Omelia per la chiusura dell’Anno della Misericordia – 13 novembre 2016

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13-11-2016

Sollevazione di popoli, terremoti, carestie, persecuzione dei giusti: non vi terrorizzate, perché prima devono accadere queste cose, ma non è subito la fine. E non è detto che queste cose avvengano una sola volta nella storia. Pensate quante volte sono avvenute e quante volte si è gridato alla fine.
Se percorriamo attentamente la parola del Vangelo, ci accorgiamo che nelle situazioni caotiche e drammatiche della storia l’atteggiamento suggerito è paradossalmente il contrario dell’agitazione, della frenesia, dell’ansia. Viene il Signore, e dunque tu non lasciarti portare di qui e di là, sta saldo. Non lasciarti terrorizzare, sfrutta le occasioni per rendere testimonianza. Non preoccuparti come se tutto dipendesse da te. Pensa che neppure un capello del tuo capo sarà toccato. Tieni duro nella tua fedeltà al Signore e avrai salva la vita.

Dunque falsa e vera attesa del Signore. Quella falsa la scopri nell’agitazione, anche religiosa. Quella vera la desumi dal coraggio, dalla forza, dalla libertà che ti infonde di fronte agli accadimenti della storia, che svelano la provvisorietà delle cose umane, anche religiose. Anche il tempio, sembra dire Gesù, il tempio oggetto di amore da parte di ogni credente israelita, come ogni istituzione umana ha una sua precarietà. Se tu ne fai un assoluto, quando cade il tempio, cade la vita, cade il senso della vita. L’abbandonarsi a Dio è il primo atteggiamento con cui attendere il Signore.
C’è una certezza che abita il cuore dei credenti: il Signore ritornerà.
La segnalazione del giorno del Signore, del suo ritorno, non è, come spesso è stata interpretata, un’operazione per incutere paura, terrorismo spirituale. Al contrario è uno stimolo, proprio perché credi nel Signore che verrà, a vincere la paura. Tu confidi nel suo ritorno. I veri discepoli di Gesù non li trovate tra quelli che minacciano l’ira di Dio o interpretano le calamità dei tempi come segni dell’ira di Dio, come se Dio avesse bisogno di catastrofi o di castighi per salvare l’umanità. Che brutta immagine di Dio. I veri credenti non annunciano il castigo di Dio ma annunciano la vicinanza amorevole di Dio. Una vicinanza su cui contare. Nemmeno un capello del vostro capo perirà.
Non nel senso che ci è promessa un’integrità fisica: vi metteranno a morte, dice Luca, nel senso invece che non vi potranno scalfire nella vostra dignità. Non preparate la vostra difesa nei tribunali: non proclama irrilevante il ruolo degli avvocati, ma vuole dire che a Lui si dà testimonianza se si è disarmati e se non ci si appoggia sulle astuzie umane, sugli intrighi umani.
Dunque, quando tentati dallo scoramento per quanto succede, sareste per cedere alla sfiducia, alle voci di coloro che vi vogliono convincere che non vale la pena lottare, fate resistenza e dite: nonostante le contraddizioni dei nostri giorni, noi scegliamo di seguire le sue tracce, un giorno il Signore verrà.
Si, proprio in quel momento, in cui sarai tentato di lasciar perdere e di fermarti, entra in te stesso e prega Gesù, nel segreto del tuo cuore. Digli: vieni Signore Gesù. Nel silenzio udrai la sua voce: rialzati e alza il capo, perché la liberazione è vicina.
La vostra liberazione è vicina. C’è un germoglio nella storia, un segno della giustizia e della fedeltà di Dio. E che la liberazione sia vicina lo dice il fatto che, nonostante tutto, voi siete in piedi e che il vostro volto non è abbassato. È questo l’atteggiamento cui la scrittura dà il nome di costanza, a me piace chiamarla resistenza.
Resistenza allo smarrimento.
E c’è un’altra resistenza da mettere in campo, ed è la resistenza all’inganno, l’inganno di coloro che citano spesso il nome di Dio, dicono di parlare in nome di Dio e per questo sono più pericolosi. Se li senti parlare loro sanno dov’è Dio, dov’è Gesù. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo sono io, e il tempo è vicino. Non andate dietro a loro. Cioè resistete a ognuno che voglia comprarvi l’anima, decidendo lui per voi e per tutti, resistete ad ogni dittatura dello spirito e di quant’altro. Detronizzateli dentro di voi e insegnate a detronizzare. La vostra anima non vendetela a nessuno, tenetela libera per il giorno del Signore perché di Lui, e solo di Lui, è degna. E dunque detronizzate. Perciò, forti dell’attesa, lavorate per il futuro, da oggi.
