“IL CORAGGIO DI PERDONARSI” – V lettera di Quaresima del vescovo Mimmo, 31 marzo 2017

unabbraccio
31-03-2017

Tonio era un padre colto, benestante, senza grilli per la testa, apparentemente esemplare. Il suo motto era: “lavoro perché devo badare alla mia famiglia” … infatti, avendo mille impegni, la sua giornata era piena e intorno ad essa aveva costruito tutto ciò che rimaneva della sua vita…in sostanza Tonio era lo schiavo cosciente del suo lavoro, che era peraltro il suo scudo, l’arma con cui colpiva, feriva, mortificava le persone che lo amavano, i figli e la moglie, che gli ruotavano intorno con crescente sgomento.

Iolanda e Giorgio, i figli, fin da piccoli, all’ora del pranzo, quando tutto faceva presagire una serena giornata, raccontavano con entusiasmo al loro papà com’era andata a scuola, ma lui, con aria assente, si rendeva partecipe solo con “Ah…si!”. E Teresa, la consorte, per non rovinare quel momento preparato con cura, ingoiava gli amari silenzi di un marito che tutto era meno che l’uomo che aveva sognato e sperato.

Ogni giorno, in tarda serata, quando tutto era pronto per l’indomani, gli diceva con discrezione, scegliendo perfino le parole per non provocare rabbie: “Sai, i ragazzi vorrebbero stare solo un po’ di più con te” … E la risposta era sempre la stessa… “Ma io non posso, ci sei tu, io lavoro e lo faccio per la famiglia…lo dovete capire!”

Capire? Non lo comprendevano! Non capivano perché il loro papà era una macchina di lavoro. Non capivano perché tutti i loro amici trascorrevano un buon tempo con i loro papà. E Teresa se la prendeva con se stessa colpevolizzandosi, addossandosi responsabilità che non aveva. Ella era come Lucia del Manzoni, chiusa in una prigione dorata che non arrivava al mondo, che nessuno poteva vedere. Certo, in quella gabbia non si consumava la violenza fisica, ma stava scorrendo la vita non vita.

Le sue notti erano orribili: piene di angoscia indicibile che rischiava di annientarla anche come madre, se non avesse avuto il conforto della fede che sempre fa fiorire la speranza e il credere in un giorno nuovo, diverso dal precedente. Era lì che dibattendosi contro i fantasmi nati dall’incertezza e dalla paura, prendeva il rosario, la sua forza, e pregava. Mentre il tempo, l’inesorabile tempo, trascorreva allo stesso modo senza lasciare una traccia, una piccola ancora a cui aggrapparsi né per Teresa né per i suoi figli.

Fino a quando giunse l’imprevisto. Un giorno Giorgio, ormai maggiorenne, che aveva rinchiuso in sé, nel cassetto segreto, la sofferenza affiancata dalla rabbia inesplosa, dopo l’ennesimo diniego ad una richiesta di dialogo, come fulmini esplose, rovesciando contro Tonio tutta l’angoscia e la rabbia che aveva così dignitosamente celato. E il padre rimase immobile, attonito, incredulo e molto impaurito.

Era come se quell’occasione stesse facendolo precipitare in un abisso senza fine. E senza proferir parola andò a letto. L’angoscia e il travaglio di quella notte furono pulsanti di vita e di interrogativi. Stava subendo una orribile ingiustizia? Stava vivendo un dramma? Oppure era una tragedia senza speranza? E mentre Teresa pregava, lui si dimenava negli interrogativi con gli occhi spalancati verso un buio che non gli consentiva di respirare. Fino a quando avvertì un dolore al cuore. Il fatto era gravissimo…il figlio tanto perbene gli si era rivolto contro in tal maniera…! Il dolore si trasformò ben presto in disperazione. La sofferenza inflittagli, proprio a lui vittima innocente, così pensava, lo condusse, all’inizio, a stigmatizzare l’accaduto senza riuscire a dargli un significato che lo salvasse dalla tragica disperazione, mentre l’amarezza si trasformava in solitudine disumana, forse un pretesto per accusare i tempi che andavano sempre peggio. E questo perché senza Dio niente ha significato e la sofferenza diventa incomprensibile.

Da una parte Teresa era protagonista della situazione alla quale reagiva con vera dignità, poiché cosciente della forza di Dio che ha in mano il cuore degli uomini e i cui disegni sono infiniti ed imprevedibili. Una donna, Teresa, che aveva una grande anima e ad essa convogliava le sue energie che recuperava con la preghiera. Ma la notte di Tonio era di ben diverso tenore. Si alzava, si ricoricava, cercava un rifugio dal ricordo dell’accaduto che faceva male. “Come mai io così forte e sicuro ho paura? Di cosa?” Lui era la vittima! Ma il volto che aveva le sembianze del figlio così arrabbiato e angosciato affiorava, sovrastando le domande stesse. Quel volto era la sua coscienza e lui era nudo, spogliato di tutto davanti ad essa.

