Omelia del Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della CEI, per il Rito di Dedicazione della nuova Chiesa in onore di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

Telese Terme (BN) - 25 giugno 2023

Abbiamo bisogno di luoghi che ci aiutino a contemplate i mistero dell’amore di Dio e della nostra vita. Qui vediamo la pienezza della Comunità, ma dobbiamo contemplarla attraverso la vita ordinaria. Si ritrova intorno all’altare ma è la stessa che si fa pellegrina. L’Eucarestia inizia qui, la gustiamo nutrendoci della Sua parola e del Suo corpo, per vivere l’eucarestia del servizio, il sacramento del fratello, quello del chinarsi a lavarsi i piedi e di farsi servi gli uni degli altri. Una casa che è un luogo santo. La consacriamo con il crisma, perché tutto trasudi della Sua presenza e perché ci ricordi che siamo il suo popolo santo, le sue pietre vive. Non è un museo, non è un club, non ci sono i nostri contrapposti agli altri, non è un teatro dove si assiste ad uno spettacolino, non è un albergo per buoni intenzionati, ma è sempre la casa del Signore, di sua Madre, della quale siamo figli e che dobbiamo prendere nella nostra casa. Quanto c’è bisogno di una casa da amare, in cui sentirsi a casa, ma non padroni, in cui imparare ad avere attenzione al prossimo. Gli episodi di violenza iniziano in un’idea di forza, di contare di più, di potere che diventa prevaricazione, furbizia. Qui si ascolta il Signore e non possiamo fare a meno degli altri o prendiamo invece di donare o pensiamo che sia un diritto. Casa di amore e non di utilità o convenienza, dove capiamo che siamo generati dal suo amore e siamo figli adottivi tutti. Casa dove impariamo a trovare i suoi fratelli più piccoli. Dio desidera l’uomo e  l’uomo trova quello che davvero gli serve. Soprattutto è casa, ma casa di amore, dove tutti serviamo e siamo serviti, ma del cui amore non possiamo impadronircene o farne un ruolo, una considerazione, una convenienza, perché l’amore è gratuito. Il popolo torna dalla grande dispersione dell’esilio. Torna e trova solo deserto. Da dove ripartire per rendere quel deserto città abitata da uomini? Attraverso l’ascolto della Parola. È la Parola che genera Israele, nel capodanno di Israele da rinnovare tutti i giorni e perché sia sempre una nuova ora della storia. La gioia è sentire il suo amore. E’ solo questo che cambia tutto. Dobbiamo essere pietre vive perché rese vive dallo Spirito che chiama a responsabilità. Le pietre sono tutte importanti e necessarie, ma solo se si ordinano insieme. Che senso ha una pietra da sola? Capisce il suo senso pensandosi assieme e quanto poco lo facciamo! La nostra forza è essere famiglia. Questo può aiutare le nostre famiglie, che se si chiudono non va bene e brucia l’amore. Quanto isolamento! Quanta solitudine! Spesso non posso contare sulle persone care: corrono appresso al benessere e non hanno tempo da perdere. Siamo aiutati tutti a confessare la nostra fede. Chi dite che io sia? Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. La Parola di Dio non è soltanto parola. In Gesù essa è presente in mezzo a noi come Persona. Questo è lo scopo più profondo dell’esistenza di questo edificio sacro: la chiesa esiste perché in essa incontriamo Cristo, il Figlio del Dio vivente. Qui incontro il Figlio del Dio vivente e così è il luogo d’incontro tra di noi. E’ la porta che ci fa conoscere la sua presenza. “Io Sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo; entrerà e troverà pascolo” (cf. Gv 10,9)…così recita la citazione del Vangelo di Giovanni scritta sul portone di ingresso, a ricordare, a chiunque varchi questa soglia, che attraversa Gesù, il pastore. Casa di fraternità anche nei preti, don Gerardo, parroco moderatore, e don Gianmaria, coparroco, responsabile anche della pastorale giovanile. La prima pietra fu messa a maggio del 2016 dall’allora ordinario che aveva presentato il progetto, Mons. Michele De Rosa, oggi emerito, che vive a Salerno e che per motivi di salute non potrà essere presente. Cari amici, qui si entra per incontrare Dio e di qui si esce per amare il prossimo. Qui si arriva con il peso e trovi chi ti aiuta a portarlo e ti fa sentire la dolcezza del suo amore, di quel giogo dolce e leggero che è  unirsi a Lui. Questa casa vedrà i momenti belli, quelli tristi, ci consolerà nelle lacrime e ci farà piangere quando siamo indifferenti. Ci toccherà il cuore quando non lo aspettiamo e ci abbraccerà