Meditazione sul tempo presente

Pentecoste
28-05-2023

Il giorno di Pentecoste, gli apostoli, chiusi nel cenacolo, per la forza dello Spirito che irrompe nella sala, come un vento impetuoso e con lingue come di fuoco, escono e vedono la città con occhi diversi. Vedono una città ricca di molti popoli e trovano la lingua per parlare a tutti. Lo Spirito dà loro il potere di esprimersi e li mette così in relazione con i popoli presenti a Gerusalemme per la festa. Quel giorno c’erano: “Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo”. Tanta gente diversa, ma questo non li spaventava.

Grazie al dono dello Spirito si aprirono le porte chiuse. Quelle del cuore, chiuse per paura, ma anche le porte chiuse di quella Comunità. Le porte chiuse non hanno più senso dopo la Resurrezione di Gesù e in questa Pentecoste. Il Signore risorto, apre le porte di quella Comunità e chiede di uscire e di andare per le strade, incontro alla gente. È il cammino sinodale della nostra Chiesa.

Bisogna uscire, come fanno i discepoli riuniti a Gerusalemme il giorno di Pentecoste. Lo Spirito spinge fuori ad uscire. Lo Spirito che opera nella vita di ogni Comunità cristiana fa vedere il mondo con occhi nuovi e libera dalla paura, dal pessimismo e dalla rassegnazione.

Ogni giorno siamo chiamati a fare delle scelte. Il cammino sinodale ci pone domande e sfide: quali scelte fare, quale Chiesa essere? L’apostolo Paolo esorta i Galati a “camminare secondo lo Spirito”, che significa lasciarsi guidare da lui. Lasciandosi guidare dallo Spirito, si acquista una visione positiva della vita. Ciò non significa non riconoscere il male o, addirittura, che il male presente nel mondo sia come sparito, o che vengano meno i frutti del male. Significa piuttosto credere che il Signore ci permette di vincere il male con il bene; che Dio è più grande delle nostre resistenze e dei nostri peccati e che una Chiesa nuova, rinnovata dallo Spirito è possibile. La Chiesa del terzo millennio, capace di dialogare con tutti, con tutti i popoli, culture, che sa stare per strada, compagna di cammino e nello stesso tempo guida sapiente e sicura perché madre. Chi si lascia guidare dallo Spirito – dice Paolo – conoscerà nella sua vita il frutto dello Spirito. Qual è questo frutto? Scrive l’Apostolo: “è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal.5, 22). Quale Chiesa essere? Ma io come devo essere per questa Chiesa?

Questa è la promessa che riceviamo a Pentecoste: se camminiamo nello Spirito si manifesterà quel frutto che cambia il mondo, che cambia la Chiesa! Paolo coniuga al plurale il verbo camminare: “camminiamo secondo lo Spirito”. È, dunque, tutta una Comunità che cammina, non si cammina da soli; è il cammino della Chiesa, non degli eroi solitari.

Fratelli e sorelle, i discepoli erano chiusi nel cenacolo, ma lo Spirito scende e li fa uscire. Senza Spirito stavano tra di loro, con lo Spirito si aprono a tutti. Senza lo Spirito erano chiusi nella paura, con lo Spirito si aprono a tutti.

La Comunità in uscita ci supera e in un certo senso supera sé stessa, diventa inclusiva, cercando di rispondere alle sfide lanciate dal cambiamento d’epoca. L’esperienza felice del potere dello Spirito è diventare amici di tanti, una folla numerosa e varia. Attraverso di loro il Vangelo arriva a molti.

La novità dello Spirito Santo mostra alla nostra Chiesa la necessità vitale di uscire, il bisogno di comunicare la buona notizia del Vangelo, di non restare chiusa in sé stessa: di non essere un gregge che, come dice Papa Francesco, rafforza il recinto, ma un pascolo aperto perché tutti possano nutrirsi della speranza del Vangelo. Ci insegna a essere una casa accogliente senza mura che dividono. Lo spirito di questo mondo, invece, preme perché ci concentriamo solo sui nostri problemi, sui nostri interessi, su quello che non va, su quello che ci divide, ci fa vivere impauriti e conformisti, ci fa stare sulla difensiva. Lo Spirito Santo no: invita ad aprirsi a tutti.

Come affrontare la vita di ogni giorno, anche difficile? Come andare contro corrente? Il conformismo è una forza prepotente, che ci svuota. Dobbiamo crescere interiormente, legarci di più a Gesù, credere di più alla Parola di Dio.

Il terzo cantiere sinodale ci ha posto una domanda: qual è la parte migliore da mettere al centro della nostra vita personale e comunitaria?

Scrive Paolo ai Romani: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza” (Rm.15,4).

La Scrittura protegge e tiene viva la speranza. Abbiamo la Bibbia – e dobbiamo averla tutti, ovunque noi siamo – e questa è il nostro tesoro. Perseveranza e consolazione ci vengono dalla Parola di Dio. Chi cresce con la Parola, e la Parola cresce in chi la legge, diventa una persona che sa perseverare e consolare e resistere perché a sua volta è stato consolato dalla Parola. Chi cresce interiormente è più forte di fronte alla vita. Chi ama la Parola è pronto a fare il bene. Chi ama la Scrittura sa come incontrare gli altri. La nostra crescita interiore è importante per rinnovare la Chiesa. L’amore per la Chiesa e per il mondo nasce da quello per la Parola di Dio.

Coraggio fratelli e sorelle tutti. Una sfida ci attende, un sogno ci precede. L’anziano Nicodemo, rassegnato ad una vita invecchiata, non crede possibile essere nuovi. Non ha capito cosa vuol dire rinascere, pensa di dover tornare nel grembo della madre, cosa impossibile. Pentecoste è la risposta di Gesù a Nicodemo, tristemente realista. Oggi, a Pentecoste l’uomo vecchio, segnato dal suo limite, rinasce a vita nuova. Oggi è possibile nascere di nuovo anche se già vecchi. Oggi i giovani possono avere sogni. Oggi le porte chiuse della rassegnazione si aprono! Oggi riceviamo la forza dell’amore di Dio; oggi possiamo scrivere con la nostra vita nuovi capitoli degli Atti degli apostoli. A Pentecoste le lingue diverse, le culture diverse, i colori della pelle diversi finalmente non isolano, non si contrappongono, non giustificano il chiudersi, non causano la diffidenza o peggio la violenza. Tutto è amato dallo Spirito. Non mette più paura la babele della città, la confusione del mondo, perché parliamo la lingua per cui l’altro capisce ed è capito. È la lingua della misericordia, quella dello Spirito, quella di Dio.

Che sia la nostra lingua nel tempo a venire, testimoni di “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”.

† Giuseppe, vescovo