AL POZZO DELL’AMORE – III lettera del Vescovo Mimmo per la Quaresima

13-03-2020

Carissimo don Antonio,

scrivo a te questa lettera perché, meditando il Vangelo di questa terza domenica di Quaresima, ho avuto modo di pensare ancora di più alla tua vita e, in particolare, a quella stanchezza che mi hai consegnato nel nostro ultimo incontro. Stanchezza che, a volte, sento anche mia. Ma perché proprio la pagina del Vangelo della samaritana mi ha riportato al nostro incontro? Forse perché il brano comincia sottolineando la stanchezza di Gesù: Gesù era “affaticato per il viaggio” e “sedeva presso il pozzo”. Stanco della fatica di cercarci. È vero, siamo anche noi a cercarlo, ma il cammino più lungo è il Suo. Una fatica, questa della ricerca dell’uomo e della donna da parte di Dio, che inizia nei primi giorni della storia. I padri della Chiesa dicono che dal giorno del grido: “Adamo, dove sei? Dove sei, uomo?”, Dio è stato in ricerca, una ricerca instancabile che ha attraversato tutta la storia, finché ci ha trovati sulla croce. È l’amore che non si arrende.

E colpisce la prima parola di Gesù alla donna: “Dammi da bere”. Il povero è Dio, il bisognoso è Gesù: “Dammi da bere”. Ed è lo stile di Gesù, il suo modo per dire che tu non sei un vaso vuoto, che la tua anfora non è senz’acqua.

Noi, non sempre siamo capaci di contemplare le “fatiche del Signore”. Il Signore si è affaticato, e in questa fatica trovano posto tante stanchezze della nostra gente. Ma trovano posto anche le nostre fatiche; la tua, la mia stanchezza: penso al tuo donarti quotidiano e al peso che a volte senti perché non c’è alcun riconoscimento o sostegno; penso ancora a quella stanchezza e allo scoraggiamento in rapporto alla missione. C’è poi il peso della strada percorsa che si fa sentire nelle gambe e soprattutto dentro di te… il peso degli incidenti di percorso e degli imprevisti, il peso delle delusioni, delle incomprensioni, il peso dei fallimenti, il peso, a volte, di certe persone… il peso di un ambiente inadeguato, il peso dell’ingiustizia, dell’ipocrisia e della falsità. Il peso della sfiducia.

Tutto ciò e altro ancora si accumula, e più che schiacciarti ti intorpidisce, ti appanna la vista, ti svuota della tua sostanza, ti prosciuga le energie. Ti ritrovi come spento. Ti fa male. E dentro, come un continuo tormento, tuonano parole: “Basta così. Non vale la pena. Non è il caso di insistere. C’è ancora un senso a tutto ciò? Che cosa si guadagna a parlar chiaro? Non vale la pena lottare. Meglio mettersi tranquilli. Non ce la faccio più. Sono rimasto solo. Si è scavato il vuoto attorno a me. E si è scavato il vuoto (un abisso) dentro di me.” E gridi dentro di te ma, il più delle volte, è un grido silenzioso.

Quante volte abbiamo vissuto questi momenti!?! E chissà quante altre volte li vivremo ancora…

Allora vai alla ricerca di un pozzo che possa placare e saziare la sete e la stanchezza; un pozzo, magari da cui ripartire. Ma non sempre hai voglia di cercare quel pozzo. Ed è un pensiero che allontani dalla mente (di-menticare) e dal cuore (s-cordare). Dovrei essere io ad accorgermi di quel tuo momento, ma non sempre ci riesco. E per questo ti chiedo scusa. In questi giorni di fatica, per via del coronavirus, ho voluto sentire, uno per uno, te tutti i tuoi confratelli, in particolare quelli che non sono riuscito a vedere in questi ultimi giorni, per sapere come state, per provare a stare accanto. Non per dovere ma per bisogno. E continua ad esserlo. Perché causa di molta stanchezza è la fraternità ferita. La sete più struggente è la sete dell’altro e mai come in questo momento lo stiamo sperimentando: se ho sete solo di me stesso, sono lontano dalla vita vera. E se l’altro è acqua, cioè il narrarci, il raccontarci, tanta stanchezza scompare. È per questo che invito sempre alla comunione, a dare valore alla fraternità sacerdotale sincera, leale, autentica. Perché la fraternità vera è grazia.

