Che ci vedano e sentano innamorati di Gesù Cristo…

Omelia per l’ordinazione sacerdotale di don Guido Santagata e don Valentino Simone
27-12-2019

È nella gioia natalizia che saluto ciascuno di voi, nella certezza che oggi, il Signore Gesù, ancora di più si fa per noi l’Emmanuele, il Dio con noi, vicino a ciascuno di noi, a questa Chiesa che esulta, ma vicino in modo particolare a Guido e Valentino.

Vorrei parafrasare san Bernardo per essere capace di suscitare in voi uno stupore orante dinanzi all’evento che si realizzerà tra qualche minuto in questa assemblea. Come quel giorno in una città di Galilea, così stasera, qui, attraverso l’angelo della Chiesa che pur nella sua indegnità è il vescovo, il Signore si presenta a due giovani, e chiede loro se vogliono essere sacerdoti, partecipi di quell’unico sacerdozio che è quello di Gesù.

Essi forse trepideranno, come Maria quel giorno a Nazaret: e guai se non fosse così, perché il mistero che li avvolge è insieme affascinante ma anche tremendo.

E, questa sera, questa santa assemblea si stringe intorno ad essi e, quasi implorando, esclama: Guido, Valentino, non temete! Dite sì! Dalla vostra bocca dipende la consolazione di tanti miseri, la redenzione di tanti prigionieri, la liberazione di tanti condannati, la salvezza di tanti figli di Adamo, la gioia di tanti uomini e di tante donne.

Dite la vostra parola umana e concepirete la parola divina, il Verbo di Dio. Voi avete già detto il vostro eccomi, lo direte ancora tra qualche minuto. E così si rinnoverà in modo reale la meraviglia dell’incarnazione.

Con l’imposizione delle mani del vescovo e dell’intero presbiterio scenderà su questi fratelli, come su Maria, lo Spirito Santo e saranno consacrati sacerdoti della Nuova Alleanza. Rimarranno pienamente uomini e perciò consapevoli di essere fragili e, come gli altri fratelli, bisognosi di salvezza. Ma rimarranno pienamente uomini anche perché si sentiranno fortemente protesi verso una sempre più piena personale maturità umana, che li rende capaci di condivisione, di dialogo, di amicizia, di coinvolgimento nella storia.

Con la grazia del Sacramento lo Spirito Santo li trasformerà nel più profondo del loro essere configurandoli a Cristo, Capo Pastore e Sposo della Chiesa. Essi saranno in mezzo a noi segno sacramentale di Gesù.

Ed ecco il mistero del Natale che illumina il mistero del sacerdozio. Perché il prete? Perché tutto il mondo possa “fare il Natale” e perché ogni giorno sia Natale. Il presbitero agisce in persona Christi, per generare i figli di Dio, per costruire la Chiesa, per fare della comunità una sola famiglia, la famiglia di Dio.

Oggi celebriamo la festa del discepolo prediletto del Signore, “il discepolo che Gesù amava”, colui che nell’Ultima Cena pose il suo capo sul petto del Signore percependone l’intensità dei palpiti, colui che ai piedi della croce si sentirà ripetere da Gesù: “figlio, ecco tua Madre”. È anche l’apostolo che, pur non narrandoci l’Ultima Cena, meglio degli altri approfondisce il Mistero Eucaristico e la teologia del pane di vita. Per questo stasera vi farò dono di una stola e di un grembiule, che sono il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale, l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. Ma il grembiule ritagliato dalla stola.

Nell’ottava di Natale la festa di Giovanni è un monito ad accogliere il verbo nella mangiatoia del nostro cuore e di porci, come e con Maria, ad ascoltare i battiti del suo cuore, quasi per cercare di armonizzarli con il nostro cuore. Nella prima lettura possiamo cogliere i sentimenti più profondi e intimi di questa conoscenza. Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contempliamo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita … con queste parole ci viene ricordato come e quanto l’incarnazione del Verbo ha cambiato radicalmente il nostro modo di immaginare e sperimentare la nostra esperienza di Dio. La pace e la gioia che gli angeli annunciarono ai pastori nella notte luminosa di Betlemme diventano per l’evangelista questa possibilità di vivere in comunione con la stessa vita divina.

