Da più parti, spesso anche da voci provenienti dalle nostre istituzioni, si alza il grido di protesta contro l’ “invasione” di rifugiati e profughi provenienti dal sud del mondo. Tante dichiarazioni, spesso dal sapore razzista, alimentate da “slogan” capaci di mortificare la nostra cultura fondamentalmente basata sull’aiuto reciproco, sull’accoglienza e sulla pacifica convivenza in contesti pluralistici. Cosa è dunque successo? Come mai la paura, il pregiudizio, il sospetto e la logica di difesa hanno preso il sopravvento sulla fraternità e sulla solidarietà, unici valori che portano a compimento la vita di ogni uomo e di tutto l’uomo? Com’è possibile che anche noi che ci diciamo cristiani e che difendiamo così ad oltranza le nostre radici, finiamo poi per contraddire la nostra stessa fede?
Eppure il messaggio evangelico, e successivamente quello del Concilio Vaticano II, contiene indicazioni preziose per recuperare il tesoro prezioso che l’uomo ha ricevuto da sempre, provoca le nostre coscienze assopite e ormai inquinate da molteplici luoghi comuni che deturpano la dignità dell’uomo di oggi. La fraternità dei rapporti reciproci e la condivisione sono il segno umano che assume pienezza di senso nell’Eucaristia, in cui avviene l’incontro con il Cristo morto e risorto. Il Vangelo, dunque, richiama continuamente l’importanza del recupero di uno stretto rapporto tra fede professata e impegno nella realtà quotidiana, tra azione sacramentale e vita morale. Ciò comporta, ovviamente, la responsabilità di superare la tentazione di concepire la fede come ambito separato dalla vita o di trasformarla in comodo alibi per sfuggire ad un impegno che favorisca e promuova il rispetto della dignità di ogni uomo nel bene comune.
Per questo anche papa Francesco ci invita, ormai da qualche anno, ad essere “Chiesa in uscita”, cioè una Chiesa che sappia abitare e amare la storia con tutte le sue contraddizioni; significa credere soprattutto che l’ascolto, l’accoglienza, il vivere rapporti autenticamente umani non sono solo semplici presupposti per una vita decorosa, ma rappresentano la prima e imprescindibile vocazione dell’uomo verso l’uomo, del fratello verso l’altro fratello. Solo così possiamo superare tutti gli ostacoli che impediscono il vero progresso umano e intraprendere così un cammino nuovo verso il compimento della storia.
Il risveglio delle coscienze parte da una testimonianza concreta
Per questo motivo le tante voci che si levano e che, spesso, invitano a non accogliere, a non ascoltare, a non aiutare, non possono essere condivisibili perché finiremo per avallare una logica che non ci appartiene, un modo di guardare che non è il nostro, una mentalità borghese che ci è estranea e che contraddice e mortifica le nostre profonde e nobili radici. In mezzo a tante ingiustizie sociali nostrane reali che minano e strappano il tessuto sociale delle nostre comunità, sulle quali spesso si tace per indifferenza o per opportunismo, ecco che si punta il dito a priori sui profughi, sui più deboli, sui più indifesi, sugli ultimi, capro espiatorio perfetto a cui affibbiare colpe e responsabilità, presunte e future. L’unico effetto che rischia di venire fuori da dichiarazioni simili ed irresponsabili è soltanto quello di alimentare l’equazione razzista che fa dei nostri fratelli profughi la fonte di tutti i nostri problemi. E non possiamo certo immaginare che certe parole rappresentino il sentire di intere comunità, compreso di chi si professa cristiano, seguace di Cristo e annunciatore del Vangelo, che quella solidarietà umana non dovrebbe solo professarla con le parole, ma anche e soprattutto metterla in pratica. Il risveglio delle coscienze, su questo e su altri argomenti, parte proprio da una testimonianza concreta.
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”
Come Consiglio Diocesano di Azione Cattolica desideriamo soprattutto che si favorisca, piuttosto, un clima di sereno dialogo con tutte le istituzioni presenti sul nostro territorio sui temi dell’accoglienza, della reale solidarietà, della partecipazione, dell’impegno sociale e politico da parte di tutti. Crediamo fermamente che occorre fare spazio a cammini nuovi, capaci di dare serie risposte alle esigenze emergenti; che è indispensabile avviare processi graduali di trasformazione della vita, che sappiano coinvolgere l’uomo nella pienezza della sua esperienza.
Le piccole e preziose iniziative e proposte di accoglienza e di integrazione avviate in alcune nostre comunità, ci stimolano ulteriormente e ci aiutano a comprendere ancora di più che, se uniamo le forze e crediamo che da soli non si va da nessuna parte, la comunione non rappresenta l’utopia di un’umanità disillusa, ma una realtà possibile per trasformare e trasfigurare il volto bello dell’uomo. Le piccole e preziose iniziative di accoglienza e di integrazione sono le migliori risposte a parole buttate come pietre che fanno indignare perché non vanno certamente nella direzione dell’accoglienza, della dignità e del rispetto verso l’essere umano. Ai timori contrapponiamo sguardi di dolcezza, di serenità, di emozione, di empatia, di comunione e di gioia. Attraversiamo il volto dell’altro non con la consuetudine del perbenismo, del conformismo e dell’ipocrisia, ma con una presenza concreta a prescindere. Ciascuno di noi, dunque, ha il compito di non lasciare prevalere l’indifferenza e la superficialità, ma di impegnarsi in prima persona, anche nei propri contesti locali, affinché la solidarietà e la sapienza prevalgano sull’egoismo e sull’impulsività.
Noi vogliamo essere parte di un’umanità che vuole prendere sul serio il Vangelo, seguendo il Signore attraverso l’unico “segno” capace di salvare la storia: “Se io, il Maestro e Signore, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13, 14); “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi gli uni gli altri” (Gv 13, 34).
Consiglio diocesano di Azione Cattolica
È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senzatetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro! (EVANGELII GAUDIUM, 210)
Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri miei stranieri. (DON LORENZO MILANI)