260° anniversario dell’ingresso di sant’Alfonso in Diocesi (1762 – 2022)

Chiesa Concattedrale, Sant’Agata de’ Goti (BN)
11-07-2022

Care sorelle e cari fratelli, l’11 luglio del 1762 faceva il suo ingresso su un cavallo bianco, in questa Diocesi di Sant’Agata de’ Goti, il Vescovo Alfonso Maria de’ Liguori, ordinato da papa Clemente XIII che lo volle, contro la sua volontà, già sessantaseienne, vescovo di questa Diocesi.

È stata molto bella la ricostruzione storica dell’ingresso che ieri è stata fatta; ancora grazie, a partire dai parroci, a tutti quelli che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento, ai giovani, ma non solo giovani. Tutti veramente bravi. Saluto con affetto il Vicario generale, i sacerdoti dell’unità pastorale, i vicari foranei, tutti i sacerdoti presenti, i diaconi, i religiosi, le religiose. Saluto le autorità civili e militari presenti.

Perché ricordare Sant’Alfonso, il suo ingresso? Sono passati 260 anni; non è un evento del passato? Il mondo non è cambiato da allora? La Chiesa stessa non è cambiata? La vita, i problemi non sono cambiati?

Eppure oggi ricordiamo solennemente Sant’Alfonso che nel suo tempo, un tempo difficile di violenza, corruzione, povertà e disagio sociale è stato luce capace di rischiarare le tenebre che rendevano difficile la vita di tanti e anche di dare uno slancio nuovo alla Chiesa del suo tempo. Ricordiamo oggi la sua fede, la sua passione per la vita, la sua docilità allo Spirito di Dio; ricordiamo la chiarezza delle sue scelte.

La prima lettura parla di Salomone. A lui Dio Disse: Siccome non mi hai chiesto ricchezze, né gloria, né una vita molto lunga, né tantomeno la vittoria sui tuoi nemici, ma mi hai chiesto il dono di una vita sapiente, io te la darò. Ti concedo, dice il Signore, un cuore saggio e intelligente. Sant’Alfonso è stato un uomo dal cuore saggio e intelligente che quando è arrivato in Diocesi, è venuto armato del Vangelo e della fiducia in Dio. Mai si è arreso di fronte al male, lo ha combattuto con la saggezza di chi crede nella forza del bene; mai ha pensato che quella era la vita e che niente fosse possibile fare; mai ha considerato il male come un destino ineluttabile; mai ha pensato che la Chiesa dovesse essere cosa altra rispetto alla vita della gente, quasi come se il Regno di Dio non andasse cercato tra la gente. Arrivato a Sant’Agata, Alfonso fu impressionato dalla diffusione della pratica della bestemmia, dal numero di prostitute e di loro conviventi (non esitò a rivolgersi alle autorità per chiederne l’arresto e l’espulsione), dalla miseria dei contadini e dalla corruzione del clero locale. Sant’Agata è città infetta”, diceva. Ma, come successe con Giona e la città di Ninive, Sant’Agata cambiò in fretta. Il suo ingresso significò una ventata di aria buona, un vento dello Spirito, una forza di compassione e di misericordia che rese migliore la vita di tutti. Portò avanti una profonda riforma della diocesi; chiedeva continuamente ai preti che nella confessione prevalesse la dolcezza e non la durezza con i peccatori, contro la morale del suo tempo che considerava i peccatori quasi come anime senza speranza. Per Sant’Alfonso ogni uomo poteva essere migliore; lui credeva, ed è vero, che nel cuore di ogni uomo c’è sempre una risorsa di bene che attende di essere messa fuori. Come Gesù credeva che anche un grande peccatore può diventare un grande santo se si converte e si apre alla grazia. Ricostituì il seminario, riformò i monasteri femminili facendo arrivare in paese alcune suore Redentoriste (già prima di diventare Vescovo, aveva fondato la Congregazione del Santissimo Redentore), smantellò privilegi e alleanze che aveva creato in città una casta privilegiata, creò opere sociali e associazioni dedicate alle vedove, alle nubili, ai preti, ai bambini, ai poveri. Come il buon samaritano del Vangelo di ieri, seppe chinarsi sulle ferite della società del suo tempo; ferite di fronte alle quali forse sacerdoti e leviti del suo tempo avevano preferito passare oltre. Ma soprattutto Sant’Alfonso era amato per la generosità con cui si prodigava per i bisogni di una popolazione poverissima e bisognosa.

Ci ha detto l’apostolo Paolo: “Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.” Carissimi tutti, quale è la potenza di Dio se non la potenza dell’amore e della compassione? Amare Dio ed amare il prossimo, se non c’è l’uno non ce nemmeno l’altro perché la Chiesa non è una associazione umanitaria, ma è il segno dell’amore di Dio per ogni uomo ed ogni donna e tutto quello che si fa, si fa nel nome di Gesù. Gesù, il suo nome, ci dice della manifestazione dello Spirito e della sua potenza.

