L’AMORE CHE VINCE – IV lettera del Vescovo Mimmo per la Quaresima

19-03-2020

“Don Mimmo, sono Francesca, aiutami… portami sull’altare con te. Sono positiva… Ho il coronavirus. Non ce la faccio… ho paura. Prega per me. Aiutami.” E giù lacrime.

“Vescovo, sono Alessandro, ho bisogno di aiuto… sono chiuso in casa, sono in quarantena ma mio padre è in terapia intensiva, intubato… non posso andare da lui… sto male… fa male… ho solo lacrime, non so pregare… aiutami!”

“Ti prego, don Mimmo, sono Katia, qui non se ne può più … ti chiedo di pregare per questa mia famiglia… non abbandonarci almeno con la preghiera…” E ancora lacrime.

Tre telefonate nell’arco di un’ora… Provi a cercare parole dentro di te per dare coraggio, ma sai molto bene che in questi momenti le parole servono a poco… e fai i conti con un sentimento di impotenza che ti immobilizza e una tristezza che ti scava dentro, e sprofondi, anche tu, in una solitudine che ti svuota…

Si, in questo momento puoi solo pregare e provare a stare accanto per come ti è permesso. Ma è dura… Il dolore di queste persone, come ogni dolore, è una spada che trafigge anche la tua anima. E unisci le tue lacrime alle loro. Fino a quando non ti accorgi che sono le lacrime la vera preghiera, perché Dio non misura né pesa le parole, pesa solo le lacrime e le raccoglie ad una ad una.

Ci vuole molto coraggio a prendere in mano i dubbi, le paure, i timori, e fidarsi. Ci vuole coraggio a chiedere che lo Spirito ispiri il nostro capire, il nostro riflettere, il nostro aiutare. Ci vuole coraggio a pregare. Ci vuole coraggio ad affidarsi. Ma si genera speranza a partire dalla speranza che rinasce in noi.

Porti nel tuo cuore i segni di questa “afflizione” e sai bene quanto faccia male. E continui a dirti che è tempo di disarmare la paura e che lo puoi fare solo abbracciandola, e sentire, per quanto difficile possa sembrare, che è nella profondità della notte che si accende la luce. Ma la notte è lunga da passare e il silenzio così duro da raccontare e speri sempre, con tutto te stesso, che nessuna notte sia solo notte, ma che sia anche altro. Quando stai male tutto sembra contraddire questa verità e ti rimane solo la forza di portare la tua mente, il tuo corpo, la tua anima a sperare contro ogni speranza.

Anche questo momento, così difficile, così triste, così spaventosamente umano, è un’opportunità. Per tutti. Ma lo è solo se restiamo fedeli e aperti, se rimaniamo, nonostante la durezza della prova, umanità che spera, sapendo che sorgerà prima o poi in noi la luce di una risposta alla nostra oscurità.

Viene un giorno in cui, nel tuo smarrimento, si apre un varco inaspettato che ti indica il senso dentro il non senso. Nel profondo della notte c’è sempre una luce verso cui andiamo, o che viene verso di noi. Esiste, c’è. Non può non esserci. Possiamo scorgerla imparando ad attraversare il buio.

“Nel cuore di ogni inverno c’è una lunga primavera palpitante. E dietro la nera cortina della notte, si nasconde il sorriso di un’alba.”

Basta una lacrima e i contorni delle cose si offuscano e gli orizzonti si spengono. Basta il velo di qualche lacrima, un evento doloroso che preme, e diventiamo come ciechi. Il cielo si fa nero e ogni strada è senza uscita. Gli occhi che portano lontano vanno conquistati.

Allora capisci che si ha bisogno di contagiare il mondo (chi ti sta accanto) di leggerezza, quella che ti fa scoprire che la cosa più nascosta, la più piccola, la più invisibile può diventare testimone del senso della vita. Nel vangelo di domenica prossima, nell’incontro di Gesù con un cieco, colgo una verità: è la luce che cerca me, che mi si fa vicina, che mi passa accanto e mi vede. Il cieco non vede, viene visto: Gesù vede. L’invisibile. Si avvicina. E inizia una liturgia: gli tocca gli occhi, gli mette un po’ di fango sulle palpebre. Sarebbe bello pensare, nei momenti di buio della nostra vita, quando ormai non ci aspettiamo più niente, che qualcuno si ferma accanto a noi per carezzare il nostro buio; sarebbe bello sentirci guardati e avvertire anche solo il calore di quello sguardo. Un poco di fango sugli occhi, un impasto di polvere e saliva: lo stesso che Dio usò per creare l’uomo, come a voler dire che la vita è nascosta nelle cose semplici e che anche nel fango può essere nascosta la luce.

