“NELLE SUE MANI IL VOLTO DI DIO” – II lettera di Quaresima del vescovo Mimmo, 9 marzo 2017

09-03-2017

Vivere la strada mi ha sempre portato ad incontrare e ad incrociare tanti volti, ad asciugare e fare mie tante lacrime.
Ed è proprio sulla strada che, inaspettatamente, cala il sipario e si scopre la vita che arranca, che si affanna, che è stanca e malmenata … ma nell’aria, in quell’etere, si respira a pieni polmoni la tenerezza di Dio, che si rivela, ancora e sempre, forte e dolce, unica e vera, attraverso scrigni colmi delle lacrime raccolte ed asciugate, traboccanti del bene fatto e delle lacrime versate e giammai dei nostri peccati. Ed è lì che incontrai Maria.

Un giorno, come di consueto, andai a trovarla…
Maria aveva 60 anni … viveva da sola in una stanza dove era concentrato tutto, anzi, l’essenziale, ciò che è invisibile agli occhi di chi non sa guardare: un letto che aveva il muro per testata, un tavolino incerto con due sedie intorno, il bagno separato dal contesto da una modesta tendina, e un fornello: uno di quelli a due fuochi, poggiato di fortuna sull’unico mobiletto che allietava vecchi ricordi.
Il suo mondo era tutto lì, in quel piccolo universo pregno dell’odore della sua pelle e della fragranza della pietanza fresca che si confondeva con l’odore acre e pungente, maleodorante, del vecchio pasto, intriso di speranza, che le veniva donato ogni settimana e che Maria, puntualmente, riscaldava nell’unica pentola corrosa dal tempo.
Si respirava la miseria, mentre il mondo che la circondava sceglieva cosa mangiare a pranzo e a cena. Che tristezza! “Questa ingiustizia non l’accetterò mai!” mi ripetevo. In quel giorno “speciale” che andai a trovarla, pioveva … era un pomeriggio autunnale grigiastro, ombroso, odoroso di pioggia appena caduta. E lo stato d’animo accompagnava quel malinconico momento. Vidi Maria seduta sulla sua solita sedia, completamente sola, non c’erano neanche le sue compagne, le colombe che la pioggia teneva lontane. La porta era aperta, come sempre e, di colpo, quell’autunno con tutta la sua malinconia si stampò sul mio viso.
“Buongiorno Maria!” mentre trascinavo una sedia. Le sedetti accanto, perché volevo che lei sentisse la mia presenza, ed io la sua vicinanza.
La guardai negli occhi senza far rumore quasi a rubarle quella profonda e scontata solitudine. Desideravo in quell’attimo alleggerirla di un fardello troppo pesante da sopportare su quelle spalle curve, piegate alla vita. Desideravo farla sentire meno inadeguata nel vasto mondo dei dimenticati. Desideravo chiederle perdono per noi tutti, che l’avevamo abbandonata, trascurata, esclusa. Lei che non camminava, le sue gambe erano paralizzate e non aveva neanche una sedia a rotelle… quando si spostava da un angolo all’altro della sua “reggia”, lo faceva trascinandosi, appoggiata alla seggiola che spostava con sé, peraltro, scomoda, altro che sedia a rotelle!
La solitudine è un fuoco che brucia e corrode qualunque sentimento, trasformandolo in cenere. Solitudine nell’impossibilità di muoversi, solitudine nella povertà e nel freddo di una casa senza tetto, solitudine nel guardarsi allo specchio in cerca della compagnia di sé stesso mentre si consuma un pasto miracolosamente caldo, solitudine quando al pomeriggio si pensa alla sera che sta per arrivare sempre uguale, di un silenzio mai rotto da voci o grida o canti e gioie, anche piccole, anche banali. Solitudine è il buio improvviso in un giorno di primavera.
E La solitudine di Maria gridava e urla ancora in me … un peso troppo forte da sostenere…
Proprio lei che nello stato di infermità grave in cui si trovava, avrebbe dovuto avere intorno mille persone con cuori stracolmi di generosità, numerose anime all’opera per lei…solo per lei…
Ero solo e non avrei potuto fare molto, avrei solo potuto ascoltarla. “Essere ascoltati dimezza la fatica delle salite!” ribadivo a me stesso. Eppure, lei aveva la forza, tanta!
Ricordo che quel giorno, come sempre, mi parlò della figliola che andava a trovarla solo una volta alla settimana, però le portava il pasto. “Mia figlia non può stare con me, mi ripeteva, è impegnata, ha tanto da fare, poverina…però viene, viene, mi porta da mangiare… Mimmo bello!” La figlia aveva altro da fare, non poteva perdere tempo con lei. E con queste parole Maria “giustificava” la sua assenza. Oltretutto non aveva mai voluto che io parlassi con la figlia. Che tenerezza! E che forza mi dava…sembrava accompagnata da dieci angeli proprio come le dieci colombe, sue uniche amiche, che, puntualmente, ogni giorno andavano a farle visita … e lei, i miei occhi hanno visto riempendosi di lacrime, inumidiva pazientemente piccoli pezzetti di pane e con essi ornava la soglia della porta perché sapeva che le colombe sarebbero arrivate per pranzare con lei … unico momento in cui si sentiva meno sola… Amore, compassione e carità in quell’ unico gesto di Maria. Lei così debole, indifesa, sola, ammalata, ma cosi straordinariamente grande…benedetta! Ed io mi sentivo sempre più piccolo!
E quel giorno, Maria aveva la coroncina del rosario in mano, stava pregando. Mi fece cenno di entrare, interruppe la sua preghiera e mi disse: “Mimmo bello, non essere triste per me, io non sono sola!” Così dicendo, davanti al mio sguardo attento misto a tristezza e senso di impotenza, tirò fuori dalla tasca del grembiule la coroncina del rosario, e mostrandomela con fermezza sussurrò: “La Madonna è sempre con me, non mi abbandona mai, mi dà sempre tanta, tanta, forza.
Io non sono sola!
Rimasi completamente in silenzio, senza parole.
Cosa avrei potuto dire a un gigante della fede. Guardai i suoi occhi lucidi, mi inginocchiai davanti a lei, afferrai le sue mani, e mi feci benedire. Quel corpo ferito racchiudeva l’essenza di Dio; nel suo sguardo la luce di Dio, nelle sue mani il volto di Dio … che mi si rivelò come ostensorio, e percepii la SUA presenza.
Dio che si dona e si manifesta nelle tante Maria e a cuori compassionevoli, che non hanno paura della diversità e della povertà, che non discriminano, e che non si arrendono mai alle ingiustizie, che diffondono la verità. La ricchezza più grande che un uomo possa desiderare è INCONTRARLO e farne tesoro, dando un senso nuovo e vero alla propria umanità e alla propria missione.
Nelle vene del mondo corrono frantumi di stelle. E beati coloro che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso.

+ don Mimmo, vostro vescovo