Con gli occhi delle stelle, in viaggio “on the road” con il vescovo Mimmo

GIORNO 3: Di Dio il sorriso

di Giovanni Pio Marenna

“Ehi tu, è un po’ che ti osservo. Sei lì da diversi minuti. A forza di guardare questo paesaggio, andrà a finire che me lo consumi”. Sento parlare un uomo sulla cinquantina d’anni, forse qualcosa in più. Mi chiama. Non sembra essere così lontano perché la sua voce la sento molto vicina, quasi sotto di me. Ed infatti è proprio sotto di me, nei pressi di un fitta radura. Si intravede proprio in quel punto il suo movimento, mentre si dimena tra i rami bassi degli alberi. Stava raccogliendo noci. “Non vi preoccupate, non ve lo consumo il panorama”, reggo il gioco con una battuta. “Piuttosto – continuo – nel contemplarlo sto recuperando il tempo in cui non mi sono fermata ad ammirarlo abbastanza. Anche se il tempo perso in cose vuote e inutili non si ritrova, si vive invece quello che rimane quando comprendi di aver vissuto una vita di apparenze. Conta la vita che ci metti negli anni che vivi”. “E beh – prosegue l’uomo – dici così forse perché non hai mai sofferto. Io proprio ieri ho perso un nipote per overdose. Sai? A volte penso che ce lo meritiamo! Ce lo meritiamo affinchè possiamo imparare dai nostri errori e capire, evitando di farne altri”.

Le parole, oltre che taglienti come una lama, sono anche appiccicose come vischio. Quando incollano non esiste modo per scrollarsele di dosso. In questo assomigliano ai ricordi. Si avvolgono alle situazioni che ci capitano, diventando un tutt’uno. Li accompagnano, li fanno vivere. Lasciano una traccia tanto invisibile quanto profonda. E preziosa. Non solo perché sono parte di noi. Ma perché siamo proprio noi che stiamo camminando in quel momento, con dentro quelle precise parole e quegli specifici ricordi. E, quindi, davanti al suo dolore io non posso che tacere. Che rimanere sulla soglia della porta. Perché quella del dolore degli altri è una porta che nessuno può aprire. Puoi anche entrare, fare qualche passo sul pavimento. Ma non potrai mai e poi mai attraversare tutto, metro per metro: non saprai mai l’altro cosa sta pienamente vivendo e varcando in quel momento, non conoscerai mai tutte le stanze che sta attraversando oltre quella porta. Per quanto molte risposte non riusciamo a trovarle o ci possono sembrare incomprensibili, non mi trovavo d’accordo su un concetto, però: noi il dolore e la sofferenza non li meritiamo. Il male non ce lo meritiamo, casomai lo scegliamo, che è ben diversa come cosa. Ma non lo sceglie solo la persona che si fa del male. Siamo corresponsabili tutti di ciò che di sbagliato accade. Io sono riuscita ad andare oltre, ho fatto la mia scelta e sono contenta di vedere splendere il sole anche quando davanti ci sono le nuvole.

E quel sole aveva gli occhi di Paolo, Luca, Antonio, Gennaro, Marta Rita, Costanza, Anna, Francesco, Antonietta, Salvatore. Quando sempre quel bagliore, simile alla coda di una cometa, mi condusse prima al Medical Center One di Telese Terme e poi al Centro Medico Erre di Sant’Agata de’ Goti. Eppure non ho dovuto solo affrontare delle delusioni sentimentali e relazionali, oltre alla morte di mia sorella. Da 8 anni mio padre è allettato a causa di un’emorragia cerebrale. A causa di quella sua condizione, ho potuto scoprire che era pieno di debiti perché s’era tuffato con tutti i piedi nel mare delle slot. E in quell’abisso ha perso tantissimi soldi. E in quell’abisso ha trovato degli strozzini pronti ad accoglierlo. E in quell’abisso stava affogando per la disperazione. Le nubi dentro di me erano nere. Perciò in questo tempo ho potuto dare del tu al dolore e maledirlo, inizialmente. Scoraggiarmi. Mio padre copriva la propria solitudine con il gioco d’azzardo. Succede all’improvviso. Senza preavviso. Non lo sai, non puoi saperlo, non potresti mai saperlo. Impotente sei spalle al muro. Disarmato non alzi neanche le mani. Provavo a prendermi cura di lui per dovere e non per vivere il senso di umanità, di fraternità, di accoglienza.

Sono risposte che sto ricevendo poco alla volta. Ho fatto esperienza del buio e dell’oscurità dentro di me per poter vedere e seguire le stelle. Una voce decisa, in lontananza diceva che “l’oscurità grida alla luce, cerca la luce, ne ha bisogno”. Dolore da abitare. Il tutto mentre mamme ed operatori di quelle strutture che mi sono state indicate, infermieri e medici, piangevano ascoltando quelle forti parole. Anche i poliziotti, al Commissariato di Telese Terme per un brindisi, erano in lacrime. Deve essere proprio questo il sorriso di Dio, raccolto e custodito gelosamente con attenzione, innamorato della bellezza della realtà. Deve essere proprio questo il sorriso di Dio che restituisce speranza nel dolore, fiducia nella sofferenza, umanità nelle difficoltà, sogni ai bisogni, vento nell’amore. I giorni utilizzati a rincorrere il vento non sono mai perduti. Perché si parte da un altro tipo di “perdere” tempo: l’avere cura delle persone più in difficoltà. La necessità di perdere per ritrovare sé stessi. Tempo che hanno donato 61 persone riunite a Sant’Agata de’ Goti in Consiglio Pastorale Diocesano per vedere come provare a camminare insieme.

Ah, eccolo nuovamente quel signore brizzolato sulla cinquantina. M’è venuta in mente una bella immagine per confortarlo un po’, o almeno per provarci, dicendogli che l’importante è l’amore che lui c’ha impiegato per il nipote (non la quantità, ma la qualità del cuore che c’ha messo). Magra consolazione? No, no, non è una gara, ma una resistenza. Non è pieno amore se si pensa al merito o meno. E’ amore gratuito se si accoglie. “Sul tempo volevo dirvi una cosa. Secondo me il tempo è un po’ invidioso dell’amore”. “E perché?”, mi chiede il cercatore di noci. “Perché il tempo ha sempre bisogno di amore. Mentre l’amore, anche se ferito, deluso, caduto, non sempre visibile, freddo, a pezzi e agonizzante, in realtà finge di morire. Poi rifiorisce per addormentarsi in angoli bui senza tempo e senza spazio. In angoli stretti dov’è possibile ritornare ad amare. In angoli dove il tempo finisce, ma l’amore donato e ricevuto resta sempre; dove il tempo muore, ma l’amore vive”.