Santa Messa del Crisma

Chiesa Cattedrale, Cerreto Sannita (BN)
05-04-2023

 

Cari sacerdoti, religiosi, care sorelle e cari fratelli,

“Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Gesù proclama l’oggi di Dio, l’anno di grazia del Signore che non è qualcosa di separato dal tempo dell’uomo ma è l’inizio del tempo di Dio, che con Gesù rivela nel tempo, nell’oggi degli uomini.  L’annuncio del Vangelo si mischia con le vicende quotidiane, è l’oggi di Dio con l’oggi dell’uomo, di ogni uomo, non solo per qualcuno, ma per tutti. Gesù proclama l’anno di grazia del Signore ai fedeli nella sinagoga, ma non solo per loro: lo proclama per i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi. E’ la manifestazione dell’amore di Dio per loro. In questa liturgia solenne portiamo all’altare, come fedeli e come ministri, le lacrime dei fratelli e delle sorelle sofferenti, i dubbi di coloro che cercano e non trovano, la rabbia di chi è oppresso e sfruttato, la vita di chi lavora onestamente, educa i figli e i nipoti, il dolore di coloro che sperimentano malattia e fragilità e l’ansia dei loro familiari, i sogni dei ragazzi e dei giovani, le preghiere delle persone umili, le delusioni di chi nelle nostre comunità non ha trovato accoglienza, le ferite e le gioie di ogni giorno. È l“oggi” dell’uomo, che diventa una sola offerta con il pane e il vino che oggi faremo; è l’oggi della Chiesa luogo della manifestazione e sacramento di Dio tra gli uomini.

Gesù, a Nazareth, sente realizzata nella sua vita la profezia del profeta Isaia. La Parola di Dio chiarisce a Gesù la sua vocazione e possiamo dire che ogni vocazione è chiarita dalla Parola di Dio. Ognuno di noi credo abbia delle parole della Scrittura che hanno segnato il suo cammino ed il suo discernimento. Oggi rinnoviamo con tanta gratitudine, le promesse fatte quando abbiamo avuto il dono di essere stati consacrati sacerdoti; pensati non da soli ma in un presbiterio; non padroni ma al servizio della comunione e dell’unità della Chiesa, insieme a chi, in virtù della consacrazione battesimale e del sacerdozio ministeriale, forma con noi «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che egli si è acquistato». È la gratitudine larga di chi è stato “unto “dal Signore. Infatti negli oli e nel crisma che benediremo in questa Eucarestia ritroviamo i diversi doni che il Signore affida al ministero della Chiesa: il sacerdozio comune, il sacerdozio ministeriale insieme al dono di poter esser sostegno e conforto nella malattia e di fronte alla morte. È la missione della Chiesa sinodale, del volto nuovo che la chiesa si sta dando: tutti parte di un popolo, non più folla, ma un popolo, una famiglia che non esclude nessuno e che anzi cerca tutti. Tutti chiamati alla corresponsabilità ed a dare il proprio contributo nella ricchezza dei ministeri che la Chiesa propone. Tanti ministeri diversi, ma per tutti la stessa dignità, quelli di essere figli amati e mandati, figli nei quali il Signore ha posto il suo compiacimento. Ci uniamo con affetto anche a chi per motivi diversi non può essere qui con noi e vogliamo pensare al nostro caro don Riccardo, don Michele, don Antonio, don Edoardo, don Iosif, padre Diodato … che sono uniti a noi spiritualmente.

Sono certo che, anche se nella novità del mercoledì mattina, oggi gustiamo il dono di essere di nuovo insieme, intimamente uniti a Dio e tra noi. Con i sacerdoti rinnoveremo le promesse sacerdotali proprio per confermare il dono ricevuto. Lo facciamo in questa Chiesa Cattedrale, dove domenica abbiamo celebrato la liturgia delle Palme, segno di pace in un mondo ferito dalla guerra. L’annuncio del Vangelo della pace resta una priorità della nostra vita.

