Pasqua di Risurrezione. Messa vespertina

Chiesa Concattedrale, Sant’Agata de’ Goti (BN)
09-04-2023

 

Care sorelle e fratelli,

prima di ogni cosa saluto i nostri cari sacerdoti dell’unità pastorale, don Franco, don Antonio e don Guido, saluto don Biagio e don Antonio, Saluto tutti voi.

Emmaus è il luogo da cui provengo, da cui sono partito pieno di speranze illudendomi magari di poter cambiare il mondo; per i due discepoli, Emmaus è la casa dove ritornare dopo un’esperienza deludente e dolorosa; Emmaus, per ciascuno di noi, la tentazione di tornare indietro, di abbandonare Gesù al suo destino, volgendo le spalle a Gerusalemme. Emmaus è il luogo della mia rassegnazione, del credere che è inutile farsi illusioni sulla vita e che ognuno deve badare a se stesso; il luogo delle mie abitudini dove mi rifugio per trovare riparo dal mondo; è il luogo dove non ci sono attese, aspettative, ma solo speranza deluse. È anche un po’ l’immagine delle fasi della nostra vita: passiamo da una fase di speranza, di grandi ideali, si va incontro al mondo (Gerusalemme) pieni di entusiasmo, ma poi si ritorna delusi, quasi da illusi, con l’idea che certe cose sono belle, che il Vangelo è bello, ma poi la vita è un’altra cosa. Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele, dicono i due discepoli allo straniero che si era avvicinato e aveva chiesto di cosa stavano parlando.

Gesù incontra i due discepoli “in quello stesso giorno”, il giorno in cui era stato trovato vuoto il sepolcro di Gesù; è quello che gli ebrei chiamavano “il primo giorno della settimana” e che noi chiamiamo Domenica, cioè “il giorno del Signore”. Per gli ebrei era un giorno normale, comune, di lavoro; era la ripresa delle attività dopo la pausa del Sabato. Ma per noi, a partire proprio da quella data, è invece il giorno della festa, il giorno della risurrezione.

La storia di Gesù mostra che l’amore può essere rifiutato ma non vinto.

La Pasqua dice con forza che l’amore non può essere vinto. È più forte della rassegnazione, della pietra pesante, dell’idea che ci si salva da soli.

L’amore di Dio libera suo figlio dalla morte. Il corpo dell’uomo crocifisso, deposto dalla croce e messo in un sepolcro è tornato a vivere.

Il Signore libera Gesù suo figlio, dal buio del sepolcro. Come poteva Dio abbandonare suo figlio? Come può Dio abbandonare il mondo alla violenza? Come può abbandonare i poveri all’indifferenza, gli anziani alla solitudine, i malati nella malattia, i carcerati alla condanna?

Come può lasciare noi prigionieri delle nostre tristezze, del pessimismo di chi pensa che niente può cambiare?

Pasqua è la vittoria dell’amicizia di Dio che ci vuole incontrare, essere nostro amico, che vuole cambiare il mondo con noi e Pasqua ci dice che è possibile.

Care sorelle e cari fratelli, sono stati giorni importanti questi della Pasqua. Siamo stati con Gesù nell’ultima cena quando lava i piedi ai discepoli.

Lo abbiamo accompagnato sulla via crucis.

Nella croce di Gesù abbiamo visto le tante croci di questo mondo. Quanti crocifissi nel mondo. Quanti “poveri cristi” abbandonati.

Nel Vangelo di Matteo, alle donne andate al sepolcro di buon mattino l’angelo dice: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».

