chiesa (cf Giovanni Paolo II, GMG 1990). Solo in questo reciproco ascolto e dialogo sarà possibile un discernimento chiaro nel quale scoprire la novità e la bellezza della vita come vocazione. In questo senso la cura dell’interiorità e il criterio di prossimità devono diventare stile. «È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante». La volpe ricorda e consegna al piccolo principe il gesto che invera e fonda l’ascolto e la prossimità. Una verità che noi adulti abbiamo forse dimenticato, compito che purtroppo abbiamo disatteso. Discernere con i giovani significa dunque “perdere il tempo” cioè consegnarsi totalmente all’interiorità dei giovani, farsi prossimi nella capacità di tenere senza trattenere (cf. Gen 22, Abramo e Isacco), di accompagnare, permettendo però che si possa camminare da soli, condividere i sogni e vivere la realtà, abbracciare le possibilità, assumendo propri limiti.

Discernere non solo per rispondere alla domanda “che devo fare?” ma per capire ciò a cui tutti siamo stati chiamati: portare frutti di vita nuova. Questi ultimi sono il risultato di un lungo e paziente lavoro. I verbi del discernimento, riconoscere, interpretare e scegliere, rappresentano lo stile di un discernimento possibile oggi in questa storia. Lo stile del discernimento è lo stile essenziale di una Chiesa in uscita. I giovani ci consentono questa comprensione del discernimento come stile per poterlo assumere nell’ascolto e nell’attenzione ad ogni tipo di realtà, e sostanzialmente nello sguardo sull’altro (l’altro che mi è vicino, l’altro che è lontano, l’altro che vive ai margini come oggi tanti giovani immigrati).

   3. Giovani come “via”

Assumersi il compito dell’ascolto nell’esercizio di prossimità diventa via per riconoscere il discernimento come stile e prospettiva, speranza che feconda la storia. La Chiesa oggi si trova a dover riconoscere l’esigenza della cura del discernimento come chiamata. Il lavoro pastorale deve diventare prima di tutto cura della capacità di cercare e trovare insieme vie concrete di ascolto, di assunzione e di attuazione della responsabilità affidata a tutti.

Afferma la Gaudium et spes, 19: «L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l’uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l’esistenza; e l’uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona al suo Creatore». Nel dialogo di amore con Dio si fonda la possibilità per ciascuno di crescere e maturare attraverso i doni ricevuti, nell’orizzonte di relazioni che costituiscono il proprio esistere quotidiano, in cammino verso la pienezza della vita.

Come possiamo lasciare che Gesù oggi cammini per le strade dei giovani e li incontri dove sono e come sono?

Numerosi studi in preparazione al Sinodo hanno letto la realtà giovanile dal punto di vista della domanda religiosa, dal punto di vista della prospettiva sociologica, dal punto di vista psicologico-affettivo. Non sto qui ad elencare le conclusioni che sono facilmente fruibili. Il mio sguardo vorrebbe ancora tendere a lasciare spazio alla vita di coscienza dei giovani e alla relazione possibile con loro. È questa relazione che intendo come “via” per ripensare la pastorale dando ragione dell’autonomia che desideriamo per i nostri giovani.

Spronare i giovani alla libertà di coscienza vuol dire dare fiducia alla loro capacità di vedere e decidere dagli aspetti meno rilevanti fino alle scelte definitive della vita. Il contributo dei giovani dovrebbe potersi concretizzare nel valorizzare la loro capacità di pensare, di proporre, di costruire comunione sul piano culturale, sociale, politico e anche ecclesiale. Giovanni Paolo II si rivolgeva ai giovani francesi nell’ottobre ’86 con queste parole: «Mi piace sentirvi dire: “Vogliamo la pace, un contatto vero tra gli uomini. Vogliamo la condivisione. Noi siamo felici di trovarci in un Paese di libertà, di appoggiarci a una famiglia che si è sacrificata per i nostri studi. Noi abbiamo i nostri progetti di famiglia. Vogliamo vivere, riuscire nella nostra vita, e anche in quella della gente. Noi desideriamo amare ed essere amati. L’avvenire è spalancato davanti a noi. E là ove è necessario, vogliamo cambiare le mentalità”. Il Cristo ama così la giovinezza, piena d’ideale, come amava il giovane ricco del Vangelo. Aggiungerei: non accettate di transigere sulla verità, il bene, il rispetto della dignità dell’uomo. Sono i principi di un mondo nuovo» (Pellegrinaggio apostolico in Francia, Discorso di Giovanni Paolo II ai giovani nello stadio Gerland, Lione [Francia], 5 ottobre 1986).

