QUANDO LE LACRIME TORNANO AGLI OCCHI E TI FANNO PIU’ MALE – lettera del vescovo Mimmo per la III Domenica di Avvento, 17 dicembre 2017

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17-12-2017

Ciao Carmen,
scrivo pensando a te. Ti ho incontrata nel tuo dolore. Ho incrociato la tua sofferenza, lo sgomento, la disperazione per il vuoto della morte di tuo figlio, Francesco.
L’incontro con te continua a interpellarmi. Il tuo deserto improvviso ci chiama, ci raccoglie, ci chiede di unirci a te: “preparate la via..”. Prepariamola insieme. Permettici di stare un po’ con te.

Rifletto sui nostri passi affrettati, agitati. Una realtà in profondo movimento, smania che svela in noi, nascosta, una ferita: la presunzione di essere tutto, avere tutto. La ferita dell’inadeguatezza che si esprime nella ossessiva pretesa di fare di più. Una sorta di delirio di onnipotenza che ci allontana da noi stessi e dagli altri.

Dimentichiamo che l’essenziale non è fare qualcosa ancora, ma ciò che ci serve per vivere.

I nostri volti non riescono a nascondere la lotta perenne con la nostra precarietà. Volti che a volte ostentano dominio di sé e dell’altro, che inducono timore. Volti coperti dal trucco che si scioglie in rivoli di nero ogni volta che la pioggia torna a bagnarli. Come sono più veri i volti non consumati dal mito di essere diversi, dall’ansia di apparire assoluti e senza tempo: ti si danno nella loro verità e fragilità. Ti raccontano la loro storia. Volti fragili ma che si lasciano accarezzare. Un volto potente lo temi, un volto fragile lo accarezzi.
Ci sono occhi in cui abita senza veli il mistero tenero della nostra fragilità. “Sarà che tutta la vita è una strada e la vedi tornare, come le lacrime tornano agli occhi e ti fanno più male”.
Mi rendo conto, mentre scrivo, di quanto sia difficile oggi ascoltare il tuo pianto e confonderci con esso. Presi dal quotidiano frenetico, non abbiamo tempo per ascoltare la notte che è dentro di noi, eco dei nostri fallimenti, rotture, delusioni, impotenze. Una grande paura stringe anima e mente. La corsa fa tacere il silenzio: se lo si lascia parlare, potrebbe schiacciarci, distruggerci.
Coraggio! Se ci concedessimo questa possibilità, troveremmo il tempo necessario, staremmo con te.
La notte non è solo l’ignoto, il buio, la fine. La notte è una possibilità che ci è data di vedere a partire dalla nostra interiorità. La corsa affannosa di fuori si fa ricerca, desiderio di una voce che dia significato dentro al nostro dolore. La notte diventa ascolto. Ci rende pronti a rapire il messaggio del vento, a negoziare col cielo, preghiera insistente nell’attesa di una parola che riveli il senso di questa nostra storia. Coraggio di aspettare un segno, una voce, una presenza. Per te, per noi.
Voce capace di abitare il silenzio. Presenza che non sia segno, voce d’uomo, perché siamo stanchi di illudere la nostra stanchezza … stanchezza di essere uomini.
Quando quella voce si dà, quando quel segno appare, è tutto vero! Il tuo pianto si confonde con il nostro e insieme si placano. La parola dal cielo giunge come giustizia, viene a visitare il cercare, la fatica, il desiderio di vedere il bene, di crederlo ancora possibile. La verità viene a irrigare i nostri volti, li trova assetati, fragili. In noi si apre una via che è vicinanza di prossimi. Via donata, via dell’avvento del Signore. Ed è anche il tuo avvento, il nostro avvento.
Ci hanno raccontato di una sterile divenuta madre in tarda età, di una Vergine divenuta madre prima che il marito la prendesse con sé. Ci hanno raccontato del loro incontro, della prossimità gratuita diventata segno nella loro vita della prossimità stessa di Dio. “Il Signore si è ricordato della sua misericordia, l’anima magnifica la sua opera”. Lode di coloro che lo attendono, che non hanno altra consolazione che in lui, che lo riconoscono Signore, Signore della loro vita.
Voce nuova, parole che sono annuncio di gioia, riconoscimento dei segni dell’operare di Dio.
Ci hanno raccontato che il figlio della sterile un giorno disse: preparatevi perché è vicina la vostra salvezza. Ci hanno raccontato che il figlio della Vergine, cresciuto e fatto adulto, un giorno disse: io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me, anche se morto, vivrà.
Queste voci e questi segni vengono ad abitare il tuo deserto, il nostro deserto. Hanno ancora senso le nostre lacrime, la nostra incredulità, il nostro disappunto, le nostre stanchezze? Ha ancora senso il nostro rifiuto del limite umano? Mi sembra che tali lacrime racchiudano una luce, come feritoie da cui penetra la vita stessa. È questa la luce che splenderà nelle tenebre. Niente farà più paura, un giorno il figlio della Vergine spezzò le catene della morte ed inaugurò l’eterno donandocelo.
Solo questo amore così concreto, vicino, volto di un Dio che mette tra le nostre mani il suo sogno, solo questa logica di prossimità senza riserve, donata per sempre, possono chiederti di non piangere più, di accogliere la possibilità di futuro che viene come consolazione, liberazione, speranza. Ritornerà tuo figlio, come ritorneranno i nostri sogni migliori.
“Io sono la resurrezione” disse il figlio della Vergine ed esplose un nuovo chiarore: come se il cielo sorridesse annuendo.
Un raggio di sole filtra e diventa ora forza: Francesco è l’essenziale … che fa battere il cuore … è l’essenziale che ora chiede di vivere per quello che non si vede ma è ragione di tutto. Francesco è un grazie che fiorisce … ai piedi di Dio. Raggio di sole anche per Lui. Dio non abbandona, raggiunge ciascuno, si rivela nel cuore. È lì che germoglia la verità. È lì che germoglia nuovamente l’umano. Anche nel dolore. Il Signore non tarda. Prende in braccio.
La sua compassione e il suo perdono rimarginano ferite. La benedizione fiorisce su labbra prima mute. La debolezza diventa forza, il rialzarsi trasforma l’esperienza della propria fragilità in dignità.
Il dolore diventa spazio d’amore, memoria di una misericordia che non smette mai di chinarsi, di trovare ragioni, di riempire vuoti. Le cicatrici rimangono e, non di rado, fanno ancora sentire il loro dolore. Sono memorie brucianti che ci ricordano quanto siamo fragili; ma più forte della morte è l’amore segnato da vuoti e sofferenze, incarnato e risorto! Un amore che ha storia e futuro, volti. Un amore come quello di Gesù.
“È sempre bellissima la cicatrice che mi ricorderà di essere stato felice”.
Il volto di un figlio è il primo che rimanda al nostro. Avere il coraggio di vivere vuol dire accogliere di lasciarlo vivere in te, certa soltanto dell’amore che genera e fa vivere.
Continua a dare vita avendo cura della profonda tua ferita. Fa’ spazio a quell’umano che è presente in te, riconosci e incontra quell’umano che ti chiede di resistere, che ti chiede autenticità, che ti chiede di vivere fino in fondo la sofferenza. Vi ritroverai la gioia. La gioia per aver toccato la Vita. Vi troverai altri con te, ragione del tuo esserci.