quando abbiamo bisogno di amore. Nei sacramenti sperimenteremo la forza della sua grazia. E’ una fontana di misericordia per tutti, particolarmente per i fratelli più piccoli di Gesù, nostri solo perché hanno fame, sete, malati, prigionieri, stranieri, nudi. Non è una casa fuori dal mondo, eppure impariamo l’amore del cielo, quello che ci rende uomini della terra, uomini veri, umani e non spaventati, individualisti, incapaci di volere bene agli altri, violenti nelle parole e a volte anche nelle mani, che coltivano l’ipocrisia perché curano l’apparenza, a volte ciechi che non sanno più vedere il fratello e restano indifferenti davanti alla sofferenza. Ci abbiamo impiegato tanto per costruirla. Adesso dobbiamo costruire la comunità, anzi le comunità, con le pietre vive che siamo ognuno di noi. Nessuno di noi è inutile. Mai. E vorrei tanto che fosse una casa di generosità e gratuità, beni tanto importanti e, forse, troppo poco usati in una generazione che pensa di comprare tutto. E se qualcuno non può venire i fratelli porteranno il pane di Gesù a chi sta male. E’ una casa grande, ma non anonima. Spesso questo significa che se diventa anonima, ognuno resta solo con se stesso. No. E’ grande perché vogliamo abbracciare tanti e perché aspetta tutti. Qui pregheremo assieme e anche troveremo da soli, nel silenzio, nel raccoglimento, nella preghiera lo spazio per il Signore. E’ una casa di gioia. Sì, è proprio vero, la gioia del Signore è la nostra forza, quella che ci libera dalla tristezza, dal pessimismo, da quella rassegnazione per cui perdiamo entusiasmo, gusto, passione nell’amore tra noi e verso il prossimo. Il cristiano ha una forza diversa da quella del mondo, dove conta chi ha denaro, l’energia fisica, il potere. La forza del Signore è il suo amore. E’ la nostra forza perché trovare Lui ci fa capire quanto siamo importanti, quanto abbiamo da dare agli altri. Qui comincia la festa a cui Dio vuol far partecipare l’umanità non solo alla fine di tutto, ma già ora. Qui siamo tutti aiutati a diventare alti, a vedere tutta la vita e il mondo, ma non teniamo a distanza il nostro cuore! Qui vinciamo la paura e possiamo farlo aprendoci, non chiudendoci; essendo noi stessi, non inventandoci personaggi che non siamo! Non pensiamo di essere troppo bassi per capire! Gesù si fa conoscere proprio ai piccoli, a chi fa fatica, a chi non si innalza da solo con l’orgoglio o la ricchezza, come Zaccheo! Al centro c’è questo altare, sul quale ogni giorno offriremo il sacrificio di Cristo, dove il pane diventa il suo corpo per la salvezza nostra e del mondo intero, facendo di noi una cosa sola con Lui, punto d’incontro fra Cielo e terra, tra la chiesa del cielo e quella pellegrina sulla terra. I testimoni ci guidino e ci spingano a non sciupare le occasioni, a non avere paura, ad essere grandi. “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo. Temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima ed il corpo nella Geenna”. Non abbiate paura degli uomini, ma solo del male. Una fede in Gesù che è chiamata ad incarnarsi nel nostro vivere concreto, ricordandoci che chi edifica è sempre il Signore, che chiama noi uomini e donne di questo tempo, di questa comunità parrocchiale, a vivere la sua stessa compassione per ogni uomo e ogni donna, soprattutto per i deboli e i poveri. Questo programma di vita è ciò che ha vissuto Sant’Alfonso a cui oggi dedichiamo questa Chiesa. Ha saputo cantare la misericordia di Dio che si fa compassione per le tante miserie e povertà umane. In maniera affettiva. Si può parlare di amore e volerci bene senza affetto? Superare l’individualismo e costruire quella pace di cui il mondo ha bisogno, oggi più che mai, vivendo quel “fratelli tutti” tanto caro a Papa Francesco. S. Alfonso ai parroci raccomandava di aiutare i poveri con gesti concreti. La sua mansuetudine e carità incantava ognuno. Il paradiso di Dio, per cosi dire, è il cuore dell’uomo. E s’è grande errore, come si è detto, il trattare con Dio con diffidenza (…) maggior errore sarà il pensare che il conversare con Dio non sia che di noia e d’amarezza. Conversare amorosamente con Dio. Egli senza aspettare che voi andiate a lui, quando desiderate il suo amore vi previene e si presenta a voi, portando le grazie ed i rimedi che vi abbisognano. Non aspetta se non che voi gli parliate, per dimostrarvi che vi sta vicino ed è pronto ad udirvi e consolarvi. 

† S.Em. Card. Matteo Maria Zuppi