Intervento all’inaugurazione dell’Anno Pastorale 2017-2018 “Se non ora, quando? Se non io, chi?” – 23 ottobre 2017

23-10-2017

La parabola dei talenti racconta di un uomo che, prima di partire per un viaggio, convoca i servitori e affida loro il suo patrimonio in talenti, monete antiche di grandissimo valore. Quel padrone affida al primo servitore cinque talenti, al secondo due, al terzo uno. Durante l’assenza del padrone, i tre servitori devono far fruttare questo patrimonio. Il primo e il secondo servitore raddoppiano ciascuno il capitale di partenza; il terzo, invece, per paura di perdere tutto, seppellisce il talento ricevuto in una buca. Al ritorno del padrone, i primi due ricevono la lode e la ricompensa, mentre il terzo, che restituisce soltanto la moneta ricevuta, viene rimproverato e punito.

L’uomo della parabola rappresenta Gesù, i servitori siamo noi e i talenti sono il patrimonio che il Signore affida a noi. Qual è il patrimonio? La sua Parola, l’Eucaristia, la fede nel Padre celeste, il suo perdono… insomma, i suoi beni più preziosi. Questo è il patrimonio che Lui ci affida.
Non solo da custodire, ma da far crescere!
La buca scavata nel terreno dal «servo malvagio e pigro» indica la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore. Perché la paura dei rischi dell’amore ci blocca. Gesù non ci chiede di conservare la sua grazia in una cassaforte, ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri.
Tutti i beni che noi abbiamo ricevuto sono per darli agli altri, e così crescono. È come se ci dicesse: “Eccoti la mia misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso”. E noi che cosa ne abbiamo fatto?
Chi abbiamo “contagiato” con la nostra fede? Quante persone abbiamo incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo? Sono domande che ci farà bene farci. Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti. Non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana. La testimonianza che Gesù ci chiede non è chiusa, è aperta.
Questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che rinnova.
Così pure il perdono, che il Signore ci dona specialmente nel Sacramento della Riconciliazione: non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che faccia cadere muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione….
E inoltre Il Signore non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo: ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti, in tutti c’è qualcosa di uguale: la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi, Dio ha speranza in noi! E questo è lo stesso per tutti. Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia con fiducia! La Vergine Maria incarna questo atteggiamento nel modo più bello e più pieno. Ella ha ricevuto e accolto il dono più sublime, Gesù in persona, e a sua volta lo ha offerto all’umanità con cuore generoso. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere “servi buoni e fedeli”, per partecipare “alla gioia del nostro Signore”.
Ancora un passaggio: l’ultimo servo non ha capito che, affidandogli un talento, il padrone vuole fare di lui un amico: che quel talento è un dono di comunione. Un atto di fiducia. Su tutto invece incombe la paura del castigo e il dono da opportunità si trasforma in incubo. Il servo ha paura di Dio. Sei un uomo duro .. mieti dove non hai seminato. Quando si sbaglia su Dio si sbaglia su tutta la vita.
Diviene, invece che amico, schiavo inerte. Perché solo quando ti senti amato dai il meglio di te stesso, e mai la paura ti libera dal male. Una delle cose più belle che possiamo fare per gli altri è aiutarli a riscattarsi dalla paura, a liberarsi dall’inquietudine che scava voragini nel cuore dell’uomo e corrode i legami con il futuro. La paura è il nemico di sempre: per paura mi sono nascosto, per paura ho nascosto il talento…
La parabola dei talenti è un invito a non avere paura, perché la paura paralizza, ci rende perdenti e sterili. Il Vangelo ci aiuta a tre cose: a non avere paura, a non fare paura e a liberare dalla paura. Soprattutto da quella che è la paura delle paure, cioè la paura di Dio.