L’attesa di Dio non si coniuga con il disimpegno, con l’evasione, ma con la cura della terra. Gli occhi non chissà dove, non in chissà quali illusioni, no, gli occhi che guardano il presente. Diventiamo grembo per il futuro, ponendo gesti, non importa se piccoli, che vadano non verso la devastazione della terra, non verso l’appiattimento dello spirito, non verso la vittoria dell’egoismo, non verso la sordità al grido dei poveri, ma gesti che preludono a nascite, che portano germi di speranza per il futuro. Dar credito alla speranza, abbandonarsi alla misericordia. La misericordia è il profumo di Dio.
Ha un volto la misericordia? Ho vissuto tanti anni a cercare volti. Soprattutto volti. Ancora cerco volti. Mi interessano i volti. Volti da guardare, rispettare, accarezzare …
Ha un volto la misericordia? Il suo volto, la sua identità, la sua passione è guardare, rispettare, accarezzare i volti. Senza esclusioni. È immergersi nella concretezza di un volto e perciò di una storia, imparando dalla fragilità che è maestra di umanità.
Il volto, i volti, hanno a che fare con le porte e penso alle porte dell’anno santo.
È con la misericordia che tu passi umile e fiducioso la porta dell’altro. Ma non puoi dimenticare la precedenza: se tu passi una porta, è perché Dio per primo l’ha passata per te, verso di te.
La tua misericordia, il tuo sguardo di misericordia, il tuo volto di misericordia ha un inizio nella misericordia del tuo Dio. Lui, il primo a passare la porta verso di te, a mostrarti il suo volto.
Troppo a lungo abbiamo annunciato un Dio impassibile, distaccato, in alto; meno, un Dio toccato nelle viscere dalla nostra fragilità e dal nostro peccato.
È toccato nelle viscere per noi, quando ancora noi non siamo toccati nella via della conversione. Ed è lo scandalo del Vangelo. Gesù passava la porta prima che i peccatori si fossero convertiti. Così agendo diventava insopportabile. Insopportabile l’idea che sedesse a pranzare con i pubblicani e i peccatori.
Non convertiti: perché nel caso avessero premesso un atto di pentimento, nessuno avrebbe gridato allo scandalo. Quella festa, con quelle voci che giungevano sulla strada, era per i benpensanti della religione indecorosa. Ma così è Dio, e così, con questi banchetti, il Figlio lo raccontava. Ed era questo a convertire.
A convertirti è la tenerezza che pulsa nello sguardo dell’altro. Che non ti guarda dall’alto in basso. Anche questa è mistificazione della misericordia. Misericordia non è far piovere dall’alto una sorta di compassione, quasi dicessimo “oh poverini”. Non è questa la misericordia di Dio. Che va invece a riconoscere e a scommettere sulla bellezza che è in te. Dio ti riconosce dignità vestendoti. Lo fece con Adamo ed Eva, lo raccontò Gesù narrando di un padre che fece una festa da sogno per il figlio che se n’era andato e lo vestì dell’abito più luminoso.
Non dall’alto in basso, ma dal basso in alto.
Pensate a Gesù piegato a terra in cui gli portarono, quasi fosse un oggetto, la donna sorpresa in adulterio. E Gesù, a confronto con gli scribi e i farisei che, da giudici spietati, volevano la lapidazione della donna, che cosa disse e che cosa fece? “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E poi: “Neppure io ti condanno: va e d’ora in poi non peccare più”.
Dal loro alto gli scribi e i farisei la condannavano, lui dal basso faceva misericordia. Quel giorno sulla sabbia accadde la misericordia. Il Gesù piegato. Piegato fa misericordia.
Se non ti pieghi dici a parole misericordia, ma non fai la misericordia.
Dio passa la porta inginocchiandosi davanti a te.
Sa di rivoluzione sapere che l’indulgenza la si poteva ricevere in dono anche facendo un’opera di misericordia. Quasi a dire che ci sono porte sante laiche, porte sante di non credenti. Le opere di misericordia non sono forse quelle che il Vangelo in una parabola attribuisce a coloro che non hanno conosciuto il Signore, ma si sono sentiti dire di averlo servito solo perché si sono chinati sulla sofferenza degli umani?
