SE TI LASCERAI AMARE… – I Lettera del Vescovo Mimmo per la Quaresima

25-02-2020

Caro Antonio,

scrivo a te questa prima lettera di quaresima, per abitare con te le tue domande, per provare a cogliere il senso di quell’inquietudine che ti porti dentro e che mi hai consegnato qualche giorno fa.

È appena trascorso il carnevale e ogni volta che penso a questo giorno ho davanti agli occhi l’immagine di un uomo in maschera, magari alla ricerca di un sé stesso che non riesce a trovare, per cui si finge ciò che non riesce ad essere. Ma il Tempo di Quaresima, che inizia subito dopo un “carnevale”, ci chiama a gettare ogni maschera, a disarmarci, per riscoprirci lentamente e cercare di capire non tanto quello che si è, ma quello che Dio vuole che siamo. È questo il passaggio da un carnevale ad una quaresima. E non è un passaggio indolore. Per questo vorrei augurare a te, a me, ad ognuno di noi una buona quaresima.

Si tratta di prendere coscienza, appartarsi, pregare… E penso alle quaresime, poche o molte già vissute che non hanno dato inizio a niente, o quasi niente, nella mia vita. E mi coglie quasi un senso di tristezza perché è come se sentissi di averle “sprecate”. Ma, poi, colgo un senso di profonda gratitudine per il tempo che ancora mi viene donato, per il fatto stesso che la Chiesa mi riproponga nuovamente una quaresima.

È come se intuissi, in questo ripropormela, da un lato un atto di consapevolezza e dall’altro un atto di fiducia. Consapevolezza della fragilità umana perché al Vangelo non ci si converte in quaranta giorni o in un anno ma ogni giorno, per tutta la vita. Fiducia, come mi venisse detto che quest’anno posso fare un passo, il mio piccolo passo, in “questa” quaresima. E colgo la bellezza e l’incanto di un Dio che continua a credere in me.

Ma, come te, anche io sento una grande fatica. La fatica di essere! E agli occhi di Dio questa fatica è preziosa. L’essenziale non è mai avere, ma soltanto essere! Solo nella misura in cui sarai capace di rinnegare te stesso potrai diventare veramente te stesso.

Un giorno mi trovavo in Comunità con i miei ragazzi. Eravamo in cerchio ed ognuno raccontava agli altri la propria angoscia, la propria sofferenza, la propria fatica.

Un ragazzo, giunto il suo turno, si alzò e, senza dire nulla, prese un piatto di coccio e lo lasciò cadere per terra. Il piatto ovviamente si fece in mille pezzi.

Alla mia domanda circa il significato del gesto, mi rispose che lui vedeva così la sua vita: distrutta in mille cocci.

Dopo la spiegazione del gesto si chinò, raccolse un pezzo di coccio, lo strinse nella mano e cominciò a piangere, visibilmente commosso.

Anche stavolta chiesi spiegazioni. Mi rispose che gli stava succedendo una cosa strana: quel coccio prima così freddo ed estraneo, con il calore della mano si stava a poco a poco riscaldando. “È bello, mi disse, sentirsi parte di qualcosa di più grande, qualcosa che riesca a raccogliere i cocci della nostra vita e renda ciascuno di essi degno di essere vissuto.” Perché nessuna storia è mai inutile, è mai persa, e ogni coccio ha il suo senso. Si riferiva alla Comunità, agli altri ragazzi, al sostegno reciproco che si davano nel cammino di cambiamento che avevano intrapreso.

Non ti nascondo, Antonio caro, che quella volta ho ricevuto una grande lezione. La consapevolezza della propria fragilità è parte importante di ogni cammino di conversione. E la quaresima può davvero diventare un momento di sincerità trovando il coraggio di guardare in faccia i nostri limiti e chiamare per nome la nostra personale povertà. Senza la consapevolezza che abbiamo bisogno di essere salvati, nessuno di noi si disporrebbe ad accogliere questa salvezza. Ecco perché la quaresima inizia accendendo una luce sulla nostra povertà. Siamo abitati da mille domande: tutti portiamo dentro il desiderio di essere amati, tutti cerchiamo qualcosa che ci renda felici, ma non tutte le risposte sono giuste. Il peccato, spesso, è aver trovato risposte sbagliate a domande giuste. Allora questo tempo diventa favorevole perché può salvare le domande giuste ed eliminare le risposte sbagliate.

Ma c’è un deserto da attraversare…

Quando sento parlare di deserto, non fisso un punto sulla carta geografica: mi guardo attorno. Mi scruto dentro. Non penso a un luogo. Mi riferisco a una dimensione essenziale della vita… Un deserto dove il silenzio non è già pronto. Ma dove è necessario, prima, spegnere i rumori. Qui non ho tempo di aspettare. Eppure anche qui devo imparare a fermarmi.

Il tempo di quaresima diventa allora un tempo favorevole, il momento per accogliere lo sguardo del Cristo Crocifisso e lasciarsi salvare nuovamente. Ognuno di noi ha il suo personale deserto da attraversare, il suo percorso di riconciliazione e, al tempo stesso, il deserto lo attraversiamo insieme come comunità, sostenendoci ed incoraggiandoci perché nessuno venga meno lungo il cammino. Sì, incoraggiandoci a vicenda. Ne hai bisogno tu, ne ho bisogno io, ne abbiamo bisogno tutti. Bisogno non solo di parole, ma di gesti che infondano coraggio!