I giovani sanno ricordarci che il rinnovamento della pastorale per una Chiesa e un mondo dal volto vivo e vero, si fonda nella conversione oltre che delle strutture anche delle mentalità che abitano concretamente le strutture. Il tema “giovani e discernimento” approda alla realtà del rapporto fede e vita, detto altrimenti cura della vita spirituale. Accompagnare il discernimento dei giovani vuol dire accompagnare le loro reali domande incontrando le loro paure e anche la loro sfiducia di fronte a un futuro difficile. Il confronto e la condivisione di criteri e finalità che animano il nostro agire ecclesiale devono fare spazio alla ricerca di percorsi che consentano l’unità tra fede e vita. Mi riferisco in particolare all’accompagnamento spirituale, alla realtà degli Esercizi Spirituali, a percorsi condivisi di ascolto della Parola, all’autentico servizio ai poveri. La capacità di accompagnare non si improvvisa. La cura dell’ascolto è chiesta a tutti, in particolare però a coloro che hanno cura della propria e dell’altrui formazione. Non si può aiutare ad incontrare il Signore e ad aver cura della familiarità con lui se non lo si è incontrato, ascoltato, seguito.

Quando i giovani si sentono realmente aiutati a riconoscere le tracce di Dio che cammina accanto e chiama a seguire, cercano tutte le vie perché questo incontro si esprima attraverso la vita concreta, dunque attraverso scelte per la propria vita accanto alla vita degli altri. In questo senso sono i giovani che chiedono alla comunità di riconoscere, sostenere e accompagnare i propri passi. Sono i giovani che ci chiedono di imparare a condividere realmente la vita, tutto quello che la promuove, tutto quello che occorre per vivere, tutto quello che umanamente la realizza. Mi rivolgo ancora a Francesco, povero tra i poveri! Ho sempre pensato che la fede sia la scelta dell’umano contro tutto ciò che è disumano. E allora, come diceva Don Tonino Bello: non mi interessa sapere chi è Dio, mi basta sapere da che parte sta!”. E quando ho scoperto dove, aggiungo, devo avvicinarmi, andare incontro, fare il primo passo. A te, Francesco, esperto del primo passo, chiedo come si fa. E fedele alla tua semplicità mi sento rispondere non con grandi parole, ma con l’esperienza di vita: “Avevo tanta paura quando ho avvicinato il lupo, ma l’amore, altra perla autentica ed antica dallo scrigno dello scriba mi ha vinto. Non so se avete mai provato quel profondo struggimento che avvertiamo quando ci facciamo prossimi all’altro, con un amore puro, senza secondi fini, solidale, accogliente. Spesso doloroso e sofferto. Quell’amore che è nostalgia di completezza, quell’amore che diventa medicina per la rabbia del lupo, come per la rabbia dei vostri giovani. Rabbia impotente ed autolesionista, tipica della loro età. È un amore che nasce dalla contrazione del sé, è un amore che nasce dal dolore di Dio, è quell’amore che ha fatto fare tanta strada al Cristo verso di noi. Lasciatevi afferrare da questo amore; la storia della gente di Gubbio ce lo dimostra: una mano tesa è meglio di una col bastone e l’ascolto salva più della paura. Non abbiate paura. Dio vi precede sempre e Cristo è il vostro compagno di viaggio”.