Il Signore ci precede in Galilea, è davanti a noi, è il nostro futuro. Gesù è il nostro presente ed il nostro futuro, Lui Gesù ci precede, sta davanti a noi. Andiamo anche noi in Galilea, come all’inizio, quel luogo dove aveva incontrato i discepoli, che avevano cominciato a seguirlo. Gesù non ci aspetta nei centri di potere, ma in Galilea, periferia del grande Impero Romano; ci aspetta nelle periferie del mondo, tra i poveri, gli scartati, gli esclusi. Sì, dalle periferie la Pasqua può segnare un nuovo inizio per tutti noi, anche per chi è cristiano da tanto tempo o per chi magari si è allontanato. Ma bisogna alzarsi, andare a incontrare il Signore per cominciare di nuovo con lui una nuova vita segnata dall’amore di colui che ha dato la vita per noi. Solo così saremo liberi dalla paura e, guidati da lui, ascoltando la sua Parola con umiltà, potremo essere segno di una nuova vita per il mondo.

La Pasqua può essere davvero una nuova creazione. Tutto può cominciare di nuovo! Lo annuncia il profeta Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. Perché ci possa esser un nuovo inizio, ognuno deve partire da se stesso e non pensare sempre che sono gli altri a dover cambiare!

Tu, io abbiamo bisogno di un cuore nuovo. A volte anche il tuo, il mio cuore è indurito da antipatie, arroganza, egoismi, indifferenza.

In questo tempo di grandi timori e di poche attese sia la Pasqua il tempo di un cuore di carne, capace di commuoversi, di amare, di vivere con gli altri e per gli altri. Oggi infatti è illusorio chi pensa ancora di salvarsi da solo o solo con i suoi, il suo Paese, il suo continente. Perciò, cari amici, non restiamo dove siamo, impauriti e chiusi in noi stessi. Usciamo da noi stessi e, insieme, andiamo a lui per partecipare alla gioia della risurrezione e cantare il canto della vita, perché il mondo intero sia rinnovato dall’amore.

L’amore è capace di fare nuove tutte le cose; spesso appare sprecato, inutile, incapace di cambiare le cose, in realtà, invece, vince anche l’ultimo nemico dell’uomo che è la morte. Non consideriamo mai il “volere bene” una debolezza, uno spreco, un’opzione. Non stanchiamoci di “volere bene”, anche quando sembra che le situazioni non cambino, o che siano impossibili. Il nostro è un mondo difficile da definire. Proprio perché siamo in un mondo difficile, perché non c’è molto cui aggrapparci, perché siamo poveri, sentiamo il bisogno della Pasqua. Perché c’è la guerra, sentiamo il bisogno della Pasqua. Perché la Chiesa vive la fragilità, sentiamo il bisogno della Pasqua. Perché il mondo non sa dove andare, ecco il dono della Pasqua! Aggrappiamoci ad essa e riceviamola come dono, come risposta al lamento di tanti. Non sprechiamo la Pasqua; non sottovalutiamo la forza di amore che viene dalla Pasqua. La Pasqua risponde all’oceano di preghiere che sale a Dio da tanti luoghi del mondo e da tante religioni. Il Signore è risorto e si fa vicino alla nostra vita per aiutarci a rinnovare fiducia e speranza. Ma tante volte lo incontriamo ma non lo vediamo. Ci parla, ma non lo ascoltiamo.

Uno dei due, dice Luca, si chiamava Cleopa. Dell’altro non sappiamo il nome. Ma quel discepolo senza nome è ciascuno di noi. Il Vangelo non ne rivela il nome, perché ogni discepolo vi si possa identificare: il suo nome è il mio nome. Il Signore cammina accanto a me, anche quando sono triste, anche quando sfogo la mia amarezza a qualche altro compagno di viaggio – magari un altro deluso – e giro le spalle a Gerusalemme, a Gesù stesso. C’è posto per ciascuno di noi, al fianco di Cleopa, per lasciarci raggiungere da Gesù, l’unico che può restituire gioia ai nostri passi.

Lasciamoci riscaldare il cuore dalla sua parola, dal Vangelo e impareremo a riconoscerlo quando si farà vicino alla nostra vita.

E così sia.

Buona Pasqua a tutti.

+ Giuseppe, vescovo