“Si inserisce in un cammino voluto e pensato”, è stato definito così dall’Ufficio Diocesano per la Pastorale Familiare l’incontro svoltosi lo scorso 30 maggio, presso la sala Goccioloni delle Terme di Telese. Un momento di riflessione a conclusione dei quattro incontri foraniali di approfondimento sull’esortazione apostolica “Amoris Laetitia” di papa Francesco che ha visto, le relazioni di padre Sabatino Maiorano professore emerito di Teologia Morale Sistematica all’Accademia Alfonsiana di Roma, don Antonio Parrillo e la ‘sintesi’, non senza interrogativi, di mons. Domenico Battaglia.
Chiavi di lettura, punti di incontro, nuovi modelli di approccio pastorale. Potrebbe essere questo, l’indice, fornito da quest’incontro. Nuovi modelli da ricercare all’interno di documenti che hanno “cambiato” il volto della Chiesa divenuta sempre più ‘in uscita’, ‘missionaria’: “Gaudium et Spes” ed “Evangelii Gaudium”. Un percorso che la Pastorale Familiare ha avviato già e che ha bisogno, di essere alimentato perché come ricorda anche il Papa: «Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita (Amoris Laetitia n.37) ».
“Accompagnare, discernere, integrare” non sono solo tre verbi e non solo le tre azioni che l’Amoris Laetitia chiede di attuare, ma sono l’essenza del metodo pastorale. Tre verbi da declinare nell’ottica della misericordia e della cura. Da qui, parte anche il percorso che la Chiesa diocesana vuole continuare a portare avanti nei confronti delle situazioni di fragilità: una pastorale a corto raggio, tra lo sguardo globale e l’azione locale, con al centro la “relazione”. Una pastorale che parta dalle parrocchie: “è in questo spazio – ha fatto notare don Antonio Macolino, direttore dell’Ufficio insieme ai coniugi Diego Ruggiero e Ornella Di Santo – che la comunità si forma come ‘famiglia di famiglie’ e accompagna, discerne, integra, con delicatezza e tenerezza, guarda con attenzione alla persona come unica, impara l’attenzione agli ultimi non con lo spirito dell’assistenza pietistica ma come la realizzazione della sua vocazione a essere nel mondo”.
Una Chiesa che accompagna, discerne e integra, è una Chiesa che si fa carico, nella sua universalità e in forza del battesimo, di un impegno. Un impegno comune che richiede un approccio ‘multidisciplinare’ per “aprire a tutti e tutte un cammino verso la gioia del vangelo”. Un cammino inclusivo che preveda anche l’integrazione delle persone e situazioni “irregolari” tenendo conto anche delle trasformazioni culturali in corso.
In questo processo, di “graduale conversione”, di apertura nei confronti delle complessità e delle fragilità ma allo stesso tempo di comprensione della vocazione alla quale tutti siamo chiamati, non solo noi ma, in tale contesto, le famiglie e le coppie di sposi. È dunque necessario intendere il graduale cammino che la Chiesa ha fatto sul matrimonio a partire dal Concilio Vaticano II. “Il matrimonio – spiega padre Sabatino Maiorano – non è un contratto, ma un patto. Un patto come Dio lo ha fatto con noi. Un patto nel quale Dio stesso, ha messo in gioco il suo amore come fedeltà. Un patto nel quale non scambiamo alcun diritto sul corpo ma ci doniamo totalmente. Un patto nel quale costituiamo una unità di vita”,
Padre Maiorano ha poi espresso tutta la “gioia dell’Amore”, tutto il coraggio di andare lì dove ci sono fragilità e situazioni di abbandono: “Amoris Laetitia ci invita a continuare in questo presentare la bellezza e la gioia non solo del matrimonio. Se potessi dire qual è la sottolineatura centrale di tutto il documento: coraggio Chiesa, vai nelle strade, vai nelle piazze e dici a tutti che è possibile amare”. E ha concluso: “Non possiamo annunciare la famiglia se non ci impegniamo per creare le condizioni per formare la famiglia. Un impegno, questo, anche sociale e politico”.
Insomma, l’Amoris Laetitia traccia prima di tutto un nuovo metodo pastorale che ha innescato un processo di fermento senza precedenti. Uno stimolo ad “attrezzarsi” per essere lì dove c’è necessità. Compito di don Antonio Parrillo è stato, quindi, quello di presentare lo ‘status quaestionis’ della ricezione del documento in ambito nazionale ed internazionale.
Prima delle conclusioni di mons. Battaglia, la non prevista testimonianza di una donna. Una storia di fedeltà e coraggio che ha raccontato la sua esperienza di vita, di famiglia ferita. Di lotta quotidiana tra dignità e pregiudizi. La testimonianza di una donna ha ritrovato, nel sentirsi amata, la forza per andare avanti, per tornare a sperare.
Nella conclusione di mons. Battaglia, emerge con forza il lavoro che la Chiesa diocesana sta portando avanti, non la Chiesa dei “grandi eventi” ma, la Chiesa del “passo dopo passo”. “La Chiesa che stiamo costruendo – ha dichiarato don Mimmo – non è a numero chiuso, ma dalle porte aperte. Noi non dobbiamo sostituirci allo Spirito Santo. Noi non dobbiamo difendere la Chiesa è lo Spirito Santo che la difende, Noi dobbiamo avere il coraggio di difendere le persone, di stare accanto alle persone, soprattutto coloro che vivono la fragilità e la fatica. Il mandato, dunque, è quello del coraggio e dell’impegno, della fatica e del dubbio che fanno parte del cammino. Questo lo dico perché capita spesso nelle nostre comunità che chi inciampa viene schiacciato, chi ha un dubbio viene lasciato solo. Se una persona fa fatica, bisogna tornare indietro; perché il cammino lo si costruisce insieme”.
“L’Amoris Laetitia – ha aggiunto – va letta e colta nell’Evangelii Gaudium perché quando viene scritta da Papa Francesco, emerge una visione di Chiesa misericordiosa che poggia sul Vangelo. Chiesa in uscita, Chiesa missionaria non è solo quella edotta all’annuncio ma è quella che opera nei confronti delle miserie dell’umanità. La Chiesa che si fa ‘ospedale da campo’, che non ha paura degli accidentati e di essere accidentata è qualcosa che non ha solo una portata sociologica ed economica ma cristologica teologica. Sarebbe stata molto più comoda una pastorale con linee ben definite e senza sfumature che una pastorale senza ricette predefinite che deve insegnarci a leggere tra le righe di ogni storia personale”.
In conclusione, don Mimmo, parla della lentezza del seme. Una metafora che potrebbe sintetizzare e significare il senso dell’attesa, quel tempo giusto che può farti sì rallentare, ma anche recuperare senso alle cose. “Ripartiamo dal Vangelo, dall’ascolto tra di noi, dal farci carico, da quello che noi viviamo. Gli apostoli hanno visto, noi non dobbiamo parlare per sentito dire. Parlami del Cristo che hai conosciuto tu, non delle cose che hai imparato di lui ma da lui, Non dobbiamo portare gli uomini a Dio ma Dio agli uomini, quel Dio che ogni giorno bussa al tuo cuore e ti dice che ti ama”.
Michele Palmieri