A San Salvatore Telesino, il Vescovo don Mimmo Battaglia, inaugura la “Casa nella Selva”: un luogo aperto, inclusivo, accogliente.

 

“E’ solo un segno, ma non un segno del potere. A noi interessa il potere dei segni, quel potere con il quale proviamo ad indicare la direzione per costruire una società più giusta.”

Venerdì 6 luglio alle ore 17.00, a San Salvatore Telesino, alla presenza di don Mimmo Battaglia, vescovo della diocesi di Cerreto Sannita–Telese–Sant’Agata de’ Goti, del parroco don Franco Pezone e del sindaco Fabio Romano, la cerimonia di inaugurazione della “Casa nella Selva”. La casa, nata come ‘casa canonica’ è stata messa a disposizione dell’Associazione “La Mia Famiglia” che, grazie alla collaborazione con Angsa Campania, all’importante contributo di imprese e alla generosità di genitori e fratelli dei bambini speciali, è stata rinnovata ed adattata per ogni esigenza, nel rispetto dell’ambiente circostante e degli ospiti che la abiteranno. Il taglio del nastro è stato affidato alle mani di don Mimmo Battaglia accompagnato dalla piccola Sofia. Subito dopo il taglio, gli interventi coordinati dalla presidente dell’Associazione, Francesca Marcucci. Presenti, il vicepresidente della cooperativa sociale di comunità iCare, don Giuseppe Campagnuolo, il direttore dell’Ufficio Famiglia, don Antonio Macolino, il vicedirettore Caritas, don Josif Varga.

Don Mimmo, lasciandosi aiutare dai ragazzi, ha provato a ripercorrere il significato di una canzone di Sergio Endrigo: Ci vuole un fiore. “Per fare un tavolo ci vuole un fiore. Spesso – ci ha detto – noi questo lo dimentichiamo perché ci fermiamo all’apparenza delle cose. Forse, riconciliarci con il senso profondo della vita può aiutarci a capire il momento che stiamo vivendo che è riconciliarsi con la storia di queste famiglie per riconciliarsi con la storia di tutte le nostre famiglie, e lì sperimentare la bellezza di una famiglia aperta, che include, che accoglie, come vuole essere questa casa: aperta, inclusiva, che osa, esce fuori, va incontro a chi fa fatica”.

“Quello che oggi la Chiesa pone – ha ricordato don Mimmo – è soltanto un segno. Non un segno del potere…a noi non interessano i segni del potere! A noi interessa il potere dei segni, quel potere con il quale proviamo ad indicare la direzione per costruire una società più giusta, per dire che questa umanità ha solo bisogno di umanità.  Questo significa essere attenti, essere capaci di cogliere quella che è la storia, il mistero, la vita dell’altro e sentire che l’altro è sempre una ricchezza, che l’altro ha bisogno di noi e che noi abbiamo bisogno dell’altro. Abbiamo bisogno di quel fiore che in qualche modo ci aiuta a cogliere la tenerezza della vita. Questi figli speciali che cosa sono se non la tenerezza della vita? Ci riportano all’essenziale. Questo fiore va dunque protetto, perché sia sempre e solo sé stesso, con la bellezza dei suoi colori, delle sue sfumature, del suo esistere. Allora, questo non è soltanto un atto di carità e solidarietà, ma un atto di giustizia e proprio per questo diventa un atto di speranza per tutti, perché il sogno di uno può aiutare il sogno di tutti. E, prima ancora, questo segno, è un atto di fede. Prima che di carità, la Chiesa ha bisogno di fede, questa società ha bisogno di fede. Fede nel Dio della vita, in questi ragazzi, nei loro genitori, nell’uomo, ogni uomo”.

“Mi auguro – ha concluso – che questa sia davvero una casa dalle porte aperte dove ogni figlio speciale possa aiutare a cogliere quella parte speciale che esiste nei segni e ad accogliere la bellezza che c’è in ognuno di noi.”