Gesù vede: il vedere di Gesù è immedesimarsi. Anche se il cieco è ai margini, ignorato, anche se al cieco non esce più un grido dalla gola, neppure una preghiera, anche se a noi non uscisse più una preghiera, Lui vede, si accorge. C’è. Perché a gridare, per Gesù, sono gli occhi di quel cieco. E gli occhi di Dio sono quelli della compassione. Se non ci sono fremiti di compassione il nostro non è un vedere.

Ad una certa profondità di sofferenza e di angoscia, si è necessariamente soli. Di fronte alla sofferenza esiste una soglia che non può essere valicata neppure dall’amico più intimo. Nessuno, per quanto animato dalle migliori intenzioni, riesce a spingersi fin là. Né lo deve fare. Puoi partecipare, ma non puoi entrare. Nessuno riesce a capire (accogliere) totalmente il dolore di un altro. Puoi stare accanto… ma devi toglierti i sandali… perché anche quel luogo è terra santa.

Signore, dammi la forza del gesto che non risolve nulla. Ho bisogno di sostare a lungo sotto la tua croce per imparare che cosa è l’amore. E soprattutto qual è il suo prezzo. L’amore non conteggia. Paga.

“E sulla croce un giorno ci è salito un uomo innocente, e sul retro della croce c’è un posto vuoto dove un altro innocente è chiamato a fare compagnia ai rantoli di Cristo… quel posto è tuo, Francesca, e di nessun altro. È tuo, Katia, chiamalo il tuo Signore, è un nome breve. Non può non sentirti, è appena inchiodato dietro di te. È tuo, Alessandro, non fare lo sbaglio di rinunciare a quel posto.

Forse un giorno sarà anche mio quel posto. O lo è già adesso… allora non vi devo portare sull’altare con me, sull’altare ci siete già… quel dolore è il vostro altare… la vostra preghiera… e ho una certezza: il mattino di Pasqua, nella corsa verso il sepolcro, voi sarete più veloci di tutti, e ci precederete come Giovanni. E forse vi fermerete sulla soglia, per farci vedere le bende per terra e il sudario piegato in disparte.” Perché è l’amore che vince!

Francesca, Alessandro, Katia, è questo amore, questa luce, che chiedo al Signore per voi e per le persone che amate. Coraggio, il Signore è presente, non abbandona mai. È davvero presente! Conosce il vostro dolore, ascolta il vostro grido, quel filo di fiato che si fa invocazione. Si immerge nei fondali della nostra tristezza e della nostra paura, per risalire con noi, in quella inenarrabile spinta che ci aiuta a non arrenderci. Non arrenderti, mai!

Prego per voi, con voi, perché il cuore si nutra di amore e di fiducia. Perché riempia di speranza questo tempo di dolore e di inquietudine. E della certezza che non siamo soli. E doni a noi la capacità di saper ascoltare le piaghe, imparando a riconoscerlo nelle piaghe dell’umanità.

Signore, mostraci ancora lo sguardo, i passi e le mani che indicano cos’è compassione, perché le ferite della nostra terra, della nostra gente, di questo tempo, si trasfigurino e diventino segni di resurrezione. Le nostre molteplici povertà diventino la porta spalancata del regno e le fragilità l’opportunità da cui far ripartire la vita. Fino a poter vedere bene, fino a poter vedere il bene. È questa la luce. Un dono grande poter vedere che cosa può fare il Signore con noi e attraverso noi. Un dono grande poter riconoscere il bene e farlo; poter vedere il dono e sentire di essere toccati per poterlo dare… fino in fondo.

Dona, Signore, consolazione allo sconforto e speranza alla delusione.

Dona fiducia alla paura che mette all’angolo annientando il coraggio e la forza di reagire.

Dona coraggio alla fiducia.

I giorni della sofferenza non sono giorni persi, nessun istante è perso, è inutile…

Tu, Dio della pace, non abbandoni mai nessuno di noi e vivi con noi, dentro ogni condizione umana. Dacci la forza di portare la tua presenza lì dove Tu sei già presente. Portare la tua carezza.

Una carezza che infonda coraggio a chi vive nella paura.

Una carezza che doni speranza a chi è avvolto nell’ombra della delusione e della rassegnazione.

Una carezza che indichi la via a chi è smarrito.

Una carezza che rianimi la forza in chi è stanco e scoraggiato.

Una carezza che conceda gioia a chi è nella tristezza.

Una carezza che faccia sentire meno solo il fratello abbandonato ed emarginato.

Una carezza che offra consolazione a chi è ammalato.

Una carezza che riempia di Presenza il nostro presente.

Una carezza… quella che cerca ciò che di eterno si nasconde dietro una lacrima, un sorriso, una mano tesa.

Benedetto quello sguardo dietro l’angolo della vita, benedetta quella mano sulle spalle della vita, benedette quelle braccia che proteggono la vita, benedetti i passi affrettati di chi ha a cuore la vita.

Vi abbraccio!

† don Mimmo, vostro Vescovo