Grazie, Francesco, forse ho capito la lezione. Non c’è niente di nuovo, nessun terreno di sfida nuovo può essere aperto se non siamo in grado di accettare il terreno dell’antica sfida: quello dell’amore. Che non è il terreno della carità ipocrita o del permissivismo sfrenato.

E questo è il nostro compito e la nostra novità, la nostra antica sfida: educare all’amore. Educarci ed educare, consapevoli del peso che ci portiamo dietro e dentro, coscienti che cadremo sotto questo peso sul nostro piccolo personale calvario, ma pronti ad alzarci con la speranza negli occhi e nelle gambe, verso altra vita, verso altri volti ed altre storie in cui rispecchiare e far crescere il nostro volto, la nostra storia. Ricordando sempre che l’educazione per poter essere vera ha un vincolo, e paradossalmente questo vincolo è la libertà. Bisogno imprescindibile e fine ultimo del nostro educare ed educarci. Sono testimone e tocco con mano la primavera in tanti giovani. Certo, una difficile primavera, oggi, ma il mandorlo ha messo fuori le gemme, come dice il profeta (Ger 1,11).

I giovani sono una grande risorsa, pur vivendo mille fatiche: siamo chiamati a stare loro accanto, con umiltà, incoraggiandoli, accogliendo le loro istanze, accompagnandoli con credibilità. Esserci! Camminare insieme, osare insieme, alla sequela del Cristo. Sul passo degli ultimi. Scommettere sui giovani significa credere nell’inedito di un Dio che non invecchia mai.

È la cultura dell’attenzione. È abitare il tempo, imparando davvero a leggere la vita e a vivere la vita con gli occhi attenti di chi la vita la vuole cambiare. Tale è anche l’esperienza di Geremia, il profeta della speranza, quando il Signore lo invita a scendere nella bottega del vasaio: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Io sono sceso nella bottega del vasaio ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva giusto». (Ger 18,2-4)

Siamo come argilla in mano al Signore, nella certezza che il Signore non distrugge l’opera delle sue mani, ma la modella anche quando il progetto sembra rovinarsi, perché, come dice Paolo (2Cor 4,7), per quanto vasi di argilla, siamo creta riempita di Dio, del suo essere Amore, e perciò creta benedetta!

Incontrando tanti giovani mi sono reso conto che sono portatori sani di missione: giovani ai giovani, la via più bella di trasmissione del vangelo e di mediazione del volto giovane della Chiesa.

Vorrei ricordare, per concludere, la parola di papa Francesco ai giovani nel Convegno ecclesiale di Firenze: «Faccio appello soprattutto “a voi, giovani, perché siete forti”, come scriveva l’Apostolo Giovanni (1Gv 1,14). Superate l’apatia. Che nessuno disprezzi la vostra giovinezza, ma imparate ad essere modelli nel parlare e nell’agire (cfr 1Tm 4,12). Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni».

L’augurio che faccio a me e a ciascuno di voi qui presenti è che possiamo incontrarci tutti con i nostri giovani nella fiducia di chi sa rischiare e nello slancio di chi sa rispondere senza riserve.

Testi consultati

Lettera del Santo Padre Francesco ai giovani in occasione della presentazione del documento preparatorio della XV Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, Vaticano, 13 gennaio 2017.

Sinodo dei Giovani. XV Assemblea generale ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Documento preparatorio, Città del Vaticano 2016.

A. Matteo, Giovani, increduli e invisibili cercatori di Dio.
(http://www.veniteallafesta.org/files/don_armando_matteo_carpi.pdf)

D. Abignente-S. Bastianel, Sulla formazione morale. Soggetti e itinerari, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013.

D. Fares, «I giovani, la fede e il discernimento. Verso il Sinodo 2018: le indicazioni di un documento “incompleto”», in La Civiltà Cattolica (2017/4014) 449-462.

D. Fares, «“Io sono una missione”: verso il Sinodo dei giovani», in La Civiltà Cattolica (2018/4025) 417-431.

 

 

[1] M. Battaglia, V. Colmegna, I poveri hanno sempre ragione. Storie di preti di strada, Cittadella, Assisi 2010, 28.

[2] Ibidem, 29.