C’è un solo modo per conoscere un povero, Dio, una città, una ferita, un fiore: inginocchiarsi e guardarlo da vicino. Si conosce solo in ginocchio. La misericordia è un fatto di grembo e di mani. Dio perdona non con decreto ma con una carezza.
Se tu non “vedi”, se non ti fermi e non tocchi, le persone sono declassate a problema. Se vedo, mi fermo, tocco, se asciugo una lacrima, non cambio il mondo, ma prende forza l’idea che la fame non è invincibile, che le lacrime degli altri hanno dei diritti su di me, che io non abbandono alla deriva chi ha bisogno. E che il contrario dell’amore è l’indifferenza. Ogni vita muore se non è toccata. Muore di silenzi. Il cuore può morire per assenza di incontri. Non ha senso passare per una porta santa e non passare per la porta di casa di un povero, non far varcare la soglia della mia casa a chi è nel bisogno o senza speranza.
Passerò per un sognatore, ma ho visto porte sante nelle case, sulla strada, porte anche dove qualcuno proprio non le metterebbe mai. Cammino e vedo porte sante.
Ascoltare la gente incontrata per strada e nelle case mi ha aiutato comprendere ancora di più come una sola persona che ti sta davanti merita la stessa considerazione che si deve a tutto un popolo che viene a sentire le tue prediche: ogni vita è una porta santa che aspetta di essere attraversata, perché essa stessa possa prima sostare sulla soglia e poi attraversare, abbracciare. Non serve a nulla pretendere di guadagnare il mondo intero se poi si perde un’anima sola. E la diocesi, più che dai suoi confini territoriali, è delineata dal profilo di un volto. Si, di un volto! Il volto della nostra diocesi lo ritrovo nella tenerezza di Costanza e di Marta Rita. Lo ritrovo nella solitudine di Raffaele e nell’immensa bellezza di Anthony. Il volto della nostra diocesi è nella delicatezza di Rosa che mi ha fatto pensare alle mani di Dio come un nido che custodiscono la mia fragilità. E’ nelle lacrime che Mariella prova quotidianamente a trasformare in rugiada, grazie alla speranza che si porta dentro. E’ in Sergio, nel suo sorriso permeato della semplicità di chi ha la certezza che l’amore sarà sempre la forza della sua vita. E’ nei dipendenti e nelle famiglie del Centro Medico Erre e nei lavoratori di Airola che continuano a credere e a lottare per difendere i loro diritti. Il volto della nostra diocesi è negli occhi e nelle mani compassionevoli delle nostre religiose; nel cuore e nelle mani di tanti volontari. Il volto della nostra diocesi è nei miei e vostri sacerdoti, nelle loro fatiche, nel loro sacrificio, nel loro desiderio di rimettersi in gioco attraverso il continuo offertorio della loro vita a Dio e, attraverso di Lui, a ciascuno di noi. Il volto della nostra diocesi sono io, sei tu, è ognuno di noi che, nella sua vita di ogni giorno, si fa porta santa che si apre alla misericordia, sperimentandola e donandola a sua volta.
La storia della salvezza più che i registri della Curia predilige i perimetri delle case, più che le panoramiche d’insieme sfiora i volti concreti delle persone.
Ma è l’aver fatto esperienza di Gesù, della sua tenerezza, che costituisce il passaggio obbligato per poter parlare di Lui efficacemente. Se prima non hai gustato la dolcezza del suo nome, è inutile che ti metti a predicarlo. Se il buon profumo di Cristo non promana dalle tue mani che hanno stretto le sue, le parole che annunci sono prive di garanzie. Se Gesù non ha segnato le sue impronte digitali in qualche parte del tuo essere, se egli non ti ha lasciato scritto di suo pugno un promemoria sulla pagina dell’anima, è vano spiegarlo agli altri seguendo gli appunti segnati sulle pagine di carta.
Prima di annunciarlo Gesù, bisogna averlo toccato. È Gesù la vera porta, ed è una porta che non si chiude mai! Dio non si insegna, lo si fa vedere, con la vita, con le mani. Mi basta vederti per capire che Dio c’è, che Dio è luce, e che tu lo hai incontrato, perché hai luce negli occhi, nei pensieri, nelle parole, nel cuore.