Leggiamo bene il seguito della parabola: Dio non è un padrone esigente che rivuole indietro per sè i talenti che ha dato e in aggiunta quello che i servi hanno guadagnato. Ciò che i servi hanno realizzato non solo rimane a loro, ma è moltiplicato un’altra volta. Dice infatti il padrone: servo buono, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto.
Noi non siamo chiamati semplicemente a rendere conto a Dio dei suoi doni: ci sono dati perché diventino seme di altri doni, perché diventino sorgente di vita per noi e per tutti ciò che ci è affidato. I doni che ho ricevuto non sono semplicemente le doti intellettuali o di cuore, di carattere o le mie capacità.
Ogni persona che incontro è un dono del cielo e un talento che mi è offerto. Allora, poter dire a ciascuno: tu sei un talento per me e io ti accolgo come dono. Può dirlo lo sposo o la sposa, il padre al figlio, l’amico all’amico: sei tu il mio talento! E l’unico mio scopo è aiutarti a fiorire, per gioire insieme.
Nessuno dei tre servi crede di dover salvare il mondo. Il mondo e la vita ci dono affidati come dono che deve crescere, giardino incompiuto che deve fiorire. Noi non esistiamo per restituire a Dio i suoi doni; questa immagine, dettata dalla paura, immiserisce Dio. Noi viviamo per essere come Lui, a nostra volta donatori: di pace, libertà, giustizia, gioia.
Cose di Dio, che diventano semi di altri doni, sorgente di energie, albero che cresce, orizzonte che si dilata, grazia su grazia. Gloriosa e gioiosa è la logica di Dio. Nessuno è senza talenti. Ognuno è talento di Dio per gli altri.
Il padrone, in partenza per il viaggio, consegna alla fantasia delle mani dei servi una parte dei suoi beni. Era uno che credeva nelle loro capacità. Così è Dio. E’ un generoso, ha fiducia. Non è uno di quelli che ti stanno con il fiato sul collo, con mille controlli, non è della razza sospettosa dei sorveglianti, lui se ne va, si fida. Vuole che, se tu ti dai da fare, non sia per occhi di padrone, ma per risposta ad una fiducia.
Lo spettacolo più deprimente è quello offerto da un cristiano che nasconde il proprio talento, maschera la fede, dissimula l’appartenenza a Cristo, seppellisce la Parola, la soffoca sotto un mucchio spropositato di chiacchiere, non la fa diventare vita, grido di giustizia, appello di liberazione, e la riduce solo a parola moralistica o la gonfia a celebrazione trionfalistica.
Non c’è deformazione più avvilente di una chiesa che si isola a contemplare, soddisfatta, o difendere, allarmata, i talenti ricevuti. Custodire non è la stessa cosa che seminare. E fruttificare è qualcosa di diverso dallo spiegare. Il talento custodito diventa motivo di condanna, non elemento di salvezza.
La chiesa non può presentarsi davanti al suo Signore e brontolare, come il servo neghittoso, definito malvagio ed infido: Ecco qui il tuo. Non ho toccato niente. Né me lo sono lasciato depredare. Deve invece poter annunciare: è cambiata ogni cosa, grazie al tuo talento. Il “tuo” è diventato nostro, è diventato di tutti.
La fedeltà, in questa prospettiva, non consiste forse nel produrre cambiamenti?
E la buca scavata nel terreno non è per caso la paura del rischio (a cominciare dal rischio di amare)?
Non perdiamo tempo a fare il lamento sulla notte e sulle ombre. Anche la notte non è immobile, anche le ombre non sono ferme.
Può sembrare un pensiero strano, ma forse non lo è del tutto se il Cardinale Martini, nella prefazione del libro: “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, riferendosi al fatto che quelle conversazioni tennero le ore della notte, dice: “di notte le idee nascono più facilmente che nella razionalità del giorno”.
Capite, notte come grembo. Grembo dice nascita, dice vita, e non stanca ripetizione.
Perché non avere occhi per il crepitare segreto delle cose?
