Assemblea diocesana Ac, chiamati ad educarci a custodire il nostro prossimo

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Educarci attraverso il mondo digitale ed educarci alla giustizia e alla legalità per custodire l’umanità e la bellezza, con coraggio e passione, per ripartire sempre dal reale, senza alibi e senza paure. E’ un po’ questa la sintesi dell’Assemblea d’inizio anno dell’Azione Cattolica diocesana, che, in un’aula magna del Seminario gremita, ha sancito l’inizio del primo anno del triennio associativo 2017/2020 e che vedeva come relatori Anna Teresa Borrelli (responsabile nazionale uscente dell’Acr e coautrice del libro Ave “Crescere digitali – Orizzonti educativi per ragazzi connessi e felici”), Gianni Novello (già vicepresidente del Movimento Cattolico Internazionale per la Pace “Pax Christi”) e il vescovo della Diocesi don Mimmo Battaglia.

Dopo un breve momento di preghiera, guidato dall’assistente unitario don Pino Di Santo, nel quale è stata ricordata ed affidata al Signore la mamma di un’associata dell’Ac di Faicchio e la sua famiglia, e DSCF1858un video-saluto da parte del Presidente Nazionale di Azione Cattolica Marco Truffelli, che ci ha ricordato di vivere in maniera concreta le indicazioni di papa Francesco all’Ac con “Passione Cattolica”, c’è stato un brevissimo saluto del presidente diocesano Giovanni Pio Marenna, che ha introdotto gli argomenti che sarebbero stati trattati nell’ambito della sfida educativa, spiegando i motivi della scelta del titolo e, quindi, dei verbi “educare” e “custodire” (verbo quest’ultimo che accompagnerà l’Ac lungo quest’anno associativo).

E dal libro “Crescere digitali” e dal non demonizzare il web, in generale, e i social, in particolare, che non sono la causa, ma semmai una risposta ad un disagio più profondo circa le relazioni sociali e le relazioni intergenerazionali, è partita Teresa Borrelli nel suo intervento, affermando che: “Noi adulti dobbiamo riaffermare l’educazione. L’educatore chi è? Da chi viene mandato? L’educatore sono io, l’educatore sei tu, chiamati entrambi ad amare e ad educare. Un mandato ricevuto dalla comunità, che è essa stessa educatrice. Bisogna che i ragazzi siano accompagnati a crescere in questo tempo ed in questo spazio, qui ed ora. Non può esserci una distinzione tra educatore off-line e on-line, cioè non si può avere una vita fuori dalla sfera educativa e una dentro, ma l’educatore deve essere sempre sé stesso in ogni ambito sociale dove vive. Un educatore o lo è sempre o non lo è mai, cioè non può dire una cosa e, nella realtà, poi, farne un’altra”. La sua esperienza in Azione Cattolica l’ha aiutata a fare delle scelte coerenti con il Vangelo. Vivere l’Ac, infatti, è proprio mettere in pratica il Vangelo nel quale si crede. “Educare è un accompagnare a crescere. Siamo chiamati ad educare per continuare ad amare. E’ in questo modo che cresciamo anche noi”. In un video, intitolato “Diritto del nativo digitale”, Borrelli ha mostrato un decalogo dei diritti dei ragazzi che usano il web ed ha, a sua volta, illustrato un decalogo di come dovrebbe sempre comportarsi un vero educatore. “L’educatore deve essere sempre connesso con la realtà: attento, vigile, anche se silenzioso deve essere presente. Educa i ragazzi e i giovani a vivere la bellezza e l’autenticità delle relazioni, a fare esperienze di vita reali, a conoscere e a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Non si nasce educatori, ma è la comunità che chiama, dobbiamo educarci a questa chiamata, che non è solitaria o autoritaria, ma ci si educa insieme. I ragazzi hanno dei diritti che un buon educatore non può non dare: il diritto ad essere guidati (i ragazzi non hanno fiducia negli adulti perché, spesso, sono i primi a non essere veri e a non mettere in pratica ciò che dicono), il diritto di imparare a fare discernimento e fare le proprie scelte, il diritto di avere sempre un educatore che li accompagni a tempo pieno”. Alcune domande dalla platea sul rapporto tra ragazzi e famiglie, sulle relazioni intergenerazionali, sul come deve rapportarsi la comunità con educatori inadeguati e sulle regole come concetto-base da seguire per il mondo del web e dei social, così come nella società, ha fatto concludere questo primo momento sul fatto che tutti siamo sempre chiamati ad educarci a custodire il nostro prossimo.

