Omelia di insediamento – 2 ottobre 2016

02-10-2016

OMELIA
PER L’INIZIO DEL MINISTERO EPISCOPALE IN DIOCESI
Cerreto Sannita, Cattedrale, 2 ottobre 2016

Carissime sorelle e carissimi fratelli, vorrei riuscire a parlarvi oggi a cuore aperto, libero da aspettative e dalla necessità di dover per forza dire cose importanti, di dover esprimere in qualche modo un manifesto programmatico, di dover fare per forza buona impressione.
Per Grazia, il Signore mi ha insegnato, in questi anni di lavoro in strada, che le relazioni si costruiscono nella lentezza e nella quotidianità, giorno dopo giorno, nelle parole semplici e spesso nel silenzio. Sono luoghi dove i gesti contano più delle parole.
Cercherò allora oggi di non usare questo momento di parola per fare buona impressione ma, in semplicità, per condividere con voi le meditazioni e le preghiere che il racconto di Bartimeo ha suscitato in me. È la parola che ho scelto per il mio motto episcopale o che, forse, ha scelto me, poiché nel travaglio interiore che ha seguito la mia nomina, mi ha dato forza, coraggio e gioia.
Quella di Bartimeo è una storia di strada, dalla strada prende vita e sulla strada finisce, alla sequela di Gesù. È una storia di movimento, di una vita che sulla strada sta, semplicemente sta, ferma. Una vita che, dopo l’incontro, su una nuova strada cammina, va.
Sulla strada Gesù è già in cammino, sempre in cammino. Quanta strada percorre Gesù nei Vangeli! E quanto ci dice questo camminare! Essere Chiesa di Cristo, essere alla sequela di Cristo cos’altro può voler dire se non questo? Essere in cammino, uscire, prendere la strada. Uscire per incontrare le donne e gli uomini, uscire per non addormentarci nelle nostre comodità o nei nostri riti.
È questa la Chiesa che io sogno di abitare: una Chiesa dalle porte aperte a tutti, perché tutti abbiamo bisogno di Lei. Una Chiesa dove non si celebrano solo i riti, ma dove si vive e si celebra la vita delle donne e degli uomini, intrisa di gioie e dolori.
Una Chiesa in uscita, samaritana, libera, fedele al Vangelo. Una Chiesa povera. Una Chiesa sinodale, in ascolto dello Spirito Santo e dei segni dei tempi.
La strada è poi, sempre, il luogo dell’incontro. È lì che Bartimeo mendica, non soldi, non pane, mendica un incontro, una verità, una speranza. Bartimeo come noi, come tutti noi che ogni giorno cerchiamo il senso della nostra vita nell’incontro, nella parola, nella mano tesa, in uno sguardo amorevole che, ciechi, non sappiamo vedere.
Mendica ad occhi chiusi, prendendo quello che gli danno, in balia degli altri. E la sua povertà è nel dipendere dagli altri.
Bartimeo è seduto, fermo, un simbolo di prostrazione. La strada è il luogo dell’incognito, non puoi contare i passi, né conoscere i pericoli. Ciechi per strada potremmo essere anche noi, quando le nostre sicurezze vacillano, quando la paura di non farcela è più forte di ogni speranza, quando gli altri sono tutti senza volto, sconosciuti che non sappiamo riconoscere.
A sua volta Bartimeo è un inconoscibile; i suoi occhi, spenti, non ci dicono nulla, è un corpo in un angolo avvolto in un mantello. Forse è un fastidio, qualcuno che è meglio non guardare con attenzione, uno che ci mette in crisi, a cui passare accanto con discrezione, accelerando il passo. Qualcuno che è meglio che non parli, tanto che persino i discepoli lo rimproverano quando si fa grido, quando reclama attenzione, prende la scena.
E quanti Bartimeo sulla nostra strada oggi, quante presenze scomode che turbano il nostro andare. Quanti Bartimeo neri, tutti uguali, sulle barche o in fondo al mare, che non sappiamo o vogliamo vedere. Quanti fastidiosi diversi che mettono in discussione le nostre certezze facendoci girare con imbarazzo da un’altra parte!
Quanti quartieri invisibili, senza occhi e senza voce, abitati da sorelle e fratelli avvolti solo nei mantelli pesanti dell’esclusione. Quanti giovani Bartimeo a cui non è dato di gridare la propria speranza, il proprio futuro, il proprio bisogno di un incontro vero.
Perché anche qui, nel nostro mondo, un mendicante può avere, tuttalpiù, il diritto di ricevere briciole di elemosina, ma mai, mai deve disturbare gridando il suo dolore.
Ma non è questo lo stile del Cristo, non è questo il sogno di Dio. Non può essere allora questo lo stile della sua Chiesa. Gesù si ferma e ascolta, presta attenzione. Si ferma, prima di tutto. Perché si ferma? Per capire e com-prendere, perché in quel dolore riconosce il suo dolore. E nel dolore riconosce l’uomo, l’umanità che cerca e grida il bisogno di speranza e di luce. Questa speranza e questo bisogno di luce danno forza alla voce, tanto da farla sovrastare su tutte le altre voci. È una speranza cieca che riconosce se stessa solo guardandosi con gli occhi della fede e quindi di un totale affidamento e abbandono.
E il grido rompe le distanze diventando parola: abbi pietà di me! “Abbi pietà” non è l’estrema invocazione di un condannato, non è una resa, non è un umiliarsi. È una domanda di misericordia più che un’invocazione di potenza, è il grido della propria fragilità che chiede solo di essere vista ed essere riconosciuta da un’altra umana fragilità, per essere poi trasfigurata in miracolo dall’amore di Dio.
