Caro Claudio,
sono qui e ti penso. Ho preso carta e penna e ho iniziato a scriverti questa lettera.
I pensieri si rincorrono nella mia mente e le cose che vorrei dirti sono tante. Vorrei raggiungere i tuoi angoli più bui e abitarli insieme a te. Vorrei essere lì, al tuo fianco, per vivere insieme a te la tua solitudine. Vorrei essere lì e sperare insieme a te in quest’attesa, in questa nuova attesa. Vorrei essere lì, semplicemente per iniziare….
E mentre ti scrivo mi rendo conto che, forse, questa lettera non la leggerai mai, forse nemmeno avrai la forza per aprirla. Guardo fuori dalla finestra, fa freddo, ma un raggio di sole filtra e riscalda timidamente la mia mano.
Mi viene da sorridere … qualcosa mi dice che qualcuno ti farà avere questa lettera o magari la leggerà con te. Qualcosa mi dice che i ragazzi e i giovani di questa mia terra, e tutti coloro che in questo momento sentono il peso della vita, il freddo delle proprie nudità, il travaglio delle scelte, ci faranno compagnia in questo nostro sostare in attesa. Le nostre parole potranno raggiungere anche loro.. come voce lontana che cerca il passo dell’altro.. lo sguardo dell’altro.. il suo disagio e la sua indecisione, la sua tristezza e la sua stanchezza. Questo raggio di luce non è qui solo per me e per te. Ricorda a tutti l’avvento del Signore che viene.
Allora ricomincio, rifletto sui nuovi inizi … e parto anch’io, come il vangelo di questa domenica d’Avvento, dall’inizio.
“Inizio del vangelo di Gesù Cristo”…
Per dirti che la tua vita è luogo di profezia proprio quando è infinitamente piccola, eppure continuamente incamminata, quando la tua vita legge e riconosce vicina quella prima parola del vangelo. Ricominciare è sempre possibile.
Un nuovo inizio: ripartire da lì, dove tutto sembra fermarsi. Vangelo vuol dire buona notizia.
Ed è la buona notizia di un Dio che si è fatto vicino all’uomo, si è fatto amore, solo amore, sempre amore! Gesù si fa nuovo inizio per noi, per te, per me. Si fa presenza, si fa memoria che dà forza e luce quando gli occhi stentano a riconoscere il senso di un cammino.
Da che cosa allora ricominciare a vivere? A progettare?
Possiamo, puoi, ripartire da qui.. da Lui.. che viene..
Mani impigliate nel folto della vita! Prende su di sé dubbi e timori, entra nel tuo deserto. Nulla di umano gli è estraneo. Tu puoi accorgerti di quanto ti è vicino, puoi ritrovare in te i segni della sua presenza.
La sua parola opera in noi, ci porta alla vita, ci introduce in quell’amore che è la vita stessa di Dio, e ci fa umani.
Anche la gioia rinasce perché una voce c’è: “Voce di uno che grida nel deserto”.
Il deserto non è più deserto. Il tuo inizio diventa il mio inizio, il nostro inizio. La nostra via da percorrere.
Fermati su questa parola: “la via”. Una via da aprire. Una via che sia una vera via e non un imbroglio o un fallimento; non una strada che poi, a conti fatti, si riveli strada senza vie di uscita, sbarrata.
A chi tocca preparare la via? Nella citazione di Isaia dapprima sembra che debba essere un messaggero a fare da apripista: “Ecco dinanzi a te io mando il mio messaggero. Egli preparerà la tua via”.
Ma subito quella voce dal deserto, voce che è grido, rilancia una chiamata al plurale, un invito corale. Quasi che preparare la strada non fosse compito di uno, ma possibilità offerta a tutti. Entrano in scena tutti: “Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate” – al plurale – “preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
Tante volte hai vissuto momenti di sfiducia e sconforto nel non sapere più che strada scegliere, la sensazione di essere come smarrito.
Smarrimento.. l’esperienza di come quell’orizzonte che sembrava limpido, di colpo si annebbiasse e si facesse fatica ad intravedere la via. Succede quando la nebbia diventa fitta e quasi gli occhi non bastano ad intravedere un pezzo di strada. Sicura. Affidabile. È successo tante volte anche a me. Succede a tanti.