E’ vero, forse si era più tranquilli quando ci si chiudeva in una stanza e si pensava che il cielo fosse contenuto in quella stanza. Meno problemi forse, meno interrogativi, meno spaesamento.
Ma a quale prezzo?
A prezzo della negazione dell’oltre dell’orizzonte, a prezzo dell’impoverimento della visione, a prezzo del soffocamento del brivido della ricerca, del mettersi in cammino. Chiusi nella prigione di una verità spenta, chiusi anche nella stanza purtroppo del proprio risentimento, incapaci di dialogo, incapaci di cuore.
Fermi, immobili nel pensiero, quasi bastassimo a noi stessi. Mi ritornano a cuore e me lo aprono, le parole di uno dei più limpidi testimoni cristiani in terra di dialogo, il vescovo Pierre Claverie, che diceva: “ credo in Dio, ma non pretendo di possedere Dio. Non si possiede Dio. Non si possiede la verità e io ho bisogno della verità degli altri.”
E’ questa la strada che ci aspetta, vivere con disponibilità questo tempo tra noi e con il Signore. E’ una grande opportunità di crescita umana e spirituale. E’, oltre ogni attesa, una domanda di conversione, un ulteriore dono di Dio. La via è sempre via di conversione. Dono e responsabilità. Una chiesa in cammino che matura grazie alla risposta di ciascuno, sincera.
Ci impegna fino in fondo il “come” della nostra concreta responsabilità, di tutti e di ciascuno. I segni della misericordia del Signore ci sono e ci spingono. Da’ tanto respiro il sapore della condivisione, del vedere insieme… siamo sale…luce. Un dono grande poter vedere che cosa può fare il Signore con noi, attraverso di noi. Un dono grande poter riconoscere il bene e farlo; poter vedere il dono e sentire di essere toccati per poterlo dare fino in fondo.
L’attesa di Dio non è quella che ti fa possedere Dio, ma quella che, attraverso l’esperienza del limite, ti fa gustare l’eterno. Dio stesso cammina con te e tu con Lui. Ci fa attendere reciprocamente. E’ liberante che il Signore ci consegni un’unica via, la Sua, quella del coraggio e della forza. Essa non ha altre radici che in quell’amore che chiama anche nel buio della vita, per vivere in prima persona e indicare ad altri la luce di parole risorte.
L’andare incontro all’altro è via di conversione. Rientrare in te, accogliere la presenza scomoda dell’altro perché ti interpella con il suo stesso esserci. Un miracolo poter correre all’altare che è la presenza del fratello e offrire il tuo dono, cioè il tuo grazie. Il dono più grande che possiamo fare al Signore e all’altro è la gratitudine, frutto dell’accogliere e del riconoscere.
Lo chiedo a Dio che solo può agire in noi così, tirare fuori il meglio di noi, lo chiedo a Lui che può guarire le nostre insicurezze e darci di dire con San Paolo: davanti alle vostre coscienze, noi siamo davanti a Dio, e annunciamo la verità. E l’annuncio che ci è chiesto, è la comunione con Dio e con gli uomini possibile sulla terra, vero dono da portare all’altare: vedere che sia possibile camminare insieme. Solo un cuore che ha conosciuto veramente la misericordia può vederlo e crederci.
Misericordia e verità, giustizia e pace, verità che germoglia dalla terra, giustizia che si affaccia dal cielo: è questa la via. E’ vero, davanti a Dio cammina la giustizia e sui suoi passi la salvezza. Ma occorre riconoscerli. Occorre accogliere la via che chiede pazienza, dialogo, tempi e modi dell’amore.
Occorre: cioè urge la nostra libertà. Credere senza irrigidirsi per le contraddizioni, per la poca misericordia che sperimentiamo in noi stessi.
Rifulga la luce dalle tenebre. Sia liberata la nostra libertà. Negli angoli bui di noi stessi, dove giudichiamo noi e gli altri, dove ci pieghiamo per delusioni e inadeguatezze, rifulga la luce. Nelle nostre relazioni, nei loro angoli più bui, nei fallimenti che opprimono il cuore e la mente, rifulga la luce.
