BREVE PREMESSA. Così come l’anno scorso, con l’inizio della Novena di Natale e fino al 31 dicembre, proveremo a raccontarvi gli appuntamenti e gli incontri che il vescovo Mimmo sta compiendo e compirà, percorrendo strade, abbracciando, incoraggiando e rincuorando come segni concreti di attenzione e di vicinanza per il nostro territorio diocesano durante questo periodo natalizio. A differenza dell’anno scorso però, non sarà tanto la forma del report a comunicare e a trasmettere quanto avverrà, ma la struttura scelta è quella di un racconto che mischia elementi immaginari (le vicende della protagonista, nelle quali sicuramente ci ritroveremo in molti di noi) a contenuti reali (parole e gesti del vescovo e delle persone che incontra). Perché laddove fantasia e realtà s’incrociano, lì nascono i sogni che, con la loro forza, fanno diventare concretezza i segni. E i segni concreti sono speranza arricchente per tutti. Diceva don Mimmo che solo se perderemo tempo con le persone più in difficoltà e con quelle che fanno più fatica, potremo arrivare puntuali all’appuntamento con la grotta. In una rinascita che è già qui ed è rappresentata proprio da queste stelle che incontriamo ogni giorno, che possono condurci a trovare la direzione per accogliere Gesù che nasce. La mappa delle stelle da annusare, da sentire, da seguire e da percorrere fino alla grotta in parte è scritta (potrete trovarla su questo sito nell’agenda del mese di dicembre), in parte sarà scritta sulle pagine bianche dei nostri percorsi. E ognuno può, anzi deve, scrivere la sua.
La mappa delle stelle che orienterà il cammino è decorata dalla bellezza delle persone che incontriamo nella nostra vita tutti i giorni e che ci sono accanto, molte volte anche quanto meno ce lo aspettiamo. La mappa delle stelle è scritta dagli ultimi, dai più svantaggiati, dalle vittime delle ingiustizie, dagli invisibili, da tutti coloro che non hanno voce, dai poveri: sono loro il volto di Cristo che incontriamo nella nostra vita. Sono queste le stelle che accompagnano i nostri passi e che illuminano la strada del nostro percorso. Impariamole sempre più a riconoscerle, iniziando con il togliere le mani dagli occhi e con il liberare gli occhi allo stupore di nuovi sguardi, di nuove prospettive, di nuove possibilità. Per guardare le persone e le situazioni con occhi diversi. “Conversione dello sguardo”, ci esorta continuamente ad avere il vescovo Mimmo. E come ogni storia che si rispetti c’è un inizio e ci sarà un finale….buona lettura!
Gpm
Da qui si vede un panorama bellissimo, da togliere il fiato. Ma quanta strada per arrivare qua sopra! Quanto cammino! Quanto sudore! Quante lacrime! Rimango davvero senza parole ad ammirare tutto questo: verde tutto attorno, una visione privilegiata in prima fila nel vedere alberi in versione bonsai uno accanto all’altro, rocce in dimensione bocce e di case in modalità miniatura. La percezione che ti viene da quest’altezza è solo di meraviglia. Solo le persone non si vedono da quassù. Ma sai che ci sono. Non è un’aspettativa, ma una certezza. E’ davvero una fine dell’anno col botto quella che sto vivendo. La fiducia è quella che m’ha fatto salire fin qui. La fiducia e basta. Ma, in tutto questo, se ripenso a come sono arrivata qui sopra, non riesco a crederci. Mi dicevo mentre salivo: “Chiara, e tu che eri così pessimista! Eri sfiduciata e non riuscivi a vedere una luce nel buio”. Se ripenso ai giorni scorsi devo fare un leggero salto indietro nel tempo, un piccolo balzo di circa 13/14 giorni. E’ stato tipo il film Sliding Doors. Cosa sarebbe successo se….avessi detto o non avessi detto quella parola, se….fossi andato o non fossi andato in quel luogo. Ero già convinta che ogni giorno facciamo delle scelte, dalle più banali a quelle che cambiano o possono cambiare il sentiero percorso, in un panorama di circostanze che, spesso, riteniamo apparentemente fortuite e che ci proietta in un’altra possibile direzione che la nostra vita potrebbe prendere se e soltanto se. Tutta la nostra vita può essere racchiusa in tre parole: scelta, possibilità, tempo. Sono tre parole che costruiscono la speranza dei sogni e la resistenza di non arrendersi. Ero e ne sono convinta. Mi mancava una quarta parola che precede le altre tre, un verbo: prendersi cura. Spogliando bene questo gesto, mi sono accorta che prendersi cura non annuncia semplicemente un’azione attiva. Il farci carico degli altri non è solo un donare del tempo e tutto te stesso, a seconda delle tue possibilità e capacità. No, affatto. Il prendersi cura è farsi nutrire dalla bellezza che ci bagna ogni giorno. Ci cibiamo quotidianamente di doni ricevuti. A volte non ce ne accorgiamo, altre volte lo diamo talmente per assodato che pensiamo sia dovuto. Sono giorni in cui ho riflettuto molto con me stessa.
Tutto è iniziato quasi all’alba di una giornata che, piano piano, iniziava ad affacciarsi. Stavo nervosamente passeggiando in una stradina di montagna. Ero molto agitata e preoccupata perché, fino a 2 settimane fa, stavo attraversando un periodo non proprio facile della mia vita, di cui sinceramente non mi va di parlare in questo momento. Il risultato, però, di tutto questo era il mio tormento interiore. Ad un certo punto un bagliore improvviso, che quasi sembrava abbandonasse una scia luminosa, poco visibile ma evidente. Oppure ero io ad aver dormito poco, pensai? Subito dopo questo lampo sconosciuto ma rassicurante, una dolce melodia inizialmente lontana: proveniva dall’Unità operativa di Salute Mentale SIR di Bucciano. Durante una messa, Salvatore suonava abilmente con l’organetto “Astro del ciel”, mentre Gioia eseguiva magistralmente con la tastiera “Tu scendi dalle stelle” e Dani, un po’ timoroso all’inizio, esprimeva tutto il suo talento ritmico. Il tutto seguito a breve distanza dagli occhioni verdi della piccola Lucia. Rimasi incantata. Non venivano cantate parole che si ripetono meccanicamente, ma vi era il canto dei suoni. Musica che pompava vita nelle vene e non solo globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. E’ il valore di un suono vitale, di una frequenza energetica rigenerante chiamata speranza. E’ la melodia della vita. Note che lanciate in aria con dolcezza scendevano fino alle mie orecchie. Dolci ma anche amare. Gioiose, ma anche dolorose. Ma fermarsi alla stazione della sofferenza metterebbe un freno a mano sullo stesso cammino. Fermarsi alla sofferenza senza aprirsi alla meraviglia e senza affrontare quei km interiori con la speranza di poter sempre ripartire, sarebbe come ascoltare a ripetizione una stessa melodia muta e vuota, che si alimenta di sofferenza e accresce il dolore dentro di noi. Imparai questo ascoltando quelle note così cariche di speranza. Delusioni, solitudini, contraddizioni e paure appartengono a tutti. Quell’avere speranza significa prendersi cura. Non è sempre facile. Non mancano le difficoltà, gli scoraggiamenti e anche i momenti bui. Ma è proprio durante il buio della notte che si possono ammirare meglio le stelle.