Lasciateci sognare – Omelia per il I anniversario dall’ingresso in Diocesi, 2 ottobre 2017

don Mimmo Battaglia DSC 6408 2
02-10-2017

Un anno fa ho iniziato con voi questo viaggio. Le parole non saranno mai abbastanza grandi per contenere l’oceano di emozioni che ha attraversato la mia vita. Uno solo è il bisogno profondo: dire grazie al Signore per tutti i suoi doni, dire grazie a tutte le persone che abitano questa Chiesa e questo territorio e a tutte le persone che ogni giorno, questa Chiesa incontra nel suo viaggio. Carichi di una costellazione di ricordi irripetibili, nostalgie per le voci, gli occhi, i volti, le mani di questo mare di compagni di viaggio, e per quello, che con il vostro esserci, mi avete dato e che nessuno mi toglierà mai. Celebrare una tappa così importante di questo viaggio, significa soprattutto ringraziare, e dalla mia esperienza di comunità, è impossibile distribuire questi ringraziamenti in modo gerarchico, perché non rispecchierebbe la realtà della mia storia: i nostri grazie possono viaggiare solo come in un girotondo virtuale colorato in cui tutti i volti si incontrano, gli sguardi si incrociano, i cuori si abbracciano, le mani si stringono. È un mettere in circolo l’amore, la gratuità, la solidarietà. È vivere il Vangelo. È aprire il cuore alla grazia! Questo è il nostro grazie, questa è la nostra ricchezza condivisa.

E il viaggio continua, a vele spiegate… ma ogni viaggio è accompagnato da una paura. Appartiene alla vita la dimensione dell’imprevedibilità, che noi troppo spesso vorremmo esorcizzare con l’azzardo di un sogno, il sogno che oggi e domani nella vita tutto avvenga secondo i nostri programmi e che la vita sia sempre al riparo da deragliamenti. Che cosa è questa paura di avventurarsi al largo? Meglio sarebbe dunque stare con i piedi per terra. Strana immagine della sicurezza. Le vele immobili, chiuse ad ogni pulsare del vento, quando invece la vita potrebbe essere evocata sotto l’immagine affascinante di una traversata di bracci di mare.
Ogni giorno ci è chiesto di lasciare la terra ferma delle cose codificate, prevedibili, e di partire. Perché la vita è fatta di continue ripartenze. Conosceremo la bellezza delle traversate, ma anche l’aggressione delle bufere. La fede non ce ne mette al riparo. Fede è sorprendere tra l’urlo delle acque e le raffiche di vento una voce quasi sommersa, quella del Dio della barca che rincuora, fa tacere il vento, non sempre quello degli eventi, ma il vento che scuote dentro, quello che sferza il cuore. Udrai la voce del Dio della barca a sovrastare quella della tempesta, e sarà energia come sangue nuovo che scende nelle vene delle braccia e nelle mani e poi dilaga nel legno dei remi.

Non è del Dio della barca sostituirsi all’uomo, Lui crede negli uomini e nelle donne della barca, conosce di noi braccia e cavo di mani. Fa tacere la paura che ha il potere di immobilizzarci, anticamera di ogni paralisi: perché temete? E dunque benedette le voci, quella segreta di Dio e quelle meno segrete ma pure sempre sottili di amiche ed amici, compagni di traghettamenti, voci che hanno sapore e forza di spinta, spinta di traversate.
Esci dalla tua terra e va … uscita e viaggio, verso lo sconosciuto. Non è il passo fondativo della fede?
Ogni pagina del Vangelo mi rimanda l’immagine del viaggio lungo le vie inedite di Dio.
Protagonisti di viaggi, sempre, gli angeli. Io non so cosa siano le apparizioni di angeli, ma di certo erano un segno di un Dio che veniva e andava. Veniva e andava e metteva in viaggio. Mette in viaggio e dice: non temere. Non temere per il viaggio.
Penso all’angelo che a Maria chiede di uscire dalle vie normali in cui una ragazzina può sognare di diventare madre. Immaginate che cosa abbia significato quella maternità fuori dalle vie normali. Ma pensatela con quel gonfiore nel corpo. Quel gonfiore che la abitava era la cosa più bella del mondo, ma vi immaginate gli occhi del paese su di lei, immaginate i commenti? Anche a Giuseppe l’angelo dirà di non temere, di non temere per il viaggio, e quale viaggio! Quello di prenderla in moglie. E poi, per lui tutti quei sogni e quelle voci nella notte, voci di angeli, sempre a mettere in viaggio. Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e vai in Egitto. E poi … va nel paese di Israele.
Il messaggio è trasparente, è la sconfessione dei nostri sogni di costruire paradisi artificiali, o isole dorate dove appartarci, dove non giunga l’eco dei drammi dell’umanità. A Giuseppe, come a ciascuno di noi è detto: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va. Alzati, la vita è viaggio. Alzati. Che cosa stava davanti agli occhi di Giuseppe? Niente di sicuro, niente di programmato, niente di prevedibile. E non è forse questo figura della nostra vita? Di una stagione di cui davanti agli occhi abbiamo orizzonti sempre più incerti, imprevedibili?
Alzati e va. Il viaggio. Ma pure la custodia: prendi con te il bambino e la madre. Bellissimo il verbo che dice custodia, e dunque custodirci a vicenda nel viaggio, e poi come Giuseppe, inventa. Tocca a Giuseppe inventare i percorsi, i luoghi, le tappe, le soste, le partenze. La voce dice la direzione del viaggio, ma non è prontuario in cui tutto è già scritto. Sei libero e protagonista. Libero! Ma vegliato. Paternamente vegliato nel viaggio dall’alto.
Credo che oggi, il sogno della Chiesa, sia quello di ritrovare nel Vangelo la fonte della vita. Tutto a partire dal Vangelo: parola viva, vera, sorgente che disseta e cura ogni ferita.