Per Giovanni l’immagine di Dio è legata alla realtà del Verbo che vive in relazione con il Padre e, con la sua incarnazione, ci fa entrare in questo dialogo divino che fonda la nostra gioia. Nel Verbo fatto carne Dio parla ed ascolta e la parola è il modo per rendere accessibile l’intimità. Possiamo e dobbiamo accogliere ogni giorno il realismo dell’Incarnazione, che si concretizza attraverso una cascata di verbi di cui la Parola oggi sembra inondarci: udire, vedere, contemplare, toccare, testimoniare, annunciare, essere in comunione, correre, uscire insieme, credere: perché la vostra gioia sia piena.

Il Signore, Guido e Valentino, vi doni di posare il vostro orecchio sul suo cuore, perché il ritmo del suo sentire diventi il ritmo del vostro intuire.

Il cuore è l’organo vitale del nostro corpo e lavora, incessantemente, per svolgere la funzione di pompa, cioè distribuire il sangue, attraverso le arterie, a tutte le periferie dell’organismo. Dal centro alla periferia. È un’immagine bellissima del ministero ordinato, dell’essere preti: il centro della buona notizia, dalla quale siamo stati chiamati e per la quale abbiamo consacrato la nostra vita e siamo stati mandati, deve diramarsi in tutte le periferie del corpo ecclesiale e da lì uscire e irrorare di vita e di speranza ogni persona.

Così è il cuore di Dio: non si arrende mai, è ostinato nell’amore, le sue porte rimangono sempre aperte. Gesù, che è il volto della misericordia di Dio, facendosi buon pastore del gregge, ci ha mostrato e donato il cuore del Padre come un luogo che batte d’amore, che pulsa di compassione e che intende raggiungere ogni uomo, in qualunque situazione si trovi, qualunque sia il percorso della sua esistenza. Perciò, così deve essere anche il cuore del prete configurato a Cristo: disposto a lavorare incessantemente, per far giungere a tutti la luce e la consolazione del Vangelo. Ministri col cuore di Cristo, che si fermano, si fanno prossimi, si chinano sulle ferite dei fratelli e li accompagnano, versando su di essi l’olio della consolazione e il vino della speranza.

È la strada indicata al nostro ministero sacerdotale dal Buon Pastore inviato a cercare chi è perduto, dal buon samaritano venuto a soccorrere e rialzare l’umanità. Gesù può svolgere questa missione perché il suo cuore rimane stretto, unito, a quello del Padre; perché egli, pur immergendosi nelle ferite del popolo, si ritira sul monte per tuffarsi nel cuore di Dio; perché con il cuore del Padre è una cosa sola. Ecco il fondamento della spiritualità del prete: Gesù ha il cuore del pastore che cerca l’uomo, solo perché rimane continuamente nella ricerca del Padre e della sua volontà.

Non pretendete di essere arrivati, ma rimanete in cammino, come discepoli alla sequela del maestro.

Un cuore che cerca, come quello del Buon Pastore, rimane sempre disponibile alla relazione con Dio, è docile alle sorprese del suo spirito, in un atteggiamento di accoglienza, di abbandono, di fiducia.

Vi prego, Guido e Valentino, non presentate risposte preconfezionate, non etichettate le persone, non le classificate dentro uno schema, ma diventate pastori capaci di cogliere le sfumature e le singolarità di ogni volto. Perché alla base di una pastorale ci sono i volti.

Vi auguro passione per i volti. Se parlo senza prima aver guardato i volti, le mie sono parole vuote. Lui guardò in volto Cleopa e il suo compagno di viaggio: avevano il volto triste. Alla fine si dissero: “Non ci ardeva il cuore in petto mentre ci spiegava le Scritture lungo il cammino?”. Prima leggete il volto, poi parlate. Nel volto è scritta una storia, quella irripetibile, di una donna, di un uomo. Fermatevi ai volti, ai volti non ci si può abituare. Fate in modo che chiunque incontrate, possa dire: “io ho un posto nei tuoi occhi”.

Il volto se lo leggi, se lo ascolti, ti racconta l’oggi con le sue luci e le sue ombre. Noi vorremmo avere subito la misura di tutto, siamo quelli dei risultati immediati. E non del passaggio della grazia, che ha i passi del silenzio. Ci è chiesto di seminare. E anche di non vedere sempre i frutti della nostra semina. Non si tratta soltanto di fare qualcosa ma, prima di tutto, di guardare l’uomo con gli occhi di Dio.

