Impara l’amore, diventa anche tu samaritano! – Omelia per la Festa di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, 1 agosto 2019

01-08-2019

“Chi spera cammina, non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena. Costruisce il futuro, non lo attende soltanto. Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma. Cambia la storia, non la subisce.”(don Tonino Bello)

Inizio così, fratelli e sorelle carissimi, questa mia riflessione insieme a voi in questo giorno così importante per tutta la nostra Chiesa; con le parole di don Tonino Bello che ben incarnano l’essere sale della terra e luce del mondo che abbiamo proclamato nel Vangelo.

Sono anni difficili quelli che stiamo vivendo, anni in cui la crisi morde in maniera selvaggia, anni in cui accanto ad un impoverimento progressivo della società, assistiamo ad un enorme dilagare della corruzione da parte di chi avidamente vuole sempre di più; quanto dolore inflitto dall’uomo all’uomo.

Sono anni difficili, come anni difficili furono anche quelli in cui visse il nostro Sant’Alfonso. Lui che da grande avvocato quale fu, si trovò a perdere una causa molto importante non per sua incapacità ma perché i giudici si lasciarono corrompere.

Quanto dolore inflitto dall’uomo all’uomo di ieri e di oggi! Anche il fenomeno migratorio attuale rischia di essere il capro espiatorio di paure e insicurezze, di un malessere sociale ben diverso. Restiamo umani. Restiamo umani. C’è un dolore che ci fa gridare verso Dio chiedendo giustizia nonostante la nostra individuale contraddittorietà.

Noi siamo vittime e fautori di dolori, dispiaceri, delusioni, afflizioni che talvolta ci imprigionano senza scampo, ma siamo anche fonte inesauribile di gioia, fontana di speranza.

Dopo aver perso quella causa, Sant’Alfonso decise di lasciare la professione e si abbandonò alla voce del Signore diventando prete. Mise in atto quel vendere tutto per non perdere quel pezzo del Regno di Dio e quel vendere tutto è il senso di un gesto non compiuto una volta soltanto ma è il gesto di sempre. Fin da subito, infatti, egli si distinse per il suo essere un sacerdote “diverso” dagli altri. E la sua attenzione fu rivolta innanzitutto ai più poveri, a chi era confinato ai margini della società, basti pensare alle cappelle serotine e al suo evangelizzare a partire dalle case della gente, luogo della quotidianità più vera. Fu davvero un pastore con l’odore delle pecore! E che grande insegnamento e responsabilità per noi pastori di questa Chiesa!

Quanti poveri incontriamo quotidianamente sul nostro cammino… magari il povero è chi è seduto accanto a noi o chi abita alla porta di fronte alla nostra… talvolta i poveri siamo noi… Quanti di noi si sentono sull’orlo del baratro, nel panico e nella profonda solitudine; quanti muoiono di fame e di sete; fame di pane e sete di giustizia, di verità, di relazioni autentiche; quanti si chiudono nei dolori alzando muri invalicabili nell’anima e verso il mondo e, ancora, quanti, purtroppo, sono ai margini negli angoli di strade dimenticate: Pietre di scarto! Gesù ha detto che la pietra scartata dai costruttori sarebbe divenuta testata d’angolo. Sento il bisogno di chiedere, a cominciare da me stesso: come mai abbiamo proclamato al mondo una chiesa dei poveri e per i poveri ed i nostri poveri continuano a rimanere sull’uscio delle nostre chiese, senza entrare, senza trovare spazi?  Provoca tanto il loro grido?

Anche i bambini attorno a Gesù erano rumorosi e gli apostoli cercavano di allontanarli, ma Egli li accolse. Anche il cieco urlava e tutti cercavano di zittirlo perché disturbava, ma Gesù a quel grido   si fermò. Anche la prostituta disturbò la cena lavando con le sue lacrime i piedi di Gesù, ma con il suo modo da parlare e di agire Gesù ha capovolto tutti i canoni di un galateo che mette i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Anche il figlio maggiore di quel padre si lamentava perché lui era stato bravo, non aveva sprecato le sostanze, eppure la festa, le lacrime sul viso, il vitello grasso, il vestito più bello e le danze erano state riservate per l’incontro tra il padre e il figlio che era perduto.