In un periodo di grande crisi come quello che stiamo vivendo, dove di ferite ce ne sono tante, c’è bisogno di un sogno. Un sogno che prende forma e si concretizza con la vita, con i gesti, con l’umiltà, con l’unità e non con parole che continuano soltanto a fare da eco.
Non si può imprigionare il sogno. Il sogno nasce libero ed è lui che sceglie noi. Possiamo farci tela per i suoi pennelli, ma non c’è dato dipingere. Possiamo lasciarlo atterrare, ma non possiamo tracciare la rotta. Deve essere libero di migrare e portare scompiglio in altri cuori e in altre coscienze. È il sogno di Dio! E noi siamo immersi in questo sogno, senza non saremmo.
Dobbiamo avere forza, coraggio, per uscire dalle insicurezze che ci tengono prigionieri, che intorpidiscono le nostre membra rendendoci inetti a tutto ciò che di meraviglioso ci circonda. Spesso ci troviamo nel mezzo, senza prendere posizioni e questo, non è sognare ma è un continuare a far impallidire i nostri volti perdendo così il colore dell’unicità.
È difficile, ma non è impossibile se, fondamento e faro delle nostre scelte, della scelta della Chiesa, diventa l’Eucarestia, nella quale annunciamo che Gesù Cristo è il Signore della nostra vita.
Perciò, crediamo in una Chiesa che abbracci tutti, dove ognuno possa trovare riparo, dove ognuno possa sentirsi accolto, compreso, amato. Crediamo in una Chiesa attenta. Attenta alla diversità delle lingue, delle culture, dei carismi, che sono nulla senza la carità, ai tempi che cambiano, a qualsiasi tipo di segno. Una Chiesa che, pur rimanendo fedele a sé stessa, si faccia guidare sempre dal vento dello Spirito, unica bussola che orienta il cammino.
Abbiamo bisogno di fatti, di orme che traccino un cammino, che segnino un sentiero … di un sogno che dia speranza a tutte quelle persone che, curvate, portano sulle proprie spalle croci che si fanno ogni giorno più pesanti, dove tutto ciò che rimane è il dolore che lacera dentro. E allora, la Chiesa può sognare anche per loro, deve mettersi accanto e condividere il peso della sofferenza e della solitudine annunciando quanto di bello il Vangelo dice. Contagiati dal Vangelo, contagiati dalla vita.
Non dobbiamo aver paura di parlare della croce e di quanto, nonostante possa essere dolorosa, essa raggiunge il cielo stagliandosi maestosa verso l’alto. Impariamo a fare del dolore l’amore con cui si ama Cristo, attraversando le nostre ferite, terra sacra per la nostra vita, per il nostro sogno, per il sogno della Chiesa tutta.
Impariamo ad essere attenti all’altro, ad ognuno e ciascuno, a valorizzare ogni singolo talento. Una Chiesa che valorizza è una Chiesa che si arricchisce, non di tesori ma di carità. Una Chiesa che si fa maestra di servizio, che si lascia ispirare e che è aperta, sempre aperta, per essere e fare esperienza di vera evangelizzazione.