Perché comunità vera si diventa vivendo il Vangelo, non recitando la parte del “perfetto”; non mascherandosi dietro un ruolo o dietro un titolo, ma dando trasparenza ai rapporti. Incontrandoci come persone. Come figli di Dio. Questa la più grande dignità che ci è toccata. Non esiste, per un vero credente, altra tanto grande.

Quale perdita per la società se la Chiesa, che nel mondo dovrebbe apparire come lo spazio dove risplende la libertà e l’umanità dei rapporti, diventasse luogo di relazioni puramente formali, deboli e fiacche, non sincere e intense. Rischierebbe l’insignificanza!

Mi chiedo, allora, se alla Chiesa di oggi, e quindi a ciascuno di noi, Dio non chieda meno protagonismo, meno recite e più vicinanza, più condivisione, più sincerità…

Ricordo le parole di Cristian Bobin, un poeta e scrittore francese che non finisce mai di provocarmi: “Ho trovato Dio nelle pozzanghere d’acqua, nel profumo del caprifoglio, nella purezza di certi libri e persino in certi atei. Non l’ho quasi mai trovato presso coloro il cui mestiere consiste nel parlarne”. Ma ce ne accorgiamo che molti se ne vanno per questo? Trovano parole e non trovano Dio.

Quaresima, allora, è cammino che ci porta al centro di noi stessi e non alla dispersione dietro le cose: ecco il digiuno; alla relazione nutriente con gli altri, aperta e accogliente: l’elemosina a cui ci invita il Vangelo; alla fiducia in Dio Padre: la preghiera, che non cerca ricompensa ma gode dell’incontro con la Sorgente stessa della vita.

Fermati… prendi coscienza. Regalati un momento di sincerità. E lasciati condurre dallo Spirito. Come Gesù. Non opporre resistenza allo Spirito. È lo Spirito che porta nel deserto.

Ti porta nel deserto – direbbe il libro del Deuteronomio – “per sapere quello che hai nel cuore” (Dt 8,2). Con sincerità: aldilà di quello che si tenta di apparire, aldilà delle mille maschere, con cui si recita. Per sapere che cosa davvero abita il cuore. Il deserto – direbbe ancora il profeta Osea – come luogo di una intimità, con Dio e con la sua Parola: “La condurrò nel deserto e parlerò sul suo cuore” (Os 2,14).

Lasciamoci tutti condurre dallo Spirito, come comunità, per essere restituiti a una religiosità di donne e uomini liberi. Di figli e non di schiavi. Restituiti – e che bello pensare alla quaresima così – restituiti alla nostra umanità vera, sincera, autentica. Da figli! Ti riporto a quel ragazzo in comunità: si è chinato su quel coccio, sui diversi cocci per provare, poco dopo, anche a rimetterli insieme. E se fosse anche questo il senso profondo della quaresima? Permettere a qualcuno di chinarsi su di noi. Di spezzare con noi le catene in cui siamo prigionieri di noi stessi, delle nostre paure, delle nostre angosce, del nostro “io”, del nostro personale “potere”. E se il vero potere fosse l’amare, il chinarci, il prenderci cura? Dell’altro e della terra? E se il segreto fosse fare posto all’amore…

Provaci, Antonio…  E rinascerà la speranza. E sentirai che è Dio la ragione che tiene in vita quella speranza. Riparti da Dio! Se ti lascerai amare sentirai la forza del perdono e in quel perdono, accolto, imparerai a perdonare te stesso… perché si è forti quando si è capaci di sprofondare totalmente nella debolezza di Dio… E se ti lascerai riconciliare con Dio non avrai paura di rischiare, di perdere anche la faccia, non cercherai consensi, applausi o gratificazione. Ti basterà il tuo Signore. Sarà Lui la tua forza. Perché il suo amore rialza, guarisce, dona senso, riempie la vita. Rimette in piedi! E troverai anche il coraggio di osare il passo verso i tuoi fratelli… e sarai tu a fare per primo, quel passo! Potrai così rileggere la tua storia e consegnarla a quel Dio che già l’ha tutta redenta portandola sul suo corpo sulla croce. Lasciati riconciliare con Dio. Raccogli tutto il bene, il bello, il buono e donalo senza misura, e spogliati di tutto ciò che ingombra, che blocca, che appesantisce… Gesù non ci promette cose, ma ci promette noi stessi.

Fai la tua parte, falla ora: digiuna anche tu dai giudizi, dal dito puntato, dalle parole distruttive, dal lamento su tutto e tutti… e ritrova il coraggio della chiarezza, della comprensione, dell’apertura, dell’accoglienza. Il coraggio della lentezza del seme… ascoltando il silenzio. Costruisci comunione, semina pace…  Dona coraggio, dona fiducia. Dona speranza. Lasciamoci riconciliare con Dio, col suo vero volto. È il volto della compassione, del perdono, della pazienza, della misericordia. Il Suo volto risplenda su di te e ti dia pace.

La resurrezione è un tempo lento. Dobbiamo cominciare a perdere tempo, non perché non sappiamo cosa fare, ma per raccogliere i dettagli della vita. Comincia tu, lo farò anche io… Forse sarà solo un passo… magari solo un piccolo passo… Buon cammino!

† don Mimmo, tuo Vescovo