“I PASSI DELL’AMORE SONO I PASSI DI DIO E SONO PRIMA DEI NOSTRI” – III lettera di Quaresima del vescovo Mimmo, 17 marzo 2017

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17-03-2017

Il tuo essere, Rosa, è avvolto in un dolce ricordo e mi accompagna, nel silenzio, quando mi fermo…mi soffermo e rivedo…ancora il giardino della tua casa, in campagna. Eri tornata al tuo paese dopo una lunga interminabile assenza.
Per dare da mangiare ai tuoi figli, eri emigrata in America con la speranza nel cuore, le valigie vuote, ma tanta determinazione nel voler rimboccarti le maniche. Lo facevi per la tua famiglia non per te. Avevi lasciato tutto e tutti.
E ora quel giardino era tuo, lo avevi indorato di fiori, e ornato con l’amore per la tua terra, le tue radici.

Rosa, ti rivedo felice in quella casa che avevi costruito con sudore e che racconta ad ogni angolo la tua vita. Una casa grande, fatta di sole e di null’altro. Al centro della sala una macchina da cucire e tu sì che la sapevi usare, sarta da bambina, fin da quando tua madre ti mandava ad apprendere il mestiere del cucito che ti avrebbe consentito di che vivere in futuro. Una macchina all’avanguardia, americana e ne eri così fiera.
Ma quanto hai pagato per quella macchina! Eri sempre lì, ad intrecciare tessuti delle tue poche clienti perché qui non era l’America e il vestito manufatto costava ancora tanto…solo per chi se lo poteva permettere.
Ogni tanto, tra i fili e le forbici riposti su un grande tavolo ereditato da tua madre, facevano capolino due bimbi: Giuseppe e Lina. Educati, discreti, bellissimi. Ma tuo marito non c’era, aveva preferito rimanere in America, e tu vedova bianca come tante, non ti arrendevi. Avevi la forza a portata di mano, fonte inesauribile a cui attingere, i tuoi silenziosi figli, benedetti.
Col tempo continuavi a massacrarti di lavoro, te lo inventavi, trattavi tutti con delicatezza e gentilezza…mentre i tuoi figli erano lì ancora una volta a guardarti, ad ammirare, in silenzio, la loro mamma. Avrebbero voluto essere grandi per ripagarti e compensarti come meritavi. Andavano a scuola e non ti davano nessun problema. Crescevano, e tu sempre più piegata davanti alla tua macchina, ringraziavi Dio e tutti quelli che ti consentivano di lavorare nel freddo dello stanzone sempre uguale, riscaldato dall’ aroma del piatto caldo che tua figlia cucinava per te. Intanto il tuo giardino fioriva, te ne prendevi cura nei ritagli di tempo e come un miracolo cresceva di tutto.
La vita scorreva coperta dalle tue malinconie e preoccupazioni che però non offuscavano la tua grande forza di donna. Finché arrivò il giorno della festa e del sorriso. Non ricordo di averti vista sorridere prima. Tua figlia si sposava. Tu eri felice e le cucisti il vestito bianco, il più bello per l’occasione. Fatto di pizzo francese che per comprarlo avevi lavato pavimenti per un mese. Con dignità le facesti un bel matrimonio come si conviene nelle famiglie in cui certi valori vengono prima di tutto e costi quel che costi. Eri felice, avevi raggiunto un traguardo, eri fiera dei tuoi figli e di te, donna sola ormai da troppo tempo.
Da lì non trascorse molto tempo…quando rividi il tuo giardino pieno di sterpaglie e incolto. E le rose dove erano finite? E quel bel verde brillante che accecava lo sguardo? Tua figlia poco più che ventenne e ad un passo dalla felicità era inchiodata in un letto per una malattia che non le avrebbe dato scampo. E tu, donna Rosa, piegata in due da questo inatteso immenso dolore dove avresti trovato la forza per andare avanti? La tua dolce figlia stava per chiudersi come un bocciolo strappato dal suo ramo. Il dolore lasciò il posto all’abisso della disperazione. Piangevi di notte, poi ti asciugavi le lacrime e ti davi da fare di giorno instancabilmente al capezzale di Lina per vegliarla e cullarla, infondendole l’alito del tuo amore ad ogni suo respiro.