Il prete è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre, accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare; nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani. Il Buon Pastore non conosce i guanti.

Non lasciatevi impressionare o scoraggiare dalle difficoltà o dalle indifferenze generalizzate.

Da Gesù Cristo, che dà origine e porta a compimento la nostra fede, avete sentito e accolto la chiamata a “stare con Lui” e anche ad “andare a predicare” e da Lui continuate a ricevere direzione e senso, gusto e significato, per la vostra umanità e per la vostra vita.

Nelle difficoltà che l’evangelizzazione incontra, negli ostacoli che l’azione pastorale conosce, nelle tribolazioni che le vicende dell’esistenza vi procurano, non smettete di guardare a Lui, di affidarvi a Lui. Il Signore, che vi ha chiamato, non deluderà le vostre speranze.

Il ministero non si può esaurire nello spazio della comunità cristiana, ma si apre a tutti, soprattutto ai poveri e ai sofferenti, che costituiscono la carne di Cristo nella storia. Accettare di incontrare le persone, ascoltarle e accoglierle nelle loro concrete situazioni, spesso dolorose e fragili, non è tanto occasione per noi di fare il bene, quanto invece occasione di lasciarci incontrare da Cristo stesso, di lasciarci toccare e convertire da Lui che è presente nell’altro.

Accettiamo di lasciarci scomodare. Sporcarsi le mani entrando con discrezione, pudore e carità, nelle situazioni esistenziali è motivo di gioia per il presbitero che ha gettato la sua vita nelle mani di Cristo: non vi è sporcizia più grande di chi rifiuta di sporcarsi le mani con il prossimo.

Amate senza attendere ricompensa, donate per la gioia di donare e senza nulla desiderare in contraccambio. Davvero nell’incontro con le persone, con la concretezza dei loro volti, delle loro storie, dei loro drammi, voi potete vivere la grande occasione della sequela di Gesù e di conversione personale, e narrare quella misericordia che è al cuore del vostro ministero.

E poi, non abbiate paura di perdonare. Il perdono non è mai scialo di amore. Gesù ha narrato il perdono di Dio a peccatori, a persone che vivevano contraddizioni profonde con la carità e la verità. Non ha esitato a scandalizzare perdonando l’adultera, e vedendo nella prostituta non il peccato ma l’amore. Ogni vostro gesto, ogni vostra parola, siano ispirati dalla misericordia di Dio e narrino tale misericordia. Non è lassismo ma verità. La verità del Dio cristiano che vince il male con il bene. La verità delle nostre vite che nella misericordia di Dio trovano l’unica cosa di cui hanno bisogno in profondità.

Vita vera è solo quella mossa dal desiderio e non dalle paure. Tu prete sei uno dal desiderio di Dio, mendicante di Dio. La lotta del cuore rimane sino alla fine, perché Dio non sia un dovere ma un desiderio.

Il prete vede luccicare i propri occhi quando si parla di un Dio amore, perduto come lui nell’amare, perduto, come lui e più di lui, dietro ognuno di noi. Che i vostri occhi siano sempre fissi su Gesù.

Ponendo gli occhi su Gesù, sommo sacerdote fedele, lo sguardo si allarga al cuore di ogni prete. Perché nella fedeltà c’è tutto. E mi viene in mente quella preghiera che diciamo in silenzio, con l’ostia in mano, al momento della comunione: “fa che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”. È il grido d’amore che ogni giorno faccio a colui che mi ha chiamato, con doni e segni irrevocabili. Perché è fedele colui che ci ha scelti. È bello quel momento, che solo noi possiamo capire. Come colui che sa leggere il suo nome sulla pietruzza bianca, un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve.

Ogni prete sente che quel momento è magico. Contiene tutta la sua vita. Con uno sguardo diretto, a quell’ostia che vela e svela e rivela il volto luminoso del suo Sposo, cui può confidare le fatiche del giorno che inizia o le lacrime della giornata trascorsa. Tutto è in quel gesto. E ne fa fede, il segno del pane spezzato.