Dire nelle celebrazioni che il Dio di Gesù Cristo è il Dio degli uomini, dei deboli, dei poveri, esige il coraggio della coerenza. Chiede la forza di ripetere le stesse cose fuori dal tempio, testimoni oculari del grande messaggio che lo Spirito ci dona e ci consegna: è il messaggio che ci invita ad uscire allo scoperto, ad uscire fuori dalle nostre prudenze e comode certezze.

Solo quando la fede esce dalle sacrestie, a servizio dell’uomo, nel nome del Vangelo, recuperando la grazia della chiarezza, senza sfumare le finali per paura del quieto vivere, è credibile.

Sant’Alfonso fu uomo di carità: Il vero rischio della carità non comincia quando si mette in gioco la propria vita, ma quando si fa elemosina senza lasciarsi coinvolgere; quando si offre solidarietà senza reciprocità, scegliendo le povertà meno scomode e selezionando i bisognosi secondo i propri bisogni. La carità non è una questione di scelte, perché non si possono scegliere le persone che bussano alle nostre porte.

Eppure, c’è un Dio che ti insegue sempre! Mendicante d’amore!

L’amore non si vede, se ne vedono i segni, i gesti, i riti.  E lo riconosciamo oltre ogni immagine, nell’Uomo della croce, nel Crocifisso dal cuore spezzato. È lì che l’amore invisibile diviene visibile. “Perché l’essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio Crocifisso.” ( C. M. Martini)

Il Signore ci mostra e ci fa comprendere, in ogni istante della nostra esistenza, attraverso la croce, il dolore in tutte le sue sfaccettature: vivo, mai arreso, sacrificato, spezzato, massacrato, infierito, deriso, ma, nella sua poliedricità, illuminato da una luce, la stessa che è in fondo al nostro buio: la speranza. “Fatta di pianti e di attese, di rivolte interiori e di abbandoni alle braccia di Dio, di lotte senza violenza e di soste senza rassegnazione, di angosce per l’ingiustizia sopportata da tanti e di certezze che il Signore un giorno tergerà ogni lacrima dai loro occhi.”

Coraggio, allora: in piedi! Stare in piedi è accettare la sfida che ci viene rivolta da Dio a vivere pienamente e senza riserve. Quando si vivono situazioni incerte, drammatiche, pericolose, quando si è condannati alla sconfitta, c’è una voce a sussurrarci ancora: coraggio!

E come vorremmo sussurrare la stessa speranza a tutti coloro che si sentono confitti sulla croce della malattia: coraggio, in piedi! A quelli delusi dalla vita: coraggio, in piedi! A coloro che masticano il pane amaro del tradimento: coraggio, in piedi! A chi vede naufragare i sogni in cui ha investito senza risparmiarsi alcun sacrificio: coraggio, in piedi!

Il coraggio che ci spinge a rialzarci per abbandonare il letargo delle coscienze e respirare un vento di solidarietà che faccia nuovi i nostri mattini. Perché la delusione non ci sovrasti, l’angoscia non ci anneghi nel suo vortice, la confusione non zittisca il sale delle parole, la triste rassegnazione non prenda il sopravvento.

Coraggio, allora, in piedi: per rimetterci in cammino e lasciare che, dalle ceneri dei nostri rimpianti e dalle prigioni delle nostre paure, scaturisca un fuoco nuovo in un abbraccio pieno di passione e di compassione.

Ma tutto questo ci è possibile soltanto nel momento in cui riusciamo a stare dinanzi al Signore per lasciarci accogliere ed amare da Lui. Solo nella preghiera possiamo trovare il senso, la forza e il coraggio, l’abbandono. È il luogo in cui ci sentiamo accolti, abbracciati, amati; perché è essere guardati da Lui, fino a leggersi in quello sguardo, perdendosi nell’ oceano interiore dei Suoi occhi! Sant’Alfonso fu uomo di preghiera. Profonda. Uomo dell’adorazione al Santissimo Sacramento.

Impariamo a stare con Gesù, per imparare da Lui il cuore di Dio, perché Dio non è un concetto ma il cuore della vita! impariamo a stare con Gesù, per imparare da Lui il primo di tutti gli insegnamenti: come “guardare”, prima ancora di come parlare. Uno sguardo che abbia compassione e tenerezza. Le parole e i gesti seguiranno.