L’amore è senza storia perché non fa rumore. La vita continuerà ad esigere l’amore quando apparirà inutile, sprecato, debole. Amore che ci precede, ci accompagna, ci visita e rialza. C’è una storia che ne parla, che vive solo in forza di questo amore e investe moltitudini di cui noi non ci accorgiamo. È l’amore stolto che non riesce a trovare parole che si impongano nelle piazze pubbliche della cultura ufficiale, parole di prestigio.
Nel deserto, Giovanni Battista risponderà tre volte “io non sono …”. Tu chi sei? Questa domanda è rivolta anche a noi, in fondo ci ha raccolti con te, nel tuo deserto, diventato ascolto. “Io non sono” è la risposta di chi si spoglia di ogni ruolo, di chi lascia cadere ad una ad una tutte le apparenze, di chi ha ritrovato il nucleo della sua identità, di chi si lascia riaprire il volto dalla luce.
Tu chi sei? La risposta è nello sfrondare da apparenze e illusioni la nostra vita. Non sono né il gigante dei miei sogni, né il nano delle mie paure. Non sono ciò che gli altri credono di me, non sono il mio peccato, non sono ciò che appaio.
Giovanni si riconosce nel sì della sua vocazione e della sua missione. Ritrova il senso, il motivo del suo esistere, in un altro .. “io sono voce”. Dio è la Parola. Io sono voce, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che vengono prima di me, che saranno dopo di me.
La Parola ridona respiro. Ci ridona a noi stessi, alle relazioni, al mondo, alla storia. Ci attraversa e ci apre a un infinito che ci abita. Soprattutto la Parola ci chiama ancora e ci manda. Ci chiede di accogliere la vita come chiamata, sempre ulteriore, luce nella notte, primavera dello spirito.
Giovanni non è la luce, è venuto per rendere testimonianza alla luce. È voce di uno che grida nel deserto perché la vita possa tornare a splendere, perché possa tornare a essere luce per gli uomini, verità che non muore, accoglienza fino in fondo, cura senza sosta.
Giovanni rende testimonianza a un Dio ‘non ancora conosciuto’, prossimo e innamorato. Il Verbo della vita. Dio è già presente in mezzo a noi, ci attende insieme perché possiamo riconoscere in lui la nostra via, la verità, la vita. Nel volto di Gesù, la misericordia infinita del Padre. Il Signore della vita è colui che salva, ama, perdona, guarisce, sana, cura ogni nostra infermità.
Il dolore e l’ombra possono annebbiare il nostro cuore ma non possono toglierci la capacità di riconoscerlo e accogliere la luce vera. Il cuore, anche il tuo, è già sulla linea mattinale della luce che sta sorgendo, che sembra minima eppure si alza, vincente, ogni giorno, a ogni alba.
È la stessa luce che riconosci nell’autenticità di chi ti è accanto, nella semplicità, nella verità di chi vive donandosi, lasciandosi conoscere, lasciandosi incontrare nei propri limiti e ricchezze. È la luce che ti ricorda che l’amore senza riserve è la misura.. la misura della vita.
Risorga in noi la gratitudine per la grazia che sta toccando, accarezzando, la nostra vita, perché la vita è da toccare, nelle sue gioie e nelle sue tristezze, nella sua dolcezza e nella sua fragilità.
I tuoi occhi di pianto, Carmen, ora mi fanno pensare solo alla vita.
L’augurio che sento nascere dentro, per tutti e per ciascuno, è di sorprenderci nuovamente testimoni di questa luce!

+ don Mimmo, tuo Vescovo