L’umiltà abiti i vostri occhi, i vostri gesti, la vostra voce … Attraverso il vostro bene-dire la gente possa sentire, come lo sente da Gesù e dalla Vergine Maria, che può affidarsi a Dio, che può offrirgli i sacrifici quotidiani che tessono la sua vita, che può condividere le difficoltà che il cammino gli mette innanzi. Possiate essere vicini alla gente che ha bisogno di lui, che lo cerca, lo invoca, che lo loda, che lo ama. Possa la gente, attraverso di voi, dire a Dio che vuole vivere nel suo abbraccio e sperimentare che è proprio di questo che Egli si nutre, di un abbraccio che profuma di infinito.

Vi chiedo prima di tutto di porre sempre al centro di ogni vostra scelta la figura del Cristo. Per Lui solo batta il vostro cuore, di Lui solo siate sempre più innamorati. Lui solo servite nella vastità del suo regno. Lui sia la vostra quotidiana esperienza nell’Eucarestia. Le vostre mani possano davvero toccare il Verbo della vita. Lui possiate sentire nella meditazione della Parola, del verbo che si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi. Possiate annunciare Lui soltanto con parresia e semplicità. Allora la vostra gioia sarà piena. Piena e perenne. Fermatevi sul petto del Cristo, come l’apostolo Giovanni. Sentitene i battiti. Ascoltatene i passi, lungo i sentieri polverosi e accidentati di questa nostra terra.

E nel mistero dell’incarnazione, sentite di poter raccogliere anche il nucleo del vostro modo di vivere il sacerdozio. L’incarnazione. È il mistero centrale. Vivetelo intensamente. L’amore ai poveri prima di tutto. Chi bussa alla vostra casa, anche fuori orario: trovi sempre aperta la vostra porta.

Siamo mandati ad annunciare Colui che chiama dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dall’aridità del cuore alla parola nuova, redenta, dall’esperienza di inutilità e fallimento a essere sale e luce per il mondo, servi, compagni suoi, suoi collaboratori a tempo pieno, senza calcoli, senza scadenze e senza riserve.

Guido e Valentino, e voi, figli e fratelli miei, sacerdoti tutti, siate capaci di scrutare insieme i segni dei tempi. Accogliete ogni speranza di mediazione. Non disdegnate gli attimi, i momenti che possono diventare incontro con le persone, scambio di fragilità e misericordia. Siate mediatori in Gesù, colui che si accorge della fame vera della folla, del profondo bisogno della sua Parola che rialza. Abbiate sempre dell’olio di riserva nelle vostre lampade perché la luce e la pace non tardino a venire per nessuno, perché la vostra preghiera che prima di tutto è cura del rapporto con il Signore, possa accogliere veramente tutti, in particolare coloro che sono soli e oppressi.

Tutto di voi, il vostro servizio, le vostre giornate, anche le vostre notti qualche volta insonni, siano abitate dalla cura dell’altro. Sappiate sperimentare con umiltà che siete chiamati a dare gratuitamente ciò che gratuitamente ricevete: state in mezzo alla gente, siate operai del tempo presente! Lasciatevi scavare l’anima dalle lacrime, dalle speranze della gente. Lasciate che la benedizione di Dio scenda attraverso voi sui passi dei suoi figli, immergetevi nella gioia dell’incontro con Gesù che fa rinascere la speranza, sempre. Fermatevi, state, contemplate, abbiate gli occhi fissi sul volto di quanti cercano il Signore. Lasciatevi meravigliare dall’opera multiforme di Dio, dalla sua voce, da quel vento leggero che parla nei luoghi meno scontati della storia. Don Lorenzo Milani soleva dire: “Mi sono fatto prete per spogliarmi di ogni privilegio”. Impariamo da Gesù, impariamo dagli ultimi della terra e della storia a diventare annunciatori di speranza, di un Dio che ancora scende, libera, benedice.

Carissimi fratelli miei, custodite il dono che siete! Custodite il tesoro della vostra chiamata!  Scavate nella vostra storia e vi troverete quel tesoro nascosto nel campo, per cui un uomo, addirittura Dio, ha venduto tutto per acquistarlo. Vi troverete quella comunione vera, cristallina, capace di attirare altri a sé, che vive già nel vostro cuore! Quella comunione capace di riconoscere le povertà dell’altro più inespresse, capace di ascoltare i suoi silenzi, capace di compassione, di prossimità vera. Capace di stima dell’altro, capace di costruire relazioni autentiche tra voi confratelli, capace anche di rimettere insieme i pezzi.