Le bilance di Dio non pesano i peccati, ma l’amore. Fare nostri gli occhi di Gesù. Guardare il mondo con lo stesso sguardo. Che sa intuire amore lì dove altri vedono solo peccati. Che si posa sul buon grano dove altri temono la zizzania. Sguardo proteso verso il futuro. L’amore è il divino in noi.
Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando ama, Dio compie gesti umani, e lo fa con cuore di carne. Un Dio che ama il profumo, che non è un dovere, ma dice: tu puoi. Tu puoi amare con tutto il cuore, l’anima, le forze .. profumo d’amore. Chi dona tutto non si stupirà poi di ricevere tutto. Ogni atto, ogni gesto umano totale ha in sé qualcosa di sacro. Tutto ciò che è fatto con il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.
Lasciarci raggiungere da Lui è camminare verso il futuro, anzi il futuro che si apre, il domani che si fa oggi. Abbiamo oggi la responsabilità, e la storia ce ne chiederà conto, di aprire una porta al futuro, ai nostri giovani ed a noi stessi, così tanto schiacciati sulla parete del presente da non riuscire ad attraversarla nemmeno con l’immaginazione. Abbiamo il mandato del tempo ad essere porta. La porta può essere aperta o chiusa, sbarrata o spalancata. Dipenderà solo da noi. C’è sempre la vita che bussa, silenziosa e rispettosa. La vita infatti è vera solo se accompagnata da mille gesti di apertura, di dialogo, di confronto. Senza paura. Né del futuro, né dell’altro, né di Dio. La paura chiude le porte, la speranza le apre. La paura chiude le pagine del libro, la speranza le riapre. La paura sbarra le porta, la verità ed il coraggio la riaprono.
Se apri, vivi, se chiudi, muori. L’unica chiave che apre tutte le porte è la chiave dell’amore.
Al termine di questa celebrazione in cui viene chiusa la porta di questo giubileo straordinario, ma il cuore di Dio non si chiude mai, io voglio riaprire quella porta, ma questa volta dalla parte interna della chiesa. Si, perché il problema più urgente per le nostre comunità cristiane non è quello di aprire o chiudere porte verso l’interno degli spazi sacri ma quello di aprire le porte che dall’interno del tempio diano sulla piazza .. per affermare che il rito, attraverso la testimonianza di chi vi ha partecipato, deve raggiungere i cortili, entrare nei condomini, fermarsi sulla strada, ogni strada, e incontrare l’uomo nei cantieri del quotidiano. Dobbiamo uscire sulla piazza con dentro il bisogno incontenibile, la passione, di comunicare la lieta notizia a chi incontriamo. Col profumo della sua misericordia.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II ci aveva più volte esortati ad aprire le porte.
“Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo.”
Quell’invito è proprio per noi. Stasera. Ora! Ai suoi fedelissimi, tanto per intenderci. E non ai cosiddetti lontani. Se non ora, quando? Se non tu, chi?
Ecco, io sto alla porta e busso … sarebbero parole di Gesù dette alla chiesa dal di dentro, per chiedere che la chiesa, invece di rinchiuderlo, gli apra la porta affinché egli possa percorrere le strade del mondo.
Il Signore si lascia afferrare da tutti. Ma non si lascia imprigionare da nessuno. Avvolti, tutti, nella sua tenerezza!
Spalanchiamola quella porta! Perché, ogni volta, tremi di gioia e di amore al nostro passaggio.
Verranno guerre e attentati, rivoluzioni e disinganni brucianti, ansie e paure, ma voi alzate il capo, voi risollevatevi.
“Ma voi” … è bellissimo questo “ma”: una disgiunzione, una resistenza a ciò che sembra vincente oggi nel mondo. Ma voi alzate il capo: agite, non rassegnatevi, non omologatevi, non arrendetevi. Il Vangelo invita all’impegno, al tenace, umile, quotidiano lavoro dal basso che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini, delle donne e delle loro lacrime, scegliendo sempre l’umano contro tutto ciò che è disumano. E quand’anche la violenza apparisse signora e padrona della storia, voi rialzatevi, risollevatevi, perché nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; la violenza non può nulla contro l’amore. Davanti alla tenerezza di Dio è impotente. Lo sguardo di Dio è fisso su di me. Lui è il custode innamorato di ogni mio più piccolo frammento. In piedi, a testa alta, liberi, coraggiosi: sollevate il capo e guardate lontano! Maria, porta del cielo, ci custodisca nel suo cuore.