“In questa chiesa come vescovo della Diocesi di Sant’Agata pregò e celebrò, predicò, aiutò, pianse, soffrì Sant’Alfonso ed oggi è anche l’anniversario della sua ordinazione episcopale. Sono 259 anni. Una felice circostanza, ed anche una coincidenza. Qui tante volte pregò inginocchiato anche sul pavimento perché in un tempo difficile non mancasse mai al suo polo la Grazia della Salvezza. Tredici anni vissuti e spesi per il popolo a lui affidato. E la memoria alfonsiana di questi luoghi è per me monito alla responsabilità di vescovo, ad aprire il cuore come fu per lui alla Parola di Dio ed alla preghiera”. Nella sua prima omelia nella Concattedrale di Sant’Agata de’ Goti monsignor Giuseppe Mazzafaro ricorda la figura di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. “Guardare alla storia – sottolinea Sua Eccellenza – non è nostalgia del passato ma è radicarsi in una tradizione, radicarsi, cioè mettere radici profonde perché la chiesa è una storia che si rinnova, rinnovarsi in una storia, mettere radici per non essere portati via dai venti della vita, che soffiano dolci in certi momenti ma che possono diventare impetuosi come quelli della tempesta. Che possono spazzare via quello che non è radicato».
Una celebrazione quella di ieri pomeriggio a Sant’Agata de’ Goti iniziata con il bacio di monsignor Mazzafaro al crocifisso ed alla reliquia di Sant’Alfonso sulla soglia del duomo, dov’era arrivato a piedi accompagnato dai parroci dell’Unità Pastorale don Franco Iannotta, don Antonio Parrillo e don Guido Santagata e dal vicario foraneo don Domenico Angelo Napolitano. Ad accoglierlo il sindaco di Sant’Agata de’ Goti Salvatore Riccio, il vicesindaco di Valle di Maddaloni Francesco Sacco, il comandante della locale stazione carabinieri Luigi Verdicchio e quello della polizia municipale Vincenzo Iannotta.
“La mia presenza qui, come vescovo – ha detto monsignor Mazzafaro nel corso dell’omelia – è anche il segno che oggi il Signore ci conferma nel legame d’amore con voi. Gesù vuole un legame profondo con noi, singolarmente e come Chiesa locale. Tante volte i legami sono solo per motivi di interesse, legami che finiscono quando finisce l’interesse, la convenienza. Succede che cerchiamo una persona solo quando serve. Purtroppo le persone spesso fanno così e producono quelli che Papa Francesco chiama gli scarti. Il dramma è che tante volte gli scarti sono persone. Nella passione di Gesù anche i discepoli fecero così, lo tradirono e lo lasciarono solo. Che brutto, per chi rimane solo, come quelle persone che stanno male e nessuno si interessa a loro, persone che vivono per strada, non è forse il problema di questo luogo, ma io vengo da Napoli dove circa duemila persone vivono per strada. Finisce che nessuno le guarda più e diventano gli invisibili. Chi non ha legami è più solo e debole. L’amore, protegge, fa sentire forti perché amati. Senza amore, tutti stiamo peggio e moriamo dentro. Il Signore vuole che nessuno sia solo”. E sulla pandemia monsignor Mazzafaro ha detto: “La pandemia dobbiamo capirla, non rimuoverla. Abbiamo capito alcune cose in questi mesi difficili, ed altre cose le capiremo in futuro. Abbiamo capito che la vita è piena di pericoli ed è fragile e non vogliamo più perdere tempo nelle cose inutili. Abbiamo capito che ci sono delle cose che sono davvero essenziali, che i nostri affetti sono la nostra vera ricchezza, abbiamo capito che non dobbiamo più lasciare solo nessuno, perché siamo fragili ed abbiamo bisogno gli uni degli altri. Tutti possono fare qualcosa, ad esempio visitare i malati, ad esempio avere cura dei nostri anziani. Abbiamo imparato ad essere responsabili gli uni degli altri, abbiamo capito che dobbiamo essere migliori, non possiamo essere più quelli di prima. Alcune cose le abbiamo imparate, abbiamo ad esempio imparato a pregare di più, a pregare da soli e assieme, in famiglia o nei luoghi di preghiera. Questo va custodito perché la preghiera è tesoro di grazia”.
