«Prego poi nel Signore tutti i miei frati sacerdoti, che sono e saranno e desiderano essere sacerdoti dell’Altissimo, che quando vorranno celebrare la Messa, puri e con purezza compiano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli uomini» (Lettera a tutto l’Ordine, 14).
Care sorelle e cari fratelli, in questo antico luogo di preghiera e di vita fraterna, dove si respira e si vive lo Spirito di Francesco d’Assisi, di cui abbiamo ascoltato alcune parole prese dalla sua lettera a tutto l’ordine, siamo oggi convocati dal Signore per conferire il presbiterato a due giovani frati, Fra Massimo e Fra Nicola. Ringraziamo il Signore perché non fa mancare operai per la sua messe, perché ci dona di confermare nell’amore, con il servizio sacerdotale che andranno a svolgere, l’Ordine Francescano e la Chiesa tutta.
Saluto con affetto il Padre Giuseppe Iandiorio, Ministro provinciale della provincia salernitano-lucana dei frati francescani minori.
In questo tempo difficile di grandi egoismi e paure, dove sembra così naturale pensare solo a sé accontentandosi di ripetere stancamente quello che si è sempre fatto, questi due giovani hanno risposto alla chiamata del Signore di mettersi al suo servizio come sacerdoti, celebrando il mistero della donazione totale di sé che scaturisce dall’Eucarestia, dove Gesù continua a donare non qualcosa, ma tutto se stesso, desiderando anche di essere operatori di misericordia attraverso il ministero della confessione, perché, come per il figlio prodigo, a tutti sia data la possibilità di tornare a casa e ricevere l’abbraccio del padre misericordioso. La chiamata del Signore è quella che dona senso alla nostra esistenza. Siamo chiamati, non per merito, ma solo per grazia; non per noi stessi, ma per amore di Gesù che ci chiede, nel chiamarci, di renderlo visibile nella vita e nel mondo. E nella chiamata, ognuno riceve dei talenti da spendere perché portino frutto. Guai a chi seppellisce i talenti per paura, per timore, per rassegnazione o per pigrizia.
Non siamo noi a scegliere Lui, è Lui che sceglie noi e non siamo neppure scelti per le nostre qualità o per la nostra bravura. Non si direbbe, vista la fragilità di ognuno di noi. Noi portiamo questo tesoro in vasi di creta, dice l’apostolo Paolo.
Caro Fra Massimo, Caro Fra Nicola, come ci ricorda il salmo 26: Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò timore?
Il sacerdote è colui che cerca nel Signore la sua forza e si affida quindi a Lui quotidianamente attraverso la preghiera, la celebrazione della Santa Messa, la meditazione delle Sante Scritture, la vita fraterna e cercando la benedizione dei poveri.
Caro Fra Massimo, Caro Fra Nicola se volete essere fedeli alla chiamata del Signore e al ministero che oggi vi viene affidato, dovete fondare il vostro ministero sacerdotale sulla roccia della comunione quotidiana con Lui, come Gesù, che nei Vangeli si vede che sempre cerca nella preghiera il Padre, da cui tutto proviene.
È un momento di gioia, il nostro, questa sera e questa liturgia che è della Domenica della gioia, ci aiuta a vivere la nostra gioia non solo come contentezza per questi nostri due fratelli, ma a radicarla, la gioia, nel mistero di amore di Dio: “Rallegrati, figlia di Sion, ci ha detto la prima lettura, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente.
Caro Fra Massimo, Caro Fra Nicola da qui viene la gioia: Il Signore ha revocato la sua condanna, niente ci potrà più separare dal suo amore; è questo l’annuncio che siete chiamati a portare ad un mondo triste e rassegnato. Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Essere sacerdoti è portare questo annuncio e non c’è annuncio più grande della celebrazione eucaristica dove il Signore raccoglie il suo popolo smarrito, lo riconcilia a sé, lo nutre con la sua parola, con il suo corpo ed il suo sangue perché possa andare in pace, portando la pace e vivendo la pace.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato in questa terza domenica di Avvento ci fa incontrare Giovanni Battista, anche lui scelto da Dio perché sia suo servo tra i popoli. La Bibbia ci ricorda che questa scelta è avvenuta fin “dal seno materno”: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni (Ger 1, 5)». Come tu, Fra Nicola, con molta chiarezza hai spiegato, raccontando di te e del tuo discernimento personale spiegando anche, leggo quello che tu mi hai scritto: il Signore quando chiama lo fa fin dal seno materno e noi dobbiamo solo imparare a riconoscere la Sua voce in mezzo a tante altre voci che ci distraggono. Fra Massimo, tu invece hai iniziato a sentire la voce del Signore che ti chiamava a partire da una Pasqua – devo dire che è stata questa anche la mia esperienza – Pasqua vissuta in un clima di ascolto e preghiera e da lì è iniziato il tuo discernimento che ti ha portato, lasciando lavoro e famiglia, all’ingresso in convento a Serino (AV) per un tempo prolungato di accoglienza nella famiglia francescana che non si è più interrotto.