In questo tempo di smarrimento, di spaesamento e di dolore, in cui abbiamo visto con quanta forza il male si abbatte nella vita degli uomini, prima con la pandemia e poi con la guerra, con il terremoto in Siria e Turchia, ma poi anche con la povertà che cresce, con il dramma senza fine dei migranti,  comprendiamo ancora meglio il valore del mandato per cui siamo stati consacrati e inviati: è lo stesso mandato che il Signore Gesù ha sentito come  suo e realizzato in pienezza: “Portare ai poveri il lieto annunzio, proclamare la libertà ai prigionieri e ai ciechi la vita, rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Vorrei sentissimo la forza di questa consacrazione e di questo mandato soprattutto davanti al dolore e al bisogno di tanti. Questa settimana santa, che domani con il triduo entrerà nei suoi giorni più santi, sia per tutti noi, sacerdoti, consacrati, battezzati tutti, un momento di rinnovamento umano e spirituale, in cui rinnovare il valore del nostro essere discepoli del Signore. La Pasqua è una vera scuola di consacrazione; dalla Pasqua viene da Gesù la proposta di un nuovo umanesimo. Nel Triduo troveremo la forza e la strada per essere veramente uomini e donne nuovi, sacerdoti, consacrati, laici secondo il cuore stesso di Dio. Uomini e donne pacifici, non violenti, solidali, fiduciosi non nelle proprie forze o capacità, ma nella presenza e vicinanza di Dio; uomini e donne portatori e testimoni di fraternità.

Fissiamo anche noi lo sguardo su Gesù. Impariamo a fare nostro il suo sguardo largo e benevolo, che aiuta a fermarsi davanti alle ferite e al bisogno degli altri per incontrare, capire, curare, accompagnare. I malati e gli anziani ci aspettano. Ci aspettano i piccoli e i giovani che hanno bisogno non di essere giudicati, ma capiti e sostenuti, ascoltati, aiutati a non cadere nell’inganno della violenza, dell’alcool o droga, che facilmente possono trovare nelle nostre strade. Ci aspettano le famiglie che cercano sostegno e amicizia. Ci aspettano gli stranieri che rimangono a volte nascosti alle nostre comunità, nonostante molti siano in mezzo a noi da tanto tempo. Ci aspettano tanti diversamente abili. Ci aspettano tanti per ritrovare speranza, per essere unti con l’olio dell’amicizia e della tenerezza.

Rendiamo sempre più bella, affettiva, comunitaria la celebrazione eucaristica della domenica, perché non sia solo un rito ma un momento di grazia che cambia la vita perché ti fa sentire parte di una famiglia. Non vogliamo essere una folla, ma popolo e la Messa della domenica celebra la festa del popolo, della comunità attorno al suo Signore che non si è stancato di desiderare ardentemente di mangiare ogni Pasqua con noi. Riconosciamo la presenza di Dio nella storia e affidiamo le nostre vite a Lui e alla sua protezione, perché è Lui il vero e unico Signore.

Se stiamo qui è perché abbiamo scelto di seguire Lui e oggi Gesù si presenta a noi come l’umile che si è abbassato per servirci, il mite che ha rifiutato la violenza perché vincesse l’amore. Così egli ha voluto il suo popolo, noi, la sua comunità, il suo presbiterio, unito attorno a lui che si china su di noi. Non uomini orgogliosi, pieni di sé, e per questo insoddisfatti e divisi, ma umili e miti, attenti al bisogno degli altri, pronti a servire e non ad essere serviti.

La forza viene dal Signore stesso. Che il crisma faccia profumare di santità la vita di chi ne sarà unto. L’olio degli infermi consoli un mondo ferito nella solitudine delle malattie e aiuti noi ad essere vicini a tanta sofferenza. L’olio dei catecumeni protegga dal male e faccia sentire suoi, testimoni della gioia dell’incontro con Cristo, nostra salvezza. Che ogni nostra comunità viva con rinnovato slancio e passione la sua missione profetica, sacerdotale e regale e sia capace di rendere “Fratelli tutti” un mondo diviso e individualista. Il Signore ci doni di essere luce in tante tenebre, famiglia nella divisione e nella solitudine, di mostrare il volto di Cristo per tanti che lo cercano e lo desiderano.

E così sia.

+ Don Giuseppe