Una cerimonia alla quale hanno preso parte, nel rispetto delle disposizioni anti Covid e del limite massimo delle duecento presenze, le autorità civili (presenti gli assessori ed i consiglieri comunali di Sant’Agata), i religiosi e le delegazioni di fedeli delle parrocchie della forania. Sull’altare i sacerdoti arrivati da tutta la diocesi.
A don Antonio Parrillo, moderatore dell’Unità Pastorale Duomo-Annunziata-Santa Croce, il compito di leggere il messaggio di benvenuto scritto con don Franco Iannotta e don Guido Santagata. “In questo momento – le parole di don Antonio Parrillo rivolte a monsignor Mazzafaro -, come parroco moderatore dell’Unità Pastorale del Duomo – Annunziata – Santa Croce in Sant’Agata de’ Goti, sono solo voce, insieme ai co-parroci, don Franco e don Guido con cui abbiamo pensato insieme queste righe, (don Antonio Abbatiello ci ha accompagnati per volontà del vescovo Domenico solo nei primi mesi, esattamente fino al 31 gennaio scorso nei primi passi di questa nuova esperienza partita il 15 ottobre 2020) dei sentimenti e dei pensieri delle comunità della Forania di Sant’Agata de’ Goti coordinate dal Vicario Foraneo don Mimmo Napolitano e qui rappresentate dai confratelli parroci, dai delegati delle comunità parrocchiali, dai sindaci. Salutiamo in modo particolare, se potessimo uno per uno, coloro che sono fuori stasera, coloro che magari avrebbero voluto essere qui al posto nostro o almeno insieme con noi anche fisicamente e che invece, grazie ai mezzi di comunicazione, la Tv e i Social, ci seguono da casa e dai loro smartphone: grazie per la pazienza con cui accogliete e accompagnate questo tempo storico e sociale ancora così delicato e difficile che condiziona anche la nostra vita comunitaria di fede; anche queste nostre comunità sono state attraversate dal Virus che con la sua corona di malattia e morte, ha ferito e segnato indelebilmente la vita di diverse famiglie. Vi chiediamo perdono e vi assicuriamo oltre la preghiera anche l’impegno alla responsabilità di essere qui, fra le mura della nostra Concattedrale, non per noi stessi e non a titolo personale, ma a nome di tutti voi e per voi. Questo non ci assolva frettolosamente, né ci rassicuri facilmente! Ci auguriamo metta nei nostri cuori, nelle nostre mani e nei nostri piedi, l’inquietudine dell’andare incontro, del saper mettere a frutto e a servizio, oltre la porta di questo Tempio, oltre il tempo di questa celebrazione.
Carissimo Vescovo Giuseppe – ha proseguito don Antonio – permettici solo di segnalare a te e a tutti, tre presenze, tutte femminili, non perché va di moda o ci fa fare bella figura, ma semplicemente perché la Provvidenza, in diversi tempi, ce le ha donate e siamo umilmente fieri di custodire gelosamente e favorire con sollecitudine, come cose antiche e nuove del tesoro prezioso che abbiamo: le monache del Monastero del Santissimo Redentore voluto qui proprio da Lui, il nostro Alfonso Maria, il più santo fra i napoletani e il più napoletano fra i santi, almeno finora, non si può mai sapere!. Suor Anna Maria Ceneri e la comunità tutta sono il cuore vivo e pulsante di una preghiera costante, nascosta e gioiosa che pompa misteriosamente nelle vene invisibili delle nostre comunità la linfa vitale e abbondante della Redenzione. La direttrice e le operatrici della Casa delle Donne, del Laboratorio di Sartoria e della Ludoteca della Cooperativa Sociale di Comunità “iCare” della nostra Diocesi che a Villa Fiorita sono presenza necessariamente protetta e nascosta: sono un fiore rosso di campo spuntato nel prato di questo nostro territorio che spande dolce e forte il profumo di una presenza e una voce che troppe volte non ascoltiamo, quella di una sofferenza che si consuma tra le mura e le braccia di quella che dovrebbe essere una casa, un amore, una famiglia, una società. Le suore Francescane Elisabettine Bigie di San Ludovico da Casoria che inaspettatamente stasera sono qui rappresentate dalla Superiora Generale Suor Lissy Thattil: in questi mesi, grazie soprattutto alla caparbietà entusiasta e fresca del più giovane fra noi, don Guido, sono intercorse con lei lettere, messaggi, telefonate e incontri e siamo felici di ufficializzare proprio stasera il dono di poter avere da settembre, una comunità di tre suore di questa congregazione che si inseriranno nella vita pastorale e sociale delle nostre comunità parrocchiali e diocesana; non è per nostalgia di qualcosa che avevamo perso – Sant’Agata centro aveva avuto fino a pochi anni fa anche una comunità di suore di vita attiva – ma volontà di iniziare un percorso nuovo sulla base solida di una presenza di cui si, si sentiva la mancanza”.
Ha ricordato don Antonio Parrillo che, entrando nel Duomo, il nuovo vescovo ha baciato “una reliquia di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che, proprio il 20 giugno del 1762, 259 anni fa, di questo giorno, fu consacrato vescovo a Roma proprio all’età di 66 anni, mentre l’11 luglio successivo si insediava in questo Duomo, oggi pieno di gioia ti accoglie anche lui, perché qui tutto parla e ci ricorda ancora della sua straordinaria presenza tra noi: egli seppe portare nel cuore del suo popolo, in diversi modi, l’Evangelii Gaudium, la Gioia del Vangelo, oggi gioisce perché vede in te un suo successore. Fu Vescovo qui in un tempo non facile, segnato da un’epidemia, dalla carestia e da tanta povertà, la storia sembra ripetersi negli eventi negativi, ma per grazia di Dio si ripete anche nei doni di risposta a questi eventi. Ormai, dal 12 giugno, sei sulla nostra barca, sulle piccole navicelle dei nostri cuori e delle nostre vite, di uomini e donne, credenti e cercatori: aiutaci caro Vescovo Giuseppe ad innamorarci sempre di più di Lui, Gesù Cristo, nostro unico grande amore e unico Salvatore del mondo, e sempre di più del suo popolo di fratelli e sorelle che si trova numeroso fra i vicoli e le piazze dei nostri centri e delle nostre contrade! Benvenuto tra noi, Vescovo Giuseppe!”.
Prima della celebrazione, era stato il sindaco Salvatore Riccio a portare il saluto della Città di Sant’Agata. “Da questa terra nascono buoni frutti – le sue parole ricordando il ministero di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori – e buoni frutti, sono sicuro, porterà il suo apostolato che inizio in un momento speriamo di riapertura alla vita di un mondo che sembrava aver dimenticato la fragilità umana ma che è stato violentemente richiamato a riconsiderarla da questa pandemia che ha toccato in modo drammatico quasi ogni famiglia lasciando segni profondi e vuoti incolmabili”.
“La mia è un’amministrazione – ha aggiunto Riccio – che da poco si è incamminata nella direzione di realizzare un progetto ambizioso, il ritorno ad un’azione che ponga al centro di ogni scelta il bene comune ed il cittadino. Vorremmo ridare dignità all’impegno per gli altri e questo sono sicuro lo faremo con lei, con la sua chiesa diocesana, con la sua chiesa santagatese a cui va il nostro ringraziamento per quanto già sta facendo. Affidiamo a lei, alla sua preghiera, ed alla sua azione pastorale, questa nostro città nello pieno consapevolezza che con la sua presenza, qui, tra le mura di questo borgo, e di queste stanze, che hanno ospitato tanti suoi illustri predecessori, possa costituire uno stimolo per tutti noi a fare bene, a fare il bene».