Prima Santa Messa presieduta dal vescovo Giuseppe nei Primi Vespri della Solennità di Sant’Alfonso Maria de Liguori, nella nuova Chiesa di Telese Terme

Chiesa "Sant’Alfonso Maria de Liguori", Telese Terme (BN)
31-07-2023

Care sorelle e fratelli, saluto con affetto i Parroci, don Gerardo e don Gianmaria, il nostro caro Sindaco, il Comandante della Polizia Municipale, le autorità civili e militari. È bello ritrovarsi questa sera a celebrare per la prima volta la Solennità di Sant’Alfonso Maria de Liguori, Santo a cui abbiamo voluto dedicare questa nostra Chiesa. È, questo, un luogo sacro, e sacro non significa separato dalla nostra vita, distaccato, quasi come se il Vangelo e la vita fossero due mondi estranei l’uno all’altro. Anzi. Questo luogo non è un tempio dove offrire un sacrificio per ottenere qualcosa in cambio, ma è una casa, sacra perché abitata dal Signore e abitata dalla Comunità che la vive. Il Cardinale Zuppi nella sua omelia per la Dedicazione di questa Chiesa a Sant’Alfonso, ricordava che: «Qui vediamo la pienezza della Comunità, ma dobbiamo contemplarla attraverso la vita ordinaria. Si ritrova intorno all’altare ma è la stessa che si fa pellegrina. L’Eucarestia inizia qui, la gustiamo nutrendoci della Sua parola e del Suo corpo, per vivere l’eucarestia del servizio, il sacramento del fratello, quello del chinarsi a lavarsi i piedi e di farsi servi gli uni degli altri. Una casa che è un luogo santo […]. Non è un museo, non è un club, non ci sono i nostri contrapposti agli altri, non è un teatro dove si assiste ad uno spettacolino, non è un albergo per buoni intenzionati, ma è sempre la casa del Signore, di sua Madre, della quale siamo figli e che dobbiamo prendere nella nostra casa. Quanto c’è bisogno di una casa da amare, in cui sentirsi a casa, ma non padroni, in cui imparare ad avere attenzione al prossimo». Cari amici sono parole importanti queste del Cardinale che ci fanno sentire tanta gratitudine verso il Signore per il dono di questa casa abitata da Lui, per il dono della Comunità che vive questa casa e del dono del servizio che siamo chiamati a vivere in questa casa. Servizio al Signore, servizio ai fratelli. Questo è un luogo dove ritrovare se stessi, perché noi ritroviamo noi stessi con gli altri, mai da soli e comprendiamo chi siamo sempre stando con gli altri e soprattutto aiutando gli altri. Ritroviamo e comprendiamo noi stessi, chi siamo, a partire dall’incontro personale con Gesù. Sant’Alfonso, diceva sempre il Cardinale Zuppi, ha saputo cantare la misericordia di Dio che si fa compassione per le tante miserie e povertà umane. In maniera affettiva. Sant’Alfonso, infatti, ha vissuto come Gesù che, ci ha detto il Vangelo, percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo del Regno e curando – che significa anche prendendosi cura – ogni malattia e infermità. Come Gesù, Alfonso seppe guardare le folle, quelle a cui nessuno dava valore e ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Stanche e sfinite perché costrette ognuno a pensare a sé, senza avere qualcuno su cui poter contare. Sono anche le folle dei nostri anziani, dei nostri bambini; sono anche le folle dei nostri giovani, delle tante famiglie bisognose di ritrovarsi. Sono le folle dei migranti che si affacciano sulle nostre terre. La settimana scorsa abbiamo accolto tre coppie di giovanissimi somali arrivati sulle nostre coste dopo quattro giorni e quattro notti di viaggio sui barconi. La nostra diocesi vuole essere terra di speranza per i nostri giovani ma poi per tutti. Alfonso seppe guardare tutti con compassione, seppe cioè ascoltare le loro domande, se ne fece carico e credette nella forza della preghiera accogliendo l’invito di Gesù che disse ai discepoli: «La mèsse è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della mèsse perché mandi operai nella sua mèsse!». Sant’Alfonso, in particolare ai parroci, raccomandava di aiutare i poveri con gesti concreti e la sua mansuetudine e la sua carità attirava ognuno.