Lo Spirito Santo scende ora su di voi, con la forza inarrestabile della sua grazia. È Lui che vi consacra oggi preti della Chiesa di Dio, per la preghiera consacratoria di tutta la comunità.

Lo Spirito Santo vi regali il dono della comunione, dell’unità all’interno del presbiterio e delle parrocchie. L’unità è il dono più difficile ma proprio per questo più bello. Va costruita ogni giorno, con tenacia e pazienza, lottando e pregando insieme. Invocatela nella Liturgia Eucaristica, quando chiederete: “a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo ed un solo Spirito”.

Pregate tutti i giorni per l’unità, chiedetela con fiducia, al di là dei nostri meriti e oltre i nostri peccati, come ci insegnano le parole della Chiesa: “Signore Gesù, non guardare i nostri peccati ma la fede della tua Chiesa e donale unità e pace, secondo la tua volontà.”

L’amore misericordioso del Padre vi dia la gioia di accogliere con mano paterna e materna insieme, tutti, soprattutto chi fa più fatica.

A voi, Guido e Valentino, chiedo che sia la testimonianza della vita a cadenzare i ritmi del vostro servizio. Una vita povera, fatta di cose essenziali, amante della semplicità, desiderosa soltanto di confermarsi in Cristo. Una vita ubbidiente non stando fermi sull’attenti davanti al capo ma gioiosa nel mettere i propri piedi sulle orme di Gesù, uomo libero, che fu obbediente fino alla morte. Una vita pura, che non fa spazio ai compromessi, alle ambiguità, ai sotterfugi.

Siate servi del popolo, non suoi cortigiani. Servi che desiderano la crescita del popolo e non il suo solo consenso. Servi che camminano con il popolo, ma col compito di sveltirne il passo lento.

Occorre camminare a volte dinanzi, a volte dietro, a volte in mezzo, come dice papa Francesco, per guidare la comunità. In mezzo per incoraggiarla e sostenerla, dietro per tenerla unita, davanti per guidarla.

Vi invito ad uscire, ad andare alla ricerca, a spolverare i luoghi dell’indifferenza, a ricercare coloro che ci hanno abbandonato, a recuperare ciò che si è pensato smarrito, ma che forse si sente solo incompreso e tradito.

Fissiamo i nostri occhi su di Lui, il Cristo sacerdote: su di Lui che ci parla, che ci innamora, che ci tormenta, che ci redime. È il volto di Cristo che illumina i nostri passi, attrae con il suo fascino. Se un giorno la sua voce è giunta ai nostri orecchi di giovani ed abbiamo scelto Lui, come unico amore, è proprio perché siamo stati affascinati dalla bellezza di quel volto. Che la gente ci veda e ci senta innamorati di Gesù Cristo …

Sia questo il vostro stile, carissimi Guido e Valentino. Vi affido a Maria, la madre che sempre vi sarà accanto. Guardiamo a Lei: le grandi cose che Dio ha operato nella Vergine può realizzarle anche in noi, se con prontezza e generosità, gli offriamo il nostro eccomi; nel nostro ministero, per quanto talvolta difficile, sentiremo risuonare la voce del Signore che sussurra anche a noi: “non temere, hai trovato grazia presso Dio”. Ed è il senso del posare il nostro capo anche sul cuore di Maria, perché questo avrà fatto Giovanni quel venerdì Santo.

Invocatela nel rosario, tutti i giorni, ed essa estenderà il suo mantello su di voi, alimentando la vostra lampada, perché resti sempre accesa nella speranza. E così per il vostro sacerdozio esulteranno di gioia le vostre famiglie, alle quali dico grazie per il dono che fanno di voi al Signore, esulterà di gioia questa santa Chiesa, la Chiesa tutta.

Vi auguro di scoprire sempre di più l’essenzialità e la ricchezza di essere costituiti compagni del Signore, per la vita del mondo. Lasciate che la vostra cura fiduciosa, le vostre attese e le vostre inquietudini per questa Chiesa in cammino, per la terra a noi affidata, diventino pane spezzato con Gesù e con i fratelli! Auguri a voi e a tutti noi, vi benedico … Benedite anche me!

† don Mimmo, vescovo