“Fa più rumore un albero che cade piuttosto una foresta che cresce”, recita un proverbio africano. E ormai si può dire che una foresta di scuole sta crescendo in Burundi, anche se in maniera sorniona e discreta, senza far troppo rumore. E’ stata inaugurata, infatti, il 13 luglio scorso a Rutwenzi la decima scuola costruita con i fondi raccolti e donati da benefattori della diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti. Alla presenza del vescovo Bacinoni, di rappresentanti del Ministero dell’Istruzione e di rappresentanti della provincia di Bururi, è stato tagliato il nastro dell’apertura della scuola che permetterà a 600 ragazzi di poter continuare gli studi per ottenere il diploma di scuola secondaria.
Quella di Rutwenzi è un liceo che si somma alle altre scuole già costruite nei vari villaggi montani, lontani dai centri urbani più importanti e non di interesse per le autorità civili, grazie alla collaborazione negli ultimi anni tra il Centro missionario diocesano con la Fondazione PDEJ, il cui presidente è don Salvator Niciteretse, sacerdote della diocesi di Bururi. Nel corso di 18 anni si sono potute costruire queste scuole dove studiano oltre 3000 ragazzi. Prima di Rutwenzi, sono state costruite ed avviate le scuole di Minago, Kigwena, Gakora, Kesha, Cangwe, Muhuzu, Bubanza, Kajabure, Muyange. A queste bisogna aggiungere che sono in via di completamento le scuole di Busaga, Nyanza Lac, Giharo. Il loro completamento è l’obiettivo per il prossimo triennio. Le scuole hanno permesso di dare fiducia alla popolazione e ai profughi rientrati negli anni scorsi dai paesi limitrofi, inoltre di avviare un processo di pace e riconciliazione dopo il genocidio degli anni 1993-94, di non permettere il depauperamento delle zone montane per il trasferimento della popolazione verso le città con la possibilità di aggravare la situazione socio-politica che il paese africano sta vivendo. Ogni giorno si scoprono decine di persone uccise, nei vari luoghi del paese. A gennaio è stato ammazzato il ministro dell’ambiente ed il 2 luglio scorso è stato ucciso un medico italiano. Si contano secondo stime dell’Onu più di 1200 uccisioni a partire dal 2015, dopo le elezioni presidenziali, così come 300.000 persone hanno trovato rifugio all’estero per sfuggire a morte certa. Negli ultimi anni, la povertà invece di diminuire è aumentata, tanto che il Burundi occupa uno degli ultimi posti nel mondo per ricchezza pro-capite. Il tasso di scolarizzazione dei burundesi è piuttosto basso e ciò non assicura un progredire delle condizioni di vita dei suoi abitanti. La forbice tra ricchi e poveri è aumentata, e il governo sta attuando una politica di isolamento a livello mondiale, pensando a rafforzare il proprio peso militare piuttosto che ad investire in servizi ed infrastrutture per lo sviluppo di attività e di lavoro per la popolazione. Il Burundi ha fatto richiesta come primo paese di uscire dalla Corte suprema di giustizia. Sono stati cacciati dal paese alcuni rappresentanti dei diritti internazionali, così come a rappresentanti dell’Onu e della Banca mondiale è stato negato il visto d’ingresso nel paese. Sono state rifiutate anche le milizie dei caschi blu per frenare l’escalation di morti sospette e di cui non si conoscono i mandanti ufficiali. Basti pensare che nella capitale, Bujumbura, spesso manca l’energia elettrica, a volte anche l’acqua, così come spesso è difficile trovare gasolio o benzina. Per non parlare delle altre zone del paese, dove l’elettricità è un sogno, l’acqua non sempre disponibile. A tal pro, i fondi raccolti nella nostra Diocesi sono serviti negli anni scorsi anche a costruire 28 pozzi per una popolazione di circa 20.000 persone per assicurare loro acqua potabile per almeno 11 mesi all’anno. Così come l’impegno a sostenere 3 orfanotrofi, da dove sono usciti oltre 250 giovani che oggi provvedono a se stessi da soli. L’obiettivo è che la foresta aumenti e non diminuisca, per dare ossigeno di cultura e formazione a chi ne ha bisogno.
Sebastiano Paglione