Oggi ricordiamo l’ingresso in Diocesi di un uomo che amava Dio, a cui Dio aveva rivelato il mistero e la grazia di una misericordia infinita, quella di Cristo Crocifisso, vero criterio per valutare e giudicare i tempi e le persone. Con il suo ingresso si aprirono i cieli e dal cielo uno spirito nuovo soffiò su questa terra: fede, speranza, carità, misericordia, cura pastorale delle anime soprattutto del popolo, Vangelo annunciato, vissuto, testimoniato, intelligenza ricca di amore, fiducia in Dio, cura delle vocazioni e passione per evangelizzazione.

Cari amici, ci ha detto il Vangelo che ogni albero si riconosce dai suoi frutti. Non si raccolgono fichi dagli spini né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono infatti dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene, l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori invece il male.

Sant’Alfonso fu sicuramente un albero buono, capace di portare frutti buoni, ma è anche vero che per lui non esistevano alberi solo buoni, né alberi solo cattivi; tutti gli alberi possono diventare alberi buoni capaci di dare frutti buoni. Il Vangelo rende buoni, il Vangelo dona, a chi lo ascolta e lo mette in pratica, la capacità di diventare alberi buoni. La parola di Dio, come linfa vitale, rende puri, e mondi, e da questo quanti frutti buoni vengono. Ogni opera buona, anche se piccola, è come un frutto buono. E niente è mai piccolo davanti a Dio. Niente è mai poco per chi riceve una opera buona.

Mi piace però ricordare oggi in questa celebrazione, un aspetto della vita di Sant’Alfonso che lo ha reso capace di fare di Sant’Agata un centro della vita spirituale del suo tempo, ma non solo. Sono stato in pellegrinaggio a Lourdes in questi giorni e non c’è stato prete o Vescovo che, quando gli dicevo di Sant’Agata, non dicesse: “Il paese di Sant’Alfonso”. Credo che questa sia una responsabilità per tutti noi. Essere del paese, della Diocesi di Sant’Alfonso ci dà un motivo in più per essere umili strumenti del Vangelo; operatori di misericordia; canali di grazia per i tanti scoraggiati e provati dalla vita.

Da dove viene questo? Sant’Alfonso nel 1759 scrisse il suo trattato “Del gran mezzo della Preghiera”, che egli considerava il suo scritto più importante ed utile.

Considerava infatti la preghiera come «il mezzo necessario e sicuro per ottenere la salvezza e tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguirla». Per lui la preghiera era questo perché mentre il peccato ci allontana dalla vita in pienezza solo la grazia di Dio la può rendere accessibile. Lui diceva «Chi prega si salva, chi non prega si danna!».

E poi ancora: «Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile … ma pregando il salvarsi è cosa sicura e facilissima». E ancora egli diceva: «Se non preghiamo, per noi non v’è scusa, perché la grazia di pregare è data ad ognuno … se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non avremo pregato». Dicendo che la preghiera è un mezzo necessario, sant’Alfonso voleva far comprendere che in ogni situazione della vita non si può fare a meno di pregare, specie nel momento della prova e nelle difficoltà. Sempre dobbiamo bussare con fiducia alla porta del Signore, sapendo che in tutto Egli si prende cura dei suoi figli, di noi, nella certezza di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno.

A Lourdes ho ascoltato una preghiera che si concludeva così: “Forse il Signore non sempre ci dona quello che chiediamo, ma sempre ci dona quello di cui abbiamo bisogno in ogni situazione” e questo a Lourdes era molto evidente. Ci sono infatti sofferenze, pesi che si possono sopportare e sostenere solo se il Signore ti dona Lui la forza…. sant’Alfonso faceva l’esempio di san Filippo Neri, il quale «dal primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: “Signore, tenete oggi le mani sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce”». In un altro passo, dice sant’Alfonso che: «Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco» e non bisogna aver timore di procurarsi da Dio, con le preghiere, quella forza che non si ha, necessaria per fare il bene.

Care sorelle e fratelli, allora ringraziamo il Signore per questa ricorrenza. Sì, sono passati 260 anni, ma lo Spirito che portò Alfonso a prendersi cura di questa terra continua a soffiare ed a cercare uomini e donne che senza mai scoraggiarsi sappiano amare questa terra e chi ci abita, soprattutto i più poveri ed i più deboli. È uno Spirito buono, è lo Spirito di Dio, di cui Sant’Alfonso è stato testimone e che oggi, dopo 260 anni, continua a soffiare su questa Chiesa e sulla nostra vita perché sappiamo vivere da eredi di quella ricchezza spirituale che è stata la vita di questo grande Santo.

E così sia.

† Giuseppe, vescovo