La situazione dei Centri di Accoglienza nel Sannio tra criticità e buone pratiche

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Un dossier stilato da “Oltreconfine – scuola d’italiano per migranti”, nell’ambito della campagna nazionale “LasciateCIEntrare” (nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE e nei C.A.R.A., oggi si batte per la chiusura dei CIE, l’abolizione della detenzione amministrativa e la revisione delle politiche sull’immigrazione) con il sostegno di Sinistra Ecologia e Libertà, il Centro Sociale Autogestito Depistaggio, Exit Strategy, Mobilitazione Generale degli Avvocati, Unione degli Studenti, FabBene Progetto Civico e l’Arci Benevento, ha fotografato la situazione dei Centri di Accoglienza Straordinaria nella provincia di Benevento, tramite un monitoraggio effettuato da volontari e attivisti.

Il dossier mette in luce criticità e buone pratiche del sistema di accoglienza nel Sannio, relativamente sia ai centri, sia all’integrazione dei richiedenti asilo, sia al riconoscimento della protezione internazionale. Non sono mancate anche alcune proposte, rivolte alla Prefettura e agli enti locali, per migliorare la situazione dell’accoglienza, sostenere l’integrazione e rendere la presenza dei richiedenti asilo vantaggiosa per il territorio e per i richiedenti stessi.

L’ACCOGLIENZA NEL SANNIO TRA RISPETTO DELLE REGOLE E INADEMPIENZE. In provincia di Benevento la situazione dell’accoglienza è eterogenea. In qualche caso i centri di accoglienza rispettano quasi completamente il contratto d’appalto (bando della Prefettura di Benevento prot. n. 28351 del 15 settembre 2015), ma in molte occasioni si sono riscontrate inadempienze. Dal punto di vista dell’alloggio, i problemi maggiori sono il sovraffollamento di alcuni centri di accoglienza e l’ubicazione di molti di loro in zone isolate e difficili da raggiungere. In questi casi l’inclusione socioculturale dei richiedenti asilo si rivela impossibile, giacché hanno difficoltà a raggiungere i centri urbani e a entrare in contatto con persone del posto. Inoltre, le dimensioni di alcune strutture (che ospitano fino a 130 persone) rendono difficile la convivenza. Un ulteriore ostacolo all’inclusione socio-culturale è il predominante atteggiamento di indifferenza delle popolazioni locali: gli abitanti delle comunità, infatti, difficilmente dialogano in maniera costante e costruttiva con i richiedenti asilo. Circa il vitto, le situazioni più soddisfacenti sono quelle nelle quali i richiedenti asilo hanno la possibilità di cucinare da sé i pasti. Negli altri casi si registrano lamentele per la scarsa varietà del cibo. In nessun caso, però, si sono riscontrate carenze gravi nella fornitura dei pasti. Risultano regolari dappertutto le erogazioni del pocket money di 2,50 euro al giorno; ritardi e carenze si riscontrano nella fornitura dei vestiti e degli altri beni previsti dal contratto di appalto. Il personale è spesso poco esperto e non adeguatamente formato, sebbene non manchino eccezioni significative. In diversi casi, inoltre, il personale è insufficiente. Dal punto di vista dell’assistenza sociosanitaria, la situazione è piuttosto eterogenea, ma in tutti i casi i richiedenti asilo sono assistiti in caso di ricoveri in ospedale; tutti, inoltre, dispongono di un medico, almeno sulla carta. Non sempre, però, i richiedenti asilo sono in condizioni di fruire dei servizi che sono loro offerti. Molto spesso l’insegnamento della lingua italiana è deficitario e solo rarissimamente produce effetti apprezzabili, giacché la maggior parte dei richiedenti asilo non è in grado di parlare in italiano, nemmeno in maniera rudimentale. D’altro canto, l’assenza di un dialogo costante con la popolazione locale priva i richiedenti asilo di ogni interesse ad apprendere la lingua italiana. Anche l’orientamento legale è spesso carente, giacché molto spesso i richiedenti non sono informati sul loro status e sulla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Dal punto di vista dell’integrazione economica, è noto che in base alla legge (d. lgs. n. 142 del 18 agosto 2015) i richiedenti asilo hanno diritto a lavorare dopo due mesi di permanenza sul territorio. Nessun richiedente, però, ha un lavoro regolare. Alcuni fanno lavori saltuari, in genere sottopagati, ed è diffusa, soprattutto nel capoluogo, l’abitudine di chiedere elemosine. Il problema maggiore è dato dalla lunga attesa per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.
LE PROPOSTE. Come dicevamo prima, in questo report redatto sono state avanzate alcune proposte per rendere l’immigrazione proficua sia per i migranti, sia per il territorio che li accoglie. Queste le proposte rivolte alla Prefettura di Benevento e ai comuni, realizzabili con un dispendio minimo di risorse umane e finanziarie:
a) Prefettura – Snellire e uniformare le pratiche burocratiche; garantire maggiore puntualità nella consegna dei permessi di soggiorno. – Rendere più facile l’accesso ai centri di accoglienza e più frequenti i controlli. – Tenere conto delle dimensioni e dell’ubicazione delle strutture, nonché della mobilità dei richiedenti asilo, nelle prossime gare d’appalto. – Attivare uno sportello (o un numero verde) per i richiedenti asilo.
b) Comuni – Attivare strumenti per l’inclusione socio-culturale dei richiedenti asilo, anche in collegamento con