Ma, carissimo don Antonio, c’è una stanchezza particolare che mi preoccupa: la stanchezza della speranza. Quella stanchezza che nasce quando – come nel Vangelo – i raggi del sole cadono a piombo e rendono le ore insopportabili, e lo fanno con un’intensità tale da non permettere di avanzare o di guardare avanti. Come se tutto diventasse davvero inutile. È quella che scaturisce quando la realtà “prende a schiaffi” e mette in dubbio le forze. È una stanchezza paralizzante. Più volte ne ha parlato Papa Francesco. Nasce dal guardare avanti e non sapere come reagire di fronte all’intensità e all’incertezza dei cambiamenti che come società stiamo attraversando. E affiora un dubbio terribile, un sospetto inculcato dal “tentatore”: “ti sei fidato di Lui e adesso ti ha mollato, non è più dalla tua parte. Ma non ti accorgi di essere fuori dal mondo quando esprimi certi valori? Non ti accorgi che ciò che dici non interessa a nessuno?” Come ci si sente quando ti accorgi che stai parlando a persone che ti ascoltano nella più totale indifferenza? Prova a rispondere nel tuo cuore. Papa Francesco la definisce la peggiore delle eresie: pensare che il Signore e le nostre comunità non hanno nulla da dire né da dare a questo nuovo mondo.

E, quel sospetto diventa disagio… che non permette di riconoscere più la prova, ogni prova, come grazia.

Fratello mio, le fatiche del viaggio si fanno sentire, non possiamo negarle… ed è importante avere lo stesso coraggio che ebbe il Maestro nel dire: «Dammi da bere». Come accadde alla Samaritana e può accadere ad ognuno di noi, non vogliamo placare la sete con acqua qualsiasi, ma con quella «sorgente che zampilla per la vita eterna». Sai bene che non qualsiasi parola può aiutare a recuperare le forze e la profezia. Non qualsiasi novità, per quanto affascinante possa apparire, può attenuare la sete. “Dammi da bere” è quello che chiede il Signore, ed è quello che chiede a noi di dire. Con umiltà.

Dammi da bere” significa aprire la porta della nostra stanca speranza per ritornare al pozzo del primo amore, quando Gesù è passato per la nostra strada, ci ha guardato con generosità e ci ha chiesto di seguirlo; vuol dire ritrovare la memoria di quel momento in cui i suoi occhi hanno incrociato i nostri, il momento in cui ci ha fatto sentire che ci amava. È ritornare sui nostri passi, per fare memoria dell’incontro con Dio. Quell’incontro ha cambiato la nostra vita. Ha riempito la nostra vita. E, ancora di più, diventa capacità di far credito alla fiducia, alla speranza che, come ha fatto ieri, così continuerà a fare domani! Il Signore è fedele, sempre! La sua fedeltà è la nostra forza. Ogni speranza potrà guarire ritornando al luogo del primo amore e riuscirà ad incontrare nelle periferie e nelle sfide di oggi, lo sguardo del Cristo che continua a cercarci, a chiamarci e ci invita a prendere il largo. Si, continua a cercarci. A chiamarci. A prendere il largo. Per questo vorrei oggi ringraziare Gesù, con te, Lui che ancora oggi ci raggiunge, facendosi stanco per noi, quando ad essere stanchi siamo noi e diventa pozzo, pozzo per noi. E, insieme a Lui, vorrei dire grazie a donne e uomini che lungo la mia vita si sono affaticati per arrivare sino al mio pozzo. Tutte le volte che mi sono sentito stanco. E sono stati pozzo per me. E vorrei, ancora, pregare con te Gesù perché, in qualche misura, si possa, anche noi diventare un pozzo, dove chi è stanco, affaticato, non trovi la delusione di un pozzo vuoto, ma un po’ d’acqua, sì almeno un po’ d’acqua, uno sguardo tenero, un gesto che sia sollievo, una parola che dica vicinanza.

Non sono i nostri limiti che ci giustificano davanti a Lui, ci giustifica solo il suo amore che ci chiede di stare in piedi, ascoltarlo, lasciarci coinvolgere ogni giorno nella cura di coloro che Lui stesso ci affida. Se un giorno la sua voce è giunta ai nostri orecchi di giovani ed abbiamo scelto Lui, come unico amore, è proprio perché siamo stati affascinati dalla bellezza di quel volto. Accanto a quel pozzo.

Ed è per questo che ti ringrazio. Per il dono del tuo essere prete. Un ultimo passaggio: la “lavanda della sequela”. Si, fratello mio, proprio a quel pozzo, il Signore si china sulla tua stanchezza pastorale e lava i tuoi piedi. Come se Lui “purificasse” continuamente il tuo cammino, coinvolgendosi ancora di più nella tua storia, prendendosi cura di ogni macchia. Le piaghe dei piedi, le slogature, la stanchezza, sono il segno di come lo stai seguendo. E Lui si china, lava, ti purifica da tutto quello che si è accumulato sui tuoi piedi per seguirlo. La tua stanchezza è accolta, abitata, purificata, sollevata. Lo farà anche ora, se glielo permetti. È lì, accanto al pozzo.  Perché la tua vita è sacra. Dio ti benedica, fratello mio…

† don Mimmo, tuo Vescovo

P.S. È giovedì ed ho appena terminato la celebrazione della Santa Messa; ho sentito il bisogno di tornare a questo scritto per aggiungervi la parte iniziale della colletta: “O Dio che ami l’innocenza e la ridoni a chi l’ha perduta” … mi fermo qui… la parte mancante prova a pregarla tu…