Forse la giustizia maggiore è proprio questa: luce, gioia e gratitudine… servire questa speranza là dove siamo, mettere in gioco la nostra libertà nell’aprire le porte del cuore a tutti, soprattutto a chi ci fa soffrire e a chi abbiamo fatto soffrire. L’altare del dono sopporta solo gli allontanamenti per amore.
Il Signore non restringe porte, le allarga. Non restringe la nostra visuale, la riempie. Questo viene da Dio che raccoglie i passi di fraternità, anche quando non riusciamo a crederci.
Ci benedice, più ancora quando sentiamo rassegnazione e stanchezza, più ancora quando la speranza è la sola luce accesa, piccola ma accesa. In questi passi ci benediremo reciprocamente. Il Signore per primo non dimentica ogni piccolo tentativo di apertura all’altro, ogni tentativo concreto di consegna della propria esistenza all’altro.
Ci ama nel più profondo, ci corregge, ci ricorda la via, e ci spinge a precorrerla.
Chi vive affidato, anche se con fatica, guarderà le stelle e vedrà il futuro stesso di Dio.
L’altare è anche l’altare della pazienza di chi attende con fiducia, ospitando ogni giorno i passi dell’altro.
E così il cammino diviene storia, meravigliosa storia di redenzione. Nel dono, questo cammino dipende anche da noi perché il Signore chiama tutti a collaborare, a prendersi cura, costruendo futuro, costruendo una casa aperta a tutti.
Misericordia e mitezza sono vera forza, la nostra sola forza e viene da Dio.
Vasi di creta siamo noi, ma anche le condizioni che viviamo, le circostanze, il nostro assumerci la cura di questo nostro tempo, con quello che ci è chiesto, accompagnando anche con dolore e sofferenza i processi, le persone. Mai giudicare, ma sempre accogliere e accompagnare. Perché Dio è una strada che ci porta gli uni verso gli altri.
Se il tuo fratello commette una colpa, tu và …cioè tu avvicinati, tu cammina verso di lui. Non è segno di debolezza, ma coraggio di prendersi cura, farsi carico di ferite nascoste, non abbandonare, aiutare, accompagnare, rispettare i suoi tempi, fermarsi con lui, riconoscere il suo valore. Che cosa mi autorizza ad intervenire nella vita dell’altro? Solo questa parola: fratello. Solo se porti il peso e la gioia dell’altro, solo se ne conosci le lacrime, se ne sei fratello, sei autorizzato a parlare ed ammonire. Ciò che ci autorizza non è la verità, ma la fraternità.
I cristiani sono coloro che fanno la verità nell’amore. Coloro che non separano mai verità e amore. Per non farli morire. La verità senza amore porta a tutti i conflitti, anche alle guerre di religione. Mettere la verità prima della persona è l’essenza della bestemmia. Ma anche l’amore senza verità è sterile.
Se ti ascolterà avrai guadagnato tuo fratello: è bellissimo, il fratello è un guadagno, un tesoro per te e per il mondo, un talento.
Vedere la debolezza più vicina per assumere anche quella più lontana, accogliere quella meno evidente per chinarsi su quella più prossima. A volte si tratta di piccoli e invisibili passi, ma è tutto quello che ci è chiesto e che ci fa umani.
Sii sempre portatore di questa speranza, controcorrente, speranza che non dà garanzia di niente. Che non cerca nessuna garanzia. Nemmeno quella della fede. Nemmeno quella della riuscita. La fatica del credere è il vero seme di speranza. La fiducia dà volto all’amore. Solo la luce che si sarà accesa nei nostri occhi permetterà a noi di vedere e agli altri di essere visti e accolti.