“Avrei potuto almeno dire qualcosa a Giorgio, avrei potuto chiedergli scusa…” si ripeteva. “E quando mai un padre chiede scusa al proprio figlio? …non sarebbe più un buon padre, un uomo vero!” Pensieri e riflessioni fino a quando nella profondità di quel fosso, riuscì a toccare la sua anima, ad accarezzarla. Non l’aveva mai fatto prima. E ora la domanda era: “Dove ho sbagliato? In cosa? Come farò a recuperare il tempo perduto! Si sentiva ghermito dalla sua stessa disperazione. Improvvisamente, gli tornarono in mente le parole che Teresa ripeteva spesso ai figli…” Dio perdona tutto perché è così misericordioso!” Aveva poco tempo …ne aveva perso molto! E tutta la sua vita gli passò davanti come in uno storybord. Aveva paura della fine e aveva voglia di un nuovo inizio; aveva paura che tutto gli fosse sfuggito, lasciando la traccia di una grave malattia. “Non ho mai colto la vita dei miei figli…della mia famiglia che sta morendo. Come posso riparare? Io sono l’inganno!”

Stava immobile, seduto con una piaga nel cuore che gli seccava la bocca ad ogni respiro. Ma i nodi che erano stati celati per troppo tempo non si scioglievano. Era troppo triste sentirsi imprigionato da quel filo spinato e ancor di più pensare che doveva trovare il modo per crescere…per farsi perdonare …doveva recuperare il tempo perduto. E per la prima volta si rivolse in alto: “Dio, aiutami! Ho sbagliato! Aiutami a trovare le strade in me stesso per perdonarmi! Ho bisogno di perdonarmi! Lo devo alla mia famiglia.”

Avrebbe potuto liberarsi con il perdono e sarebbe stata la sua salvezza. Intravedeva una debole speranza. Ma ecco l’imprevisto e Tonio non se l’aspettava. Certe volte l’imprevisto è la salvezza che lo strappa dalla disperazione di quel vuoto che lui stesso aveva causato con il suo egoismo. E così aveva dato un volto e un nome alle sue colpe.

Era al lavoro, con l’ansia di chi è consapevole della vita e che sa di dover operare un cambiamento: nuove scelte, e che fatica a scardinare gli errori per cercare risposte e verità che non aveva mai cercato prima. Ecco uno scampanìo e un allegro vocìo …era Giorgio.

In cuore gli cresceva la gioia mai assaporata prima, mista alla trepidazione di vedere il suo amato figlio. Ma quel figlio, al quale avrebbe chiesto di perdonarlo, era lo strumento che avrebbe completato l’opera così pazientemente orchestrata da Dio nella sua anima.

Il tempo sfuggito stava ritornando, regalandogli una preziosa possibilità: di perdonarsi, di chiedere umilmente perdono, di amare, dimostrandolo e di abbandonarsi al suo essere padre e uomo. In quel rinnovato tempo, il Dio della vita aveva donato a Tonio la gioia di star bene di fronte a se stesso, di conoscere il senso del perdono e del perdonare, di sentire, attraverso le sue grandi fragilità, la sua forza. Perché un uomo è veramente forte quando sa manifestare l’amore che ha dentro.

Quante volte, nella vita, è successo anche a noi di essere imprigionati; quante volte le nostre scelte ci hanno fatto morire dentro; tutte le volte che la vita, invece di essere all’insegna della semplicità, è sotto il segno della più deprimente opacità; quando ci appiattiamo dietro la pietra tombale del formalismo, del moralismo, dei dogmatismi, dell’intolleranza, della paura e di quel contegno esteriore che spesso nasconde un grande vuoto. E quante volte l’amore altrui ha rianimato il gelo della nostra povera esistenza. È questa la resurrezione, il coraggio di rialzarsi.

Perché, se ci guardiamo dentro, negli angoli più bui, possiamo scorgere una luce…la luce della speranza che è lì pronta a sussurrarci di crederci ancora e sempre, che le nostre mani del cuore possono fare tanto, che ci conduce nel tempo della verità e non c’è verità che non passi dalla croce; ci esorta a credere fermamente nella rinascita, che c’è e ci sarà un tempo migliore, di grazia, nonostante tutto. Il vento della Resurrezione non ci abbandona, basta fermarsi, chiudere gli occhi e farci avviluppare da esso con dentro al cuore il senso di abbandono misto alla gioia per l’arrivo della primavera. Il Signore ci mostra e ci fa comprendere, in ogni istante della nostra esistenza, attraverso la croce, il dolore in tutte le sue sfaccettature: vivo, mai arreso, sacrificato, spezzato, massacrato, infierito, deriso, ma, nella sua poliedricità, illuminato da una luce, la stessa che è in fondo al nostro buio: la speranza.

+ don Mimmo, vostro vescovo