Chiesa, mia Chiesa, fermati, accostati, ascolta il grido dell’umanità che ti chiede: sii speranza, domanda di senso, mano tesa, ospedale da campo, miracolo d’amore.
Gesù ci chiama in causa, ci chiede di essere parte attiva nel suo sogno, chiede intermediari, collaboratori, compagni di viaggio: “Chiamatelo”. Dice che tutti dobbiamo fare la nostra parte, che il miracolo nasce da un impegno plurale, da una comunità che cambia atteggiamento e direzione, che noi stessi che fino ad oggi abbiamo ignorato o zittito il grido fastidioso del povero possiamo e dobbiamo essere prossimo, perché non esistano lontani ma fratelli da raggiungere. Noi, spesso comodi e indifferenti, dobbiamo rompere i nostri schemi per portare la buona notizia: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”.
“Coraggio! Alzati, ti chiama!”. È prima di tutto l’invito rivolto a te, mia Chiesa. Getta via il tuo mantello, spogliati e balza in piedi.
Getta il mantello dei compromessi, delle false sicurezze, delle parrocchie chiuse tra le mura degli edifici sacri, della ritualità senza cuore, della religiosità fatta solo di precetti e tradizione. Spogliati di ogni legame e complicità con tutte le forme di potere, prendi le distanze da Pilato e dalla sua indifferenza.
Scrollati di dosso il peso delle tue divisioni e lacerazioni.
E balza in piedi! Balza, non alzarti lentamente. Con lo slancio e la gioia di chi ha qualcosa di estremamente urgente e importante da fare, da dire, da testimoniare. Con la passione di un Amore autentico e vivo. Con la speranza gioiosa di chi ha visto la resurrezione sconfiggere ogni dolore. Perché lo stesso dolore, nel momento in cui viene rivestito di attenzione può diventare speranza, una speranza concreta, viva. E il balzo rimette in piedi, fa recuperare la schiena dritta dell’uomo vestito di dignità piena, del risorto, lasciandosi alle spalle la prostrazione, l’essere piegati, l’umiliazione.
“Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Ho sentito rivolte a me queste parole, così che la mia voce vuole essere solo eco di questo richiamo che ha dato senso e forza ai miei giorni. È come un’eco che rimbalza di strada in strada, di casa in casa, amplificandosi e diffondendosi. Che miracoloso contagio di amore e speranza sarebbe per la nostra terra se tutti noi, con forza e gioia, dicessimo e testimoniassimo ogni giorno queste parole. “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Come i veri innamorati che non riescono a nascondere la profonda passione che li muove, allo stesso modo, innamorati di Cristo, facciamo trasudare la nostra gioia, la nostra unità. “Coraggio! Alzati, ti chiama!”.
Alzati, cambia posizione, staccati dalla polvere della terra, aspirando ad orizzonti nuovi.
Ognuno di noi può accogliere questo invito ad avere coraggio e ad alzarsi…dalla terra dell’avvilimento, della disillusione, della rassegnazione; dal fango della corruzione, del malaffare, dell’interesse; dalla polvere del rimpianto e della disperazione. “Coraggio! Alzati, ti chiama!” Cristo è sempre il volto di un Dio disposto ad un incontro, tenerezza che perdona, infonde calore, riempie di senso,
contagia di futuro e di gioia. E ci chiama a vivere pienamente e senza riserve. Da risorti.
E noi, Chiesa di Cristo, impariamo la bellezza di quella domanda diretta, chiara: cosa vuoi che io faccia per te? Se noi saremo capaci di ascoltare il vissuto profondo di quanti incontriamo nel nostro cammino, potremo davvero essere il riflesso della misericordia di un Dio che non esclude mai nessuno. Che non fa altre domande, che non indaga, non giudica, non fa classifiche. Un Dio che, in semplicità, riconosce l’altro e chiede: cosa vuoi che io faccia per te? Significa per noi essere Chiesa sempre aperta, chiesa al servizio, col grembiule, capace di abitare le domande senza la pretesa di conoscere già la verità dell’altro.
Immagine di un Dio che offre a tutti, ogni giorno, l’occasione di dichiarare chiuso il tempo di chiedere l’elemosina, che è giunto il tempo del riscatto, della dignità e del rispetto.
Bartimeo vede. Ora vede. E la prima cosa che vede sono altri occhi, gli occhi del Cristo che lo salvano, non dall’alto in basso, ma stando sullo stesso piano, da fratello.
Un Dio che puoi guardare negli occhi, così profondamente uomo da lasciarsi scrutare.
Bartimeo vede. Vede la sua Gerico, la sua gente, l’altro. Vede la sua vita. E, con occhi limpidi, sceglie. Sceglie la strada, in modo nuovo, ma ancora la strada. Sceglie di seguire il Cristo. Sceglie di andare anziché stare, sceglie il cammino, nuovi orizzonti, sceglie di andare leggero, senza più il peso del mantello, dell’umiliazione e dell’isolamento, verso il tempo nuovo in cui giustizia e pace si baceranno.
È libero e quindi, responsabile. Libero di affidarsi, con stupore, all’ignoto di un sogno d’amore.
E noi, Chiesa del Cristo, impariamo anche da lui, dall’umile maestro di Gerico, a ritrovare l’entusiasmo nella fede dei semplici che sanno ancora stupirsi, che scelgono ancora, giorno dopo giorno, di continuare ad andare …
Coraggio, alziamoci, ci chiama. E una volta in piedi, una volta in cammino, oggi, qui, all’uscita da questa Cattedrale, diamoci da fare, compiamo un gesto concreto, un gesto d’amore e di pace. È la strada migliore, quella della misericordia, per celebrare questa nuova tappa del nostro comune cammino alla sequela del Cristo.