COME MARIA. Paolo VI, in particolare, ci presenta Maria come modello di attesa e di preparazione per l’incontro con il Signore che sta per nascere (Marialis cultus) e che continua a nascere ogni giorno dentro di noi quando, nella nostra vita, lo lasciamo “venire al mondo”. La Liturgia stessa dell’Avvento, congiungendo quella che è l’attesa verso il Messia e la memoria della Madre, ci presenta un pieno equilibrio congiunto che non isola e non fa distaccare di una virgola Maria da suo Figlio. Una connessione diretta e spedita che ci indica chiaramente che Maria è la Porta dell’Avvento. Chi, infatti, meglio e più di lei può rappresentare rifiuto e attesa, con tutto il carico di gioie e di speranze, di tristezze e di angosce? Lei che, incinta di suo figlio, ha sperimentato il rifiuto (“non c’era posto per loro nell’albergo”) e assaporato l’attesa, quella travagliata e trepidante di entusiasmo, passione e stupore. Negli incontri del vescovo Mimmo nell’ “on the road” natalizio di quest’anno, come segni concreti di attenzione e di vicinanza, di speranza e di luce per il nostro territorio diocesano, ancora di più che rispetto agli altri anni, si vuole guardare a Maria per provare ad imitarla, a prenderla come esempio da seguire. Come Maria, come i suoi “sì”, come il suo “Eccomi!” è fondato il servizio e la missione che vuole animarci quotidianamente. In questi diari di bordo lo faremo attraverso le definizioni a lei cucite addosso tutte d’un fiato nel canto mariano “Ave Maria (Verbum Panis)”.
Maria, “donna dell’attesa e madre di speranza, ora pro nobis!”. Ora pro nobis per il nostro territorio martoriato e ferito, per quanti soffrono lacrime di dolore, per quanti non smettono di lottare e di resistere nel credere in un mondo migliore e più giusto. Un mondo dove non si muore di tumore a 12 anni, dove un padre di famiglia di 52 anni non può perdere il lavoro dalla sera alla mattina e dove una ragazza di 24 anni non è costretta ad andarsene per inseguire i propri sogni. Come Maria. Senza di lei non potremmo capire fino in fondo questo tempo che stiamo vivendo.
“Il Signore conosce le attese più profonde e vere del nostro cuore. Conosce il perché della paura che a volte attraversa i nostri sguardi, le nostre parole. Non si scandalizza di noi. Lo sa che lo aspettiamo nelle nostre inadeguatezze, fragilità, nella incapacità di dare fiducia, di fare il primo passo, di perdere, di perdonare, di fare il bene che possiamo, di proteggere i più deboli, negli angoli bui del nostro cuore che fa esperienza della morte, dell’assenza, della delusione, nelle relazioni spezzate, nelle guerre che invadono il nostro presente e il nostro futuro” (DON MIMMO BATTAGLIA, lettera per l’inizio dell’Avvento 2019).
Giovanni Pio Marenna
GIORNO 1: Dell’attesa e di tanta speranza
Ogni giorno ognuno di noi vive sulla propria pelle le fatiche dell’attesa e della speranza. A volte ci stanchiamo di aspettare. Che poi equivale a rinunciare a sperare. Altre volte pensiamo sia tutta un’illusione, quindi ci fermiamo, ci arrendiamo di fronte al dolore. Sembra quasi ci sia una contrapposizione anche nel dolore, tra bambini e ragazzi che, seppur vivono in condizioni difficili, possono camminare sulle loro gambe rispetto a chi, purtroppo, non ha neanche questa possibilità. Bambini e ragazzi visitati nel tardo pomeriggio di ieri dal vescovo Mimmo al Centro di Riabilitazione Relax di San Salvatore Telesino e in alcune abitazioni private. Le famiglie di Matteo, Rosa e Luca, i genitori di Sofia, Pasquale, Giovanni, Elisa, Rossella, Martino, Jennifer, Elisa, Daniel, Pierluigi, Raffy, Davide, Luigi e Alessandro non si sono fermati e stanno r-esistendo nel prendersi cura (insieme sempre agli operatori dei vari centri presenti sul nostro territorio), sognando per i loro figli un domani diverso e migliore da un presente gonfio zeppo di difficoltà e di ostacoli. In ognuno dei loro volti i doni di speranza, amore, luce, gioia e pace. Una sola certezza per tutti: tutto è vita da amare, tutti siamo tutti amati nelle nostre differenze, con le nostre differenze e a partire dalle nostre differenze, l’unico tratto in comune che abbiamo tutti. E in tempi difficilissimi come questi abbiamo bisogno sempre di più come il pane di calore e di poesia. Tra attese e speranze da abitare non da spettatori passivi, ma da protagonisti attivi.