Carissimi tutti,
alle soglie del Natale, non si può non considerare quello che avviene attorno a noi. Non si può ignorare le condizioni difficili di tanti, anzi possiamo dire che in questo tempo il mondo è ancor più diviso tra chi ha luce, cibo, benessere, cure, istruzione, opportunità per il futuro e chi, invece, tutto questo lo ha sempre di meno.
I motivi sono tanti, molti di questi motivi li conosciamo, altri li ignoriamo. Il nostro sguardo non può essere concentrato soltanto su quello che vediamo immediatamente, perché come sappiamo le apparenze non dicono tutto e a volte ingannano.
“Un popolo che camminava nelle tenebre, ha visto una grande luce”. Sono le parole del profeta Isaia al capitolo 9. Tutto il popolo camminava nelle tenebre, ma ha potuto vedere una grande luce.
Un mondo diviso. Un mondo pieno di luci, un mondo al buio. Il buio è fisico, è mancanza di luce, è mancanza di elettricità, ma è anche mancanza di speranza, è mancanza di sostegno, è mancanza di cure, è il buio della solitudine. Quante persone malate, anziane, disabili non hanno le cure, l’affetto, il sostegno necessario? C’è un buio, potremmo dire, c’è un vuoto di umanità che il buio copre. Non vogliamo restare estranei a questa realtà e non vogliamo restare distratti, come molti fanno.
“Su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse”. Il profeta non esprime solo una speranza, il profeta prepara quello che sta per avvenire, prepara il futuro. Perché il profeta è colui che ascolta la Parola di Dio e, ascoltandola, guarda la realtà del mondo in cui si trova per capirne il significato e vedere come praticarla nella propria vita.
Quanti sono quelli che abitano in terra tenebrosa? Tanti popoli, tante persone, tanti fragili, tanti giovani.
C’è una luce che il Natale ci porta e, vorrei dire, è una luce interiore che è necessario riscoprire proprio in questo tempo. Sì, perché il buio peggiore non è la mancanza di corrente elettrica, è il buio della rassegnazione. È il buio di una passività di fronte a un mondo complesso. È il buio nel cuore di tanti poveri ed è il buio anche nei pensieri di tanti giovani, nei nostri.
Il buio non è solo fuori, non è solo quello esterno, il buio è anche dentro di noi. Per questo la Parola di Dio invita ad ascoltare e a vedere la luce che gli occhi immediatamente non percepiscono, ma che sorge, invece, da una parola di speranza, dalla buona notizia del Vangelo del Natale.
Hai moltiplicato la gioia, continua il profeta, hai aumentato la letizia. Come si possono accogliere queste parole quando ci si trova in situazioni così difficili? Eppure, dimostrano che si può mietere speranza, solidarietà, amicizia, amore gratuito anche quando c’è un buio così profondo.
Il profeta vede oltre la guerra, vede oltre il buio, vede oltre la disperazione e chi lo ascolta ritrova speranza, energia, desiderio di aiutare gli altri. Ritrova quella forza che fa reagire alla rassegnazione e al buio interiore.
Noi che apparteniamo alla parte del mondo illuminata, o almeno così crediamo, siamo inviati a riflettere e ad ascoltare con grande attenzione. Perché siamo persone di buona volontà, persone civili, istruite, persone che hanno il senso della solidarietà, ma ci accorgiamo a volte di essere condizionati anche noi dal clima pessimista, rassegnato e anche un po’ disincantato. C’è un buio fatto di sola distrazione.
E fa impressione vedere come intorno a noi tutti cerchino di distrarsi dai problemi, come se fosse il modo per superarli, ma non è così. La risposta sta nell’affrontarli, nel trovare aiuto, nel trovare il modo di costruire laddove è distrutto e non distrarsi pensando a cose piacevoli.
C’è bisogno di luce, c’è bisogno di luce per tutti. Chi ce l’ha si accontenta di quello che ha. Non siamo troppo poco ambiziosi? Non sarebbe necessario invece avere l’ambizione del profeta che guarda, osserva e aiuta a vedere una luce che immediatamente non appare? Non appare per tanti motivi, per via della distrazione ma anche per il fatto che siamo abbagliati da tante luci, da tante immagini che non ci fanno vedere a fondo qual è il buio che ci circonda e, soprattutto, non ci fa vedere il buio interiore che prende tanti pensieri.