Caro Fra Massimo, Caro Fra Nicola quanto amore riserva il Signore a ciascuno di noi, Egli ci ama da sempre. Siamo consapevoli della grandezza di questo amore? Cari fratelli, ancora di più oggi voi appartenete a un Altro, che vi ha scelti e amati fin dal grembo di vostra madre. Giovanni Battista fu una “voce” nel deserto del mondo, tra le ingiustizie e le violenze. Con umiltà, ma anche con audacia, egli fu voce di giustizia contro le ingiustizie. Egli fu chiamato a preparare la strada al Signore. Anche voi imparate a preparare la strada al Signore perché tutti lo possano incontrare sull’altare, nella parola, nella compassione. In ogni donna e in ogni uomo è nascosto, infatti, il desiderio di Dio. Siate perciò uomini di preghiera e della Bibbia, vivete fino in fondo la fraternità, vocazione propria del vostro essere francescani. Siate frati, cioè fratelli di tutti, come ci chiede il Santo Padre; siate minori, i più piccoli di tutti gli uomini del mondo, sia nel nome, sia nell’esempio e nel comportamento. Siate sempre lieti nel Signore, dice oggi l’apostolo Paolo; la vostra amabilità sia nota a tutti. Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. Fate vostra insomma la “perfetta letizia” di Francesco; siate, come Giovanni Battista, “voce” di speranza nel tempo dell’impossibile e del vittimismo, della facile quanto inutile gabbia del lamento, che impedisce il cambiamento di sé stessi e della vita. Siate luce per chi vive nel buio della rabbia e del pessimismo. Siate segno efficace della grazia e del perdono di Dio, quando avvicinerete i piccoli e i grandi alla grazia dei sacramenti. Non cercate di far valere o mettere in mostra voi stessi, ma come minori siate pazienti nell’amore e nella bontà, senza mai rinunciare a “rendere ragione della speranza che è in voi”. Ricordatevi sempre che tutto viene da Colui che è più forte di noi, a cui non siamo degni di slegare i lacci dei sandali. Siate audaci nell’annuncio del Vangelo, perché tanti possano gustare la felicità dell’amicizia di Gesù. Infine, siate al servizio dei deboli e dei poveri, perché solo attraverso di loro noi godremo la gioia del Regno dei cieli, come ci ha detto con chiarezza Gesù, che si è identificato con i piccoli e di poveri. L’altare dove celebrerete non sia mai il palcoscenico del vostro protagonismo, quanto la mensa dove gustare il pane di vita eterna e della fratellanza universale. Amate la comunità nella quale vivete e con la quale condividerete il vostro ministero. Amate la Chiesa diocesana e vivete da fratelli umili ricchi di bontà. Quante volte nella vita di ogni giorno mettiamo davanti agli altri noi stessi, il nostro operato, le nostre vere o presunte capacità, per essere riveriti o riconosciuti dagli altri e dimentichiamo che noi tutti siamo qui perché il Signore ci ha scelti e amati per grazia e non per merito. È solo a partire da questo che sapremo essere servi e non padroni, umili e non prepotenti, capaci di ascoltare e non sordi al bisogno del prossimo, amici e fratelli invece di rivali o nemici. Oggi voi anzitutto, ma anche noi tutti, siamo richiamati a una semplice verità della vita cristiana: siamo costituiti servi del Signore per essere luce delle nazioni e annunciare la gioia del Vangelo a tutti, perché il mondo si salvi. E la salvezza viene dalla carità e dalla giustizia. “Che cosa dobbiamo fare?” chiesero a Giovanni Battista. Potremmo dire che è la domanda di questo Avvento. La risposta del Battista è fatta di parole semplici e concrete. Agli ascoltatori che si recavano da lui diceva: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto“. Giovanni chiede di interrogarci su come dar da mangiare a chi non ne ha, come vestire chi non ha di che vestirsi. Come del resto possiamo restare tranquilli quando tanti nel mondo non si vestono e non mangiano? È una delle grandi questioni del nostro tempo in cui la povertà di tanti è cresciuta anche come conseguenza della pandemia. D’altra parte la liturgia non ci fa incontrare Gesù povero e crocifisso? Ai pubblicani che si avvicinavano e chiedevano cosa fare rispondeva: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”, Giovanni chiede di diventare seri, onesti e leali. Ed esorta i soldati a rinunciare alla violenza, a non fare del male agli altri. E con semplicità aggiunge: “Non maltrattate e… accontentatevi”. Contentarsi: non è un invito a rassegnarsi, quanto piuttosto un richiamo al limite che è sempre l’inizio della vita degli altri. Come il Battista anche noi siamo consapevoli della nostra pochezza, ma assieme anche della responsabilità di annunciare a tutti la “buona novella” del regno di Dio.