Uno dei suoi pensieri più conosciuti è: «Il paradiso di Dio è il cuore dell’uomo». E il paradiso non è del cuore degli eroi, di chi sa fare cose grandi. Siamo abituati a pensare che ciò che vale è nelle grandi cose. Pensiamo che vale la vita solo di chi riesce a fare grandi gesti, ma Gesù ci insegna che il valore della vita inizia nell’avere compassione per le folle, una compassione che sa farsi anche preghiera. La fede, infatti, si nutre di piccole cose ogni giorno, e non di grandi cose che succedono una volta nella vita. E poi sappiamo che la fede di un uomo o di una donna non è qualcosa che si vede o che si può ostentare. Possiamo vedere però i frutti della fede, che sono i gesti piccoli e grandi dell’amore e della pace.
Sant’Alfonso non è uno che amava apparire. Si racconta che invitato dal Cardinale Orsini insieme ad altre personalità ed altri prelati si sentì dire dal maggiordomo: «Monsignore, avete poche possibilità di essere ammesso con l’abito che portate!». Alfonso, infatti, per povertà possedeva solo la sottana di missionario redentorista e così si presentò al palazzo del Cardinale il quale, però, come lo vide l’abbracciò e lo fece mettere ai primi posti. Quello che conta infatti no è quello che hai, o quello che appare, così ragiona il mondo, ma conta chi sei verso il Signore e verso i fratelli. Quello che conta davanti a Dio è quello che si ha nel cuore.
Negli anni della gioventù, dopo gli studi in diritto civile e canonico, era diventato l’avvocato più brillante del foro di Napoli. Ma non accettò il malcostume del suo tempo. Indignato per la corruzione e l’ingiustizia che in quegli anni inquinavano l’ambiente dei tribunali, abbandonò la sua professione e nella ricerca di un senso vero e profondo per la sua vita comprese che il Signore lo chiamava ad un altro servizio, quello al sacerdozio, e Alfonso diventa l’avvocato di Dio pronto a difendere le cause del Vangelo, della pace, della giustizia, dei poveri. «Lo Spirito del Signore è su di me», ha ricordato il profeta Isaia, «perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore». È grande infatti, da sacerdote, il suo impegno verso le persone più umili della società. Anche i suoi canti erano il parlare di Dio nella lingua del popolo.
Cari amici, la porta che attraversiamo ogni volta che entriamo qui è la porta che ci introduce nella casa e nella vita di Dio e la vita di Dio, il Regno dei cieli è nascosto nella vita di Gesù, nei suoi insegnamenti, nei suoi gesti, nelle sue scelte. Sant’Alfonso, ha vissuto la sua vita avendo cura del suo mondo interiore e noi abbiamo bisogno di imparare a parlare con Dio, di fare nostro il suo linguaggio, le sue scelte e Dio ci dona le parole per rivolgerci a Lui, ci dona la Scrittura, ci dona i salmi che ci danno le parole che non sapremmo mai dire. E Alfonso ci indica Maria come Madre che sempre intercede per i suoi figli. Lui stesso scrive nel libro “Le Glorie di Maria”: «A voi mi rivolgo poi, o mia dolcissima Signora e Madre mia Maria: voi ben sapete ch’io dopo Gesù in voi ho posta tutta la speranza della mia eterna salute». E ancora Alfonso conclude Quanno nascette ninne cantando: «O Maria, Speranza mia, Mentre je chiango, prega Tu: Penza ca pure Si fatta Mamma de li peccature.» Cari amici, in tempi complessi come erano i tempi in cui è vissuto Alfonso, lui seppe conquistare i cuori della gente con mitezza e tenerezza, frutti non del suo carattere, ma del rapporto con Dio, che è bontà infinita. Che sia questo luogo dedicato a lui, luogo di preghiera, di mitezza e tenerezza, luogo di fraternità e di pace, casa di misericordia e di perdono, laboratorio di comunità e di famiglia dove trovare il tesoro nascosto e la perla preziosa di cui ci parlava il Vangelo ieri. E così sia.

† Giuseppe, vescovo