C’è posto per tutti, tranne che per quelli che sanno solo lapidare e seppellire di pietre .. quelli che sanno solo vedere peccati intorno a sé, e non dentro di sé .. non ci può essere posto per gli accusatori! Dio non castiga la fiamma debole, ma la fa diventare luminosa e forte; non condanna la fragilità, ma l’ipocrisia dei pii e di coloro che credono di essere potenti. Non punisce i nostri inverni, ma soffia la sua primavera.
E se accanto a te c’è un posto vuoto, è solo una grazia scoprire che quel posto vuoto ti è affidato: possa esserci sempre lo spazio per l’altro. Ho imparato ad essere ricco, ho imparato ad essere povero dice Paolo, ho imparato cioè che prima di tutto la comunione è condivisione di ciò che occorre per vivere, a tutti i livelli.
La fede non aggiunge nulla ma dilata lo sguardo, apre a considerare, chiede la conversione continua dello sguardo come sguardo di fratelli a cui è affidata questa terra. Terra di relazioni, terra irrigata dal sogno stesso di Dio: che tutti possano conoscere la sua giustizia e viverne.
La potenza del Vangelo è proprio questa: dalla vita stessa la manifestazione dell’operare di Dio, e l’opera di Dio è la salvezza. L’operare di Dio e Dio stesso si lasciano conoscere, riconoscere, nel concreto della nostra esistenza. Con coraggio, Paolo dice che non si vergogna del Vangelo.
Perché dovrebbe dirlo? Perché dovremmo dirlo noi oggi? E perché qualcuno potrebbe vergognarsi del Vangelo?
Proprio perché il vangelo chiede di scegliere. Non tra il credere o il non credere ma tra la giustizia e l’ingiustizia … La via della fede non è altrove dalla giustizia. Fede e giustizia: il coraggio di scegliere… in quanto abbiamo visto l’opera di Dio. Lo abbiamo conosciuto. Eppure il cuore e le opere spesso sono altrove. La veste della fede non è la stessa della giustizia. La relazione con Dio e la relazione con l’altro… Eppure il Signore non ha altro luogo di rivelazione. Chiede di essere conosciuto in coscienza, scegliendo, decidendo… Lo scegliere, il decidere, è sempre scegliere e decidere su relazioni. Sarebbe più facile cercarlo altrove. Ma la stessa creazione rimanda al suo operare, alla giustizia del nostro vivere e operare. Tutto chiama in causa la nostra ‘parola’.. È parola che fa vivere? Il Signore stesso è testimone, in noi prima di tutto, di giustizia, di verità ..
Se la sua parola è testimonianza in te… non temere. Non temere il buio e nemmeno la solitudine. Non temere “l’esterno della coppa e del piatto”.. Non temere l’ingiustizia che ti piomba sulle spalle. Tutto può dare luce ai tuoi occhi… per vedere. Per amare. Per assumere la verità tradita… e prendertene cura. Verità di rapporti… “davanti a te i pensieri del mio cuore”. Abbi cura di quanto ti sta donando il Signore anche nella sofferenza, nel tradimento che ti toglie il fiato, nella superbia di chi è sicuro di sé e non vede più l’altro… non ascolta, non si interroga, non si lascia mettere in questione. Il consiglio del Signore non viene meno, è più prezioso dell’oro fino, più dolce del miele e del favo stillante… La tua sofferenza può diventare amore spartito che fa vivere. La tua gioia può diventare festa di popolo… Questo fa il Signore, questo dona a chi si prende cura della giustizia, della prossimità reale e gratuita… È bello che la Parola parli di giustizia. Noi siamo abituati all’evidenza, non alla conoscenza. Conoscere… cioè discernere .. le effettive povertà, le fragilità. Il Signore ha fiducia in te e in noi. Tu puoi conoscere dalla sua parte le povertà di questa nostra terra, quelle più nascoste. Quelle vere. Relazioni tradite… Non avere paura. Anche quando sbagli a capire. Anche quando lo scacco dell’ingenuità ti fa sentire di avere fallito. Anche quando la stanchezza ti mette a dura prova. Anche quando la rassegnazione ti spingerebbe a chiudere perché troppo forte è stata la delusione. Pensa che anche lì.. puoi dare.. puoi lasciare posto al Signore.. che faccia luce secondo i Suoi tempi. Solo affida tutto, anche la verità e sincerità del tuo sguardo, a Lui. Non ti farà mancare nulla. Abbi il coraggio, sempre, di non vergognarti del vangelo.