Voi oggi rivestite l’abito del servo, di colui che è chiamato ad abbassarsi con misericordia sulle ferite, sul dolore, sulla vita delle persone che incontrerete e che vi saranno affidate. Servi perché fratelli; servi per amore e con amore. La fraternità è il presupposto del servizio.
Papa Francesco parla spesso di una Chiesa povera per i poveri. Ricordate ed insegnate a tutti che la gioia viene dal dare più che dal ricevere.
Consolate, confortate, correggete e ammonite con pazienza, mostrate sempre un volto sereno che dia pace e serenità a coloro che vi incontreranno: “Pace e bene” sia per chi lo riceve da voi non solo un saluto, ma una vera e propria benedizione. Ascoltate il bisogno di chi si rivolgerà a voi, mostrate loro il volto buono di Dio, perché si convertano a lui. Che tutti possano gioire della grazia che viene dal Signore ed entrare a far parte del suo popolo.
Molti guardano la Chiesa come a un luogo di potere dove fare carriera e trovare uno spazio per sé stessi… Altri guardano la Chiesa ma non la capiscono, la considerano superata, ipocrita per certi versi, una istituzione che ha fatto il suo tempo e se ne tengono lontani, forse anche allontanati dagli scandali e dai cattivi testimoni. Gesù non si stanca di proporre una Chiesa diversa, una Chiesa che sa farsi serva delle povertà dell’uomo, una Chiesa come casa di perdono, di misericordia e di compassione. È questa la Chiesa di cui parla Gesù, la Chiesa del Sinodo appena iniziato. Possiate fare vostro, nel vostro ministero, come dice Papa Francesco nei documenti del Sinodo, lo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza, ascolto. Dio sempre ha operato così, e chiede di essere Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio. Non dimentichiamo lo stile di Dio che ci deve aiutare: vicinanza, compassione e tenerezza, esperti nell’arte dell’incontro e ogni incontro.
Negli ultimi anni della sua vita Francesco, gravato dal peso delle malattie, ai frati radunati in Capitolo ancora invia una lettera accorata rivolgendosi soprattutto a coloro che nella fraternità sono anche sacerdoti:
«Guardate la vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l’affidarvi questo ministero, così anche voi più di tutti amatelo, riveritelo e onoratelo.
Francesco molto insiste che i frati-sacerdoti siano santi e giusti e degni di toccare con le proprie mani il corpo del Signore di cui sono ministri e servi:
«Ascoltate, fratelli miei. Se la beata Vergine è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo grembo; se il Battista tremò di gioia e non osò toccare il capo santo del Signore; se è venerato il sepolcro, nel quale egli giacque per qualche tempo; quanto deve essere santo, giusto e degno colui che tocca con le sue mani, riceve nel cuore e con la bocca e offre agli altri perché ne mangino, Lui non già morituro, ma in eterno vivente e glorificato, sul quale gli angeli desiderano volgere lo sguardo» (Lettera a tutto l’Ordine, 21-22).
Carissimi fratelli, chiediamo all’Altissimo il dono di “tanti e santi sacerdoti” per la sua Chiesa.
Caro Fra Massimo, caro Fra Nicola, vi accompagnino la Vergine Maria, che in settimana abbiamo venerata come l’Immacolata, gli angeli e i santi che insieme invocheremo, in particolare il Santo Frate Francesco ed i tanti Santi frati del vostro ordine. Che il Signore vi benedica e vi faccia crescere in sapienza e grazia, e noi con voi.
E così sia.
† Giuseppe, vescovo