Preoccupa la diffusione della violenza. Una violenza forse non immediatamente sempre volontaria, non tutti prendono una pistola da un poligono e vanno a sparare ai propri vicini di casa. Eppure, quella distrazione, quella concentrazione su di sé lascia che la violenza si diffonda. È un clima, è una accettazione passiva che permette al male di dilagare e di diffondersi.
Ma al versetto 5, il profeta Isaia arriva all’annuncio: “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. È l’annuncio del Natale che va colto nel modo giusto. Il presepe non è un’immagine romantica per un momento di festa, è una proposta. L’ha inventato Francesco d’Assisi per raccogliere attorno al bambino di Betlemme un’umanità dispersa, disorientata, arrabbiata e violenta. È il modo di Francesco d’Assisi di rimettere al centro il Vangelo della pace. Perché, come dice il profeta: Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà consigliere ammirabile, Dio potente, padre per sempre, principe della pace.
È da lui la luce, è dalla sua debolezza, dalla sua mitezza, dal suo essere escluso, non accolto, come avvenne e come continua ad avvenire. Se non ci fossero stati i pastori quella famiglia sarebbe rimasta isolata nel buio.
Ma un bambino ha bisogno di tutto e un bambino non può essere curato un giorno. Il rischio di tanti a Natale è proprio questo, quello di fare un bel gesto ma poi di dimenticarlo, di passare altrove, di voltare pagina. Il bambino ha bisogno di cure sempre, in ogni momento, ha bisogno di aiuto, ha bisogno di crescere.
Ed è allora la Parola di Dio che ci aiuta a comprendere tutto questo al di là della considerazione delle nostre forze. Perché a volte diciamo: non ho tempo, non ce la faccio, non riesco, non me la sento, non ci credo. Chi si fa guidare dalla Parola di Dio esce dalle ombre e scopre che anche le ombre che sono nel proprio cuore si sciolgono e danno spazio a pensieri nuovi, a nuovi sentimenti, a una serenità interiore di cui tutti hanno bisogno. Quel bambino ci porta i pensieri di Dio e una pace interiore, che non è tranquillità, che non è distrazione, ma è invece un sentimento aperto al futuro, anzi a un futuro da costruire insieme.
Per vivere il Natale bisogna accogliere colui che è nato e senza ascoltare la Parola di Dio non si accoglie il Signore, nemmeno nei poveri, perché si diventa dei generosi attivisti che però non guardano in profondità e non colgono quello che è necessario.
È il principe della pace e se desideriamo la pace per il mondo, non possiamo non accoglierlo come tale. E se vogliamo la pace attorno a noi, non possiamo non accogliere il Vangelo della pace. Fermiamoci, allora, di più di quello che facciamo, per evitare di affrontare un Natale pieno di attività belle, ma nel quale, alla fine, non c’è spazio per il bambino di Betlemme.
Gli abitanti di Betlemme non erano gente cattiva, non erano criminali, non erano persone dure, erano semplicemente distratti, presi da quello che dovevano fare, concentrati su loro stessi.
Accogliere è una scelta di cuore, non è solo un gesto, non è solo una attenzione, non è solo una attività. Ed è quello che il Natale ci chiede, accogliere il principe della pace.
Preparare il Natale vuol dire diventare più personali, ma preparare il Natale vuol dire riconoscere Gesù laddove non lo vediamo. Perché è lui che ci parla, è lui che vuole venire a nascere tra di noi. Il verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. È la Parola di Dio. Piccola? Tenuta da parte? Marginale?
Quella parola è il nostro futuro, per questo ci prepariamo ad accoglierla come Parola di vita e di speranza per noi e per il mondo intero.
Con questa fiducia, sapendo che la luce della Parola di Dio guida un popolo immerso nelle tenebre, ci prepariamo a un Natale vero, a un Natale di pace, a un Natale che cambi radicalmente il nostro mondo.
+ Don Giuseppe