Il tuo dolore e la sua straziante sofferenza indissolubilmente uniti. Per giorni e mesi il silenzio sprofondò nella tua casa e intorno ad essa le tristi foglie del nuovo autunno avevano ingombrato i gradini che accedevano alla porta di casa. Anche le tue rose avevano cambiato inspiegabilmente il colore dei petali…non sorridevano. I gatti si lamentavano perché non ritrovavano più il loro pasto quotidiano. Solo silenzio e lacrime…
Che significato aveva continuare a vivere! Tutto si era interrotto in quel giorno…i profumi, la luce, la vita, la tua…vita, proprio come i lampioni che a tarda sera senza preavviso si spengono e non danno tempo di mettersi al sicuro dalle insidie delle paure e dal buio. Nessuno avrebbe potuto aiutarti! Dio non era più nei tuoi pensieri. Non lo invocavi più! La grazia tanto sospirata non aveva inondato la tua casa, la tua famiglia, la tua adorata figlia. Si udiva l’eco di un disperato “perché???”.
Ma il tempo di Dio non è il nostro tempo! Dio ci ama e nonostante tutto, ci sostiene e ci prende in braccio anche quando non lo sentiamo, anche quando crediamo che Egli sia lontanissimo da noi e noi da Lui.
Da allora, quanti religiosi silenzi…quante preghiere elevate al cielo, implorate, donate al Signore, per te. Tutti gli amici avevano trovato il modo di starti vicino.
E arrivò un tempo, in cui tutto l’amore donato e ricevuto, in un attimo del tempo vissuto, aveva squarciato i confini tra la vita, il dolore e l’amore. E tu, sola, in cammino verso quel nuovo orizzonte. E Dio, così grande e misericordioso, si è inginocchiato davanti a te. Tu lo hai guardato, hai sentito nella tua anima la Sua compassione e hai capito che con Lui potevi condividere il tuo dolore ma anche l’amore che era in te, perché sarebbero stati al sicuro, protetti, custoditi, e le tue lacrime conservate per sempre nella Sua mano.
Da allora la tua vita è andata incontro agli altri, l’hai comunicata, ti sei fatta dono per gli altri e ciò ti ha salvata dalla disperazione, aiutandoti a vivere tutto il dolore racchiuso in un otre e a trasformarlo in zefiro.
Hai abbracciato la tua vita, hai lottato, tenendo stretti i dispiaceri ma anche condividendoli, e hai saputo trasformarli in sorgente, acqua che zampilla, a cui altri hanno potuto dissetarsi.
Perché la fine della sete non è nel bere a sazietà, ma nel diventare fontana per gli altri, dissetare gli altri, diventare sorgente per i loro bisogni. Con il gesto e la parola, con l’accoglienza e il grido di giustizia, con l’ascolto e con il pianto. La sorgente non è possesso ma fecondità. A partire da me ma non per me!
E tu hai dato senso al dolore e al sacrificio. Hai fuggito l’esteriorità, l’innalzamento, il mito del successo, il rumore delle parole, la smania della visibilità. E hai abitato la terra nell’apparente insignificanza di gesti quotidiani, nella dedizione apparentemente inosservata, nella terra dell’apparente insuccesso, nella terra delle domande senza risposte. I passi dell’amore sono i passi di Dio, e sono prima dei nostri.
Guardo la vita e la vita mi parla di Dio. Ogni vita mi parla di Dio. C’è qualcosa di Dio in ogni uomo, c’è santità in ogni vita. La vita non è vuota, non è assenza, c’è il Dio della vita nella vita. Se avessimo occhi, cuore, profondità, per guardare la vita, racconteremmo di Dio continuamente.
Ora quel giardino è ancora lì, tra erbacce e cartacce che fanno mulinello trasportate dal vento; agli angoli della porta grovigli di foglie che scricchiolano al passaggio, segno di un abbandono lontano. Ma se mi avvicino alla finestra della sala, sento ancora il rumore della macchina da cucire americana comprata con sudore e tanti sacrifici, caricata col filo della speranza, intenta a imbastire abiti mai confezionati prima ad ognuno che entra nella tua casa, nella tua vita. Non ti senti più abbandonata e sola…sei serena perché accarezzata teneramente in ogni istante dalla mano di Dio. E tu sei racconto di Dio per la mia vita.

+ don Mimmo, vostro vescovo