Torna indietro a considerare, se necessario; vai avanti se questo ti è chiesto.. Ma accompagna .. sapendo che il Signore cammina con te e con ciascuno, con tutte le realtà di questa nostra diocesi.. A ciascuno è chiesto il coraggio di scegliere, la responsabilità .. di fronte all’altro e al Signore.
Ma non possiamo pretendere nulla, né sostituirci a nessuno, né pensare di avere noi la verità in tasca. Spesso altri interessi restringono il nostro orizzonte. Il Signore non abbandona nessuno. La sua “ira” anche è nostra salvezza .. perché non gli siamo indifferenti.
Ci ama davvero. Sempre. Ci chiama con Lui.
Cerchiamo solo di fare attenzione .. perché il nostro capire, il nostro sapere, non diventino stoltezza. È Dio che salva. Noi… siamo solo amati e fatti partecipi. È lui il fondamento del nostro vedere e del nostro operare. Affidiamogli la speranza. Perché essa abbia davvero fondamento. Affidiamogli il nostro cuore, il nostro occhio interiore, la nostra coscienza .. E cerchiamo la gioia solo in questo .. nello spartire il nostro cuore.. nel dare e condividere ciò che ci fa vivere, ciò che dà luce ai nostri occhi.
Dio si rivela nell’onestà di chi fa camminare la giustizia come via di salvezza ricevuta in dono.. Liberiamo la verità che fa vivere.. Liberiamola in noi.. desideriamola per l’altro..
Il vangelo è una cosa seria.. è impegnativo.. chiede coraggio..
Per questo può cambiarci…
Per questo è bello…
Per questo è dono…
.. così prezioso..
Da qui l’immagine, o meglio il sogno della nostra Chiesa:
– Pienamente sottomessa alla parola di Dio, nutrita e liberata da questa parola.
– Che mette l’eucarestia al centro della sua vita, che contempla il suo Signore, modellandosi sulla sua capacità di dono.
– Che desidera parlare al mondo di oggi con la parola semplice del vangelo.
– Che parla più con i fatti che con le parole; che non dice se non parole che partano dai fatti e si appoggino ai fatti.
– Attenta ai segni della presenza dello Spirito nei nostri tempi, ovunque si manifestino.
– Consapevole del cammino arduo e difficile di molta gente di oggi, delle sofferenze quasi insopportabili di tanta parte dell’umanità, sinceramente partecipe delle pene di tutti e desiderosa di consolare.
– Che porta la parola liberatrice e incoraggiante del vangelo a coloro che sono gravati da pesanti fardelli.
– Capace di scoprire i nuovi poveri e non troppo preoccupata di sbagliare nello sforzo di aiutarli in maniera creativa.
– Umile di cuore, in cui Dio solo ha il primato.
La forza di Dio è in mezzo a noi nella capacità di accogliere l’esistenza come dono, di sperimentare la verità delle beatitudini evangeliche, di leggere nelle stesse avversità un disegno di amore, di sentire che il discorso della croce rovescia le opinioni correnti, vince le paure.
Se non ora, quando? Se non io, chi? Il presente non è che una risposta agli appelli che ci vengono dal futuro. Dal futuro!
C’è un bisogno estremo di comunità autentiche. La vera coerenza della vita è coerenza al soffio dello Spirito dentro di te, coerenza ai sogni che Dio semina, coerenza al volto di Dio che cresce dentro di te.

+ don Mimmo, Vescovo