Impariamo a stare con Gesù. La Sua grazia ci renda capaci di lottare con coraggio, di credere che i sacrifici e le piaghe dell’anima potranno essere lavati dalle lacrime versate, che l’indifferenza lascerà il posto ad uno sguardo indulgente e fiducioso. Imparare a stare con Gesù, pazzo d’amore per ognuno di noi per cogliere l’anelito della vita meravigliosa di cui ci ha fatto dono e capire che “La cosa più bella che possiamo fare è sostare accanto alla santità delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. E deporre sull’altare di questa liturgia qualcosa di nostro: condivisione, conforto, consolazione, lacrime.”

La pratica di amare Gesù Cristo, di cui Sant’Alfonso è stato maestro e testimone è la pratica di chi Gesù Cristo non lo cerca soltanto tra le mura di una chiesa ma nel tempio sacro che è l’altro fatto di carne ed ossa. Abbiamo bisogno di convertirci all’etica del volto, Cristo è nel volto dell’altro, nella sua carne, nelle sue gioie e nei suoi dolori, nelle sue speranze.

La scelta del cristiano, allora, non è amare (lo fanno molti, dovunque, sempre,) ma amare come Cristo. Con il suo modo unico di iniziare dagli ultimi, di lasciare le novantanove pecore al sicuro, di arrivare fino ai nemici. Amare come Cristo. Non quanto Cristo, perché nessuno mai amerà quanto Lui. Ma come Lui: con quel sapore, in quella forma, con quello stile. Con quel suo amore creativo e appassionato, che non chiude mai in un verdetto, che non guarda mai al passato, ma apre strade. Amore che indica passi, almeno un passo in avanti, sempre possibile, in qualsiasi situazione.

L’incontro con Gesù rimette in moto la vita, ridona ali alla nostra speranza e ci concede di dare un futuro ai nostri passi. Ed affida alle nostre mani vuote la ricchezza del suo Vangelo di vita. E apre orizzonti di resurrezione che non solo ci cambiano dentro, ma ci spingono ad andare oltre le porte che si chiudono, per renderle sempre più aperture possibili e sensibili alla sua luce.

Il Vangelo è il sogno di rendere più umana e più bella la vita: l’umanizzazione è il grande segno della spiritualità autentica. Annunciare Cristo, parlare di Vangelo, celebrare Messa devono equivalere a confortare la vita affaticata, altrimenti sono parole e gesti che non vengono da Lui.

La pratica di amare Gesù Cristo è imparare il Cristo. Prendete su di voi l’amore; prendetevi cura, con tenerezza e serietà, di voi stessi, degli altri e del creato, diffondete la tenerezza di Dio, iniziando dai piccoli, che sono le colonne segrete della storia, le colonne nascoste del mondo. Prendersi cura di loro, come fa Dio, è prendersi cura del mondo intero. Fu lo stile di sant’Alfonso.

Chiudo la mia riflessione, invitando soprattutto i sacerdoti, a “fissare i nostri occhi su di Lui, il Cristo sacerdote”: è puntare i nostri occhi su di Lui che ci parla, che ci innamora, che ci tormenta, che ci redime. Non per scrutarne in senso indagatore le sue mosse, ma per cogliere da quel volto un riflesso di amore che possa rivitalizzare i nostri volti.

È il volto di Cristo che illumina i nostri passi, attrae con il suo fascino. Se un giorno la sua voce è giunta ai nostri orecchi di giovani ed abbiamo scelto Lui, come unico amore, è proprio perché siamo stati affascinati dalla bellezza di quel volto.

Che la gente ci veda e ci senta innamorati di Gesù Cristo. Oggi come ieri, il Maestro è qui e ci chiama.

Un ultimo pensiero: Sant’Alfonso, soprattutto da vescovo di questa nostra Chiesa, è stato davvero il samaritano. Mi rifaccio, allora, a quella pagina del Vangelo. “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”, un uomo fortunato. Perché l’esperienza di essere stato amato gratuitamente, anche una sola volta nella vita, riempie di senso per lungo tempo la vita, risana in profondità chi ha subito violenza e si è sentito calpestato nell’anima. Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo prossimo è chi ha avuto compassione di te. Allora ama il prossimo tuo, ama i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, rialzato, che hanno pagato per te. Impara l’amore dall’amore ricevuto. Diventa anche tu samaritano.

† don Mimmo, vostro vescovo