Spesso sentiamo la necessità di scappare, di abitare nuove terre ma, proviamo ad invertire le cose: proviamo a guardare con occhi diversi la nostra terra, proviamo ad abitarla come uomini e donne che trasmettono sempre amore, perdono, vita. Vangelo! Abitiamo la nostra Chiesa con gli occhi della tenerezza.
Sogniamo insieme, credendo nell’essenziale, accogliendo il soffio dello Spirito e lasciandoci condurre.
Lasciamoci disarmare dall’amore che Dio nutre per ognuno di noi e partiamo da questo per far sì che il nostro sogno diventi preghiera che si innalza verso il cielo e si espande sulla terra. Proviamo ad Essere come Lui per amare come Lui l’umanità.
E allora, mia Chiesa, sogna, continua a sognare, fai del tuo meglio, sii presente alla Presenza. Non essere indifferente ma fai la differenza. Sorridi, abbraccia, accarezza. Sii strumento di incontro. Sii l’ala di riserva di ciascuno.
Sogniamo, lasciamoci cullare dal canto degli angeli, accogliamo il dono degli angeli, garanti della speranza e custodi della libertà.
Perché li vedo sempre, tutte le volte che il dolore rende gli occhi limpidi, gli angeli già presenti nella mia, nella vostra vita. Angeli imperfetti e senza ali ma vivi, fedeli e silenziosi, con lo stesso amore nello sguardo e lo stesso calore nelle mani. Angeli in carne ed ossa che si mettono accanto, che percorrono la nostra strada, che camminano la nostra vita.
Angeli fratelli che ti parlano con gli occhi, angeli lavoratori seduti al tuo fianco, angeli fragili con le tue, le nostre stesse paure, angeli sconosciuti che ti sorridono nei momenti difficili e ti chiedono di non arrenderti. Angeli sotto il nostro stesso cielo, sulla nostra terra, nel nostro cuore.
Angeli custodi che ti affiancano nel cammino, che vivono con te sui bordi delle strade, che sperimentano con te la malattia, la fatica, il dolore. Che vivono di te, che vivono per te. Angeli che ci illuminano e ci custodiscono nelle notti buie e gelide.
In questo sogno c’è un angelo per ognuno di noi.
Per ogni bambino che corre nella piazza e per chi è costretto a guardare dalla finestra.
C’è un angelo per te, fratello mio, che grondi sudore per guadagnare quel pezzo di pane che sulla tavola di ognuno non dovrebbe mai mancare e c’è un angelo anche per te, sorella cara, che non lasci spazio alla disperazione e, nel silenzio del cuore, preghi il tuo Signore.
C’è un angelo per te, terra mia, deturpata, bruciata, troppo spesso maltrattata.
C’è un angelo per te, famiglia ferita, non sei sola, non lo sarai mai.

C’è un angelo per te, amico caro, che vivi la mia stessa rabbia, che hai i miei stessi dubbi, che nutri le mie stesse speranze.

C’è Un angelo per te, per me, per ognuno noi!
Voltati, guarda al tuo fianco, incrocia gli occhi di chi sta accanto, che sia seduto o in piedi non ha importanza, fissalo negli occhi e non permettere ad alcun malessere di annebbiarti la vista perché lì, in quello sguardo, troverai il senso di tutta l’esistenza, e scoprirai come Dio è realmente uomo e come ogni uomo può rivestirsi di incanto.
E poi il bambino: che non basta a sé stesso e vive solo se è amato. Che riceve tutto e può dare così poco. Forte non della propria forza, ma di quella di cui lo sollevano le braccia del padre. La sua debolezza è la sua forza. Gesù non pensa al candore dell’innocenza ma al fatto che il bambino vive solo se è amato; vive di amore, si nutre di latte, certo, ma soprattutto di amore e di sogni. Ha bisogno di ricevere per vivere. Così è il cristiano davanti a Dio: con le mani aperte, certo di vivere perché amato. Qui con le mani aperte a ringraziare, a fare eucarestia per tutto ciò che ha ricevuto: la vita, gli amori, le persone, la luce, i talenti…
Se non diventerete come bambini: se non ritroverete lo stupore di essere figli, che sanno piangere, che imparano a ridere, figli la cui forza è il Padre, non entrerete nel Regno.
Il bambino è l’immagine di Dio. L’eterno si abbrevia nel tempo. Il tutto nel frammento. Anche Dio vive solo se amato.
Come scrive Santa Teresa di Liseaux: “Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore.”
Mia Chiesa, ecco il tuo Sogno: ama il tuo Signore, vivi di Lui, lasciati abbracciare dalla sua tenerezza e vai … alzati e vai!

+ don Mimmo, vescovo