Succede quando facciamo i conti con le nostre rassegnazioni, stanchezze e, soprattutto, delusioni. Quando sembra avere il sopravvento la solita realtà implacabile col suo peso schiacciante di male, violenza, assurdità, o la nostra realtà personale quando la percepiamo inadeguata e soffocante, fatta di dimissioni, paure e compromessi a cui ci siamo assuefatti. Mi sembra molto concreto questo invito a preparare una strada che sia la strada di Gesù: quella che emergerà dal racconto del suo vangelo. Si delineerà davanti agli occhi una via. Concreta, perché è una persona in carne ed ossa. Concreta come la sua vita. Il vangelo non è una dottrina, un insieme di parole o definizioni, è una via, ha la concretezza di una strada.
Apri questa strada nella tua vita. Anzi “apriamola insieme”. Non è mai solo strada di un singolo, è sempre strada per l’umanità, sulle Sue tracce.
È un mistero grande che ci avvolge. È il suo amore che si fa via, verità, vita.
Ognuno ha la sua strada, percorsa e ancora da percorrere. Penso ancora alle avventure della strada, alle avventure della vita di ognuno di noi, alle nostre stanchezze, ai nostri smarrimenti e risuona con più forza: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”!
È possibile! Il Signore si affida a noi, alla debolezza delle nostre mani ma anche allo stupore che rinasce nei nostri occhi!
I colli da abbassare e i burroni da riempire non sono immagini poetiche. Nella nostra vita ci sono montagne di supponenza, autosufficienza, presunzione, che vanno spianate per ritrovarci in una dimensione di povertà. Ci sono abissi vertiginosi di vuoto, insignificanza, stordimento, non-senso, che occorre riempire con qualcosa di autentico. Ci sono terreni accidentati di ambiguità, compromessi, contraddizioni, da spianare. La strada dell’allontanamento, della fuga, è sempre veloce, sempre facile. Quella del ritorno, della “conversione”, esige tempo, fatica, ostinata volontà di liberazione. Il nuovo inizio è però possibile e si fa segno concreto proprio nella strada, donata per sempre a tutta l’umanità. Tu diventi segno di ciò che Dio sta rendendo possibile nei deserti di questa storia. È la strada di un ritorno. Ed è bellissimo scorgere nei sentieri di questa storia barlumi di speranza che hanno un volto, il nostro volto. È la strada, aperta a tutti, di un ritorno a sognare, a vivere, ad amare. Volgiti anche a tu a questo Dio che si sta voltando verso di te. Sentirai nascere nei tuoi piedi la forza di camminare, nel tuo cuore il coraggio di provare a cambiare rotta.. qualunque sia la tua reale condizione.
Quella che oggi viviamo è una stagione che sembra distinguersi per il mito ubriacante dell’efficienza e della qualità: se sei al massimo delle prestazioni, se sei al massimo dell’eccellenza, conti; se non lo sei, non conti. È una visione della vita ampiamente esibita, celebrata ossessivamente dai media: la vita deve essere bella, perfetta, intelligente, ricca di successo, la vita conta se è così, se appare.
Conseguenza ineludibile di questa visione della vita, sotto gli occhi di tutti, è la riproduzione, inarrestabile, di maschere, a nascondimento delle nudità. Maschere e mascheramenti.
Chi porta maschere di vanità e di ipocrisia, lo sappia o no, le porta a inganno, di se stesso e degli altri. Tentativo ingenuo o disperato di nascondimento. Purché non appaiano fragilità e debolezza.
Forse è ora che cominciamo a resistere a questo impoverimento della vita. Quasi che la vita fosse riducibile – ed è dissacrante – a quella che urla immagini di sé, che maschera gli anni cancellando le rughe, che esibisce superiorità e prestigio. È vita quella che ogni giorno, quasi pane quotidiano, tiene cattedra, cattedra di seduzione, da tanti programmi televisivi?
Li osservi con occhi di disincanto, abbagliati dal mercato di sentimenti e da gente palestrata, da compagnie d’alto bordo e da pifferai del sultano e ti chiedi dove sia “il cuore pensante”.
Allora ringrazia, sì, ringrazia per le possibilità che hai avuto, per le mediazioni che hanno contribuito gratuitamente ad aprire i tuoi occhi che ora si accorgono della pochezza, della povertà, dell’assenza di sentimenti e di umanità vera. Fa’ opera di detronizzazione dentro di te. Deponi le immagini prepotenti dai troni che amabilmente, fraudolentemente, i menestrelli del nulla hanno, ad arte ed interesse, costruito. Ricorda sempre che l’opera di detronizzazione inizia dentro di te. Nega loro la tua anima. Negala sdegnosamente.
Ama la vita nella sua interezza, ama la vita come succede, con le luci e con le ombre, con i ritmi con cui accade. Ama la vita, prenditene cura, è la tenda del Verbo. Amala, con i suoi turbini e le sue tempeste, ma ancora di più con il suo sole e le sue rose. Non snaturarla, ha una sua lentezza: se la neghi perdi il colore e il sapore, il colore e il sapore della vita vera, autentica. Fuggi l’inganno dell’illimitato, che ti fa stare in quello che succede senza esserci, perché i tuoi occhi sognano altro, sono già altrove, non alla pagina della vita che stai leggendo, al volto che stai incontrando, all’emozione che ti sta sfiorando.
Ascolta ciò che hai dentro, ascolta i battiti del tuo cuore! Credi in quel che vedi dentro! Prova a guardare oltre il muro che hai costruito in questi anni. Ogni giorno è un dono, a te affidato. Puoi viverlo con tutte le tue forze. Vivi la tua vita, senza alibi. Lasciati vincere dall’amore semplice. Chi entra nel tuo raggio d’azione possa non volersene più andare! Non smettere mai di credere in te, nella forza incredibile che c’è dentro di te. E’ la forza della vita. Che non ci sia mai scritto nella tua vita, sul tuo volto: “vuoto a perdere”. Il trucco c’è, si chiama semplicità.
Non darti mai per vinto, sei più forte di quanto credi. La paura non è mai una scelta di vita. Non vergognarti mai della tua fragilità o della tua debolezza, non tirarti indietro.
Forse anche questo ci insegna l’incarnazione di un Dio che ha abitato il frammento, che abita la nostra povertà e debolezza. Lui che stava nelle misure degli umani con rispetto per le loro lentezze, con sguardo di tenera compassione per la debolezza e la fragilità che incrociava. Un incrocio cui negava fretta di sorpasso: si fermava, si chinava e rialzava.
Lui, icona sulla terra, trasparente e immensa, del Dio pastore, che misura il passo su chi fa più fatica, sulla pecora malata, stanca, rassegnata.
Lui che rivendicò per se stesso non la figura del messia trionfante, ma quella di un messia curvo sulla terra, che mai e poi mai si azzarderebbe di fare scempio di una vita in frammenti.
Lui che quando si trattava di fare parabole aveva premura di inventarle con le cose piccole della vita, nell’intento segreto di farle guardare a noi, che troppo spesso le oltrepassiamo con occhi indifferenti. Vorrei avere i suoi occhi, le sue mani. Mani e occhi che accarezzavano, si incantavano, restituivano valore alla piccolezza, alla debolezza, alla fragilità delle cose.
Preparate la via: incantatevi per le piccole cose! Ma poi è vero che sono piccole?
Apri la finestra: contempla la riga blu del cielo fra i tetti della città o la striscia silenziosa della luna, il viso di un bambino o l’arco che fanno le rughe sulla fronte di un anziano, la delicatezza di un fiore, le mani strette dei ragazzi innamorati, il vociare dei bambini mentre giocano.
Apri la finestra.
Anch’io mi riprometto di aprirla ogni giorno là dove la vita mi chiama.
E oggi la apro. La apro per me, per te. E non mi spaventa questo freddo. E sento il sole! Ed è un inizio! Ancora!
È un’occasione l’avvento. Purché io ci creda. Purché noi ci crediamo. È benedizione.
+ don Mimmo, tuo Vescovo