DSCF1857Gianni Novello, invece, che aveva appena terminato il corso formativo per gli operatori della Casa della Pace, parlando della propria esperienza nella comunità di Taizé in Francia, dove ha avuto come maestri e amici figure come Frère Roger e don Tonino Bello, ha espresso un senso di gratitudine per tutto ciò che ha imparato, rispettando l’altro, il diverso per credo religioso, per idee, per gusti sessuali. “Ogni religione ha un modo di esplicitare il proprio credo, ma hanno un punto in comune: la pace. Da cosa si capisce che una società è più civile? Dal come viene trattata la parte più povera, partendo dall’io che si apre al noi: il dolore negli ospedali, nelle frontiere di guerra, nelle periferie. Da come vengono guardate le vittime del disagio e della violenza, le vittime delle persecuzioni e dei soprusi. Ho imparato in questi anni che bisogna far precedere sempre i gesti alle parole, che bisogna imparare a guardare i volti, che bisogna mettersi nei panni della sofferenza dell’altro. Ho imparato, infine, che di fronte alle cose che non vanno bisogna indignarsi: per la dignità della persona io alzo anche la voce. Il Vangelo – ha concluso – ci educa a relazioni pure, limpide, autentiche, umane”.

Educarsi ad esercitare la prossimità e proporlo per contagio. Partendo da un atteggiamento, ci ha ricordato il vescovo Mimmo, l’undicesimo dell’ideale decalogo dell’educatore: mettersi in discussione con tanta umiltà, coltivando relazioni autentiche e il gusto della parola e dello sguardo. “Nostro compito di educatori – ha spiegato don Mimmo Battaglia – è quello di educarci a ricominciare dall’ascolto reale, comprendere che se sempre più spesso ci ritroviamo a parlare da dietro uno schermo è a causa del nostro analfabetismo emotivo e relazionale che ci rende difficile ogni rapporto reale, che ci fa sentire costantemente indifesi e minacciati, giovani ed adulti allo stesso modo. Ripartire dal reale, senza alibi e senza paure. Vivere pienamente il nostro tempo e persino le nostre contraddizioni, così da diventare compagni di strada credibili ed accettabili per i nostri ragazzi”. Il vescovo della Diocesi ha ritratto l’identikit dell’educatore: “Ogni educatore sia umile servo della verità e non banditore di sé stesso. Non creiamo prodotti, ma costruiamo uomini e donne nuove, capaci di sfidare il futuro. Ciò che insegniamo e trasmettiamo oggi, la società lo ritroverà germogliato domani. In una responsabilità che coinvolge il presente ed il futuro. Responsabilità e credibilità, è quello che ci chiedono i ragazzi e, in particolare, ci chiedono: non la competizione ma la competenza, non l’efficienza ma l’efficacia, non la quantità ma la qualità, non le alte mura costruite dall’egoismo ma i giardini aperti, non l’omologazione ma la diversità, non lo sfruttamento ma il servizio, non il gigante ma il bambino, non l’essere schiavi ma il camminare a testa alta”. L’educatore sa che l’unica chiave che apre tutte le porte è quella dell’amore. “Non dobbiamo fare gli educatori per mestiere – ha detto con forza il vescovo – ma essere educatori, riempiendoci di senso, di reale, di umanità. Noi adulti abbiamo il dovere di custodire quella speranza, alla luce della sacralità accesa nell’altro”. Testimoniando con esempi concreti potremmo diventare uno strumento educativo per la giustizia e per la legalità perché, come ha evidenziato sempre don Mimmo, “il sogno non è fuga, ma progetto, strada da percorrere…”. E questo tempo è il tempo dei sogni che diventano segni. “L’educazione – ha concluso il vescovo nel suo intervento – è la capacità di coniugare sogno e segno. Educare è dare ai ragazzi un sogno alto, che in realtà loro custodiscono già nel loro cuore, accompagnandoli per renderlo segno. Il compito educativo è restituire libertà alla natura dell’uomo, dargli la possibilità ed i mezzi per diventare ciò che esso è. L’educazione è il massimo della verità nel massimo della libertà”. E’ questo custodire ininterrottamente l’altro che ci rende senz’altro educatori più veri, più credibili, più umani, più presenti al tempo che viviamo con coraggio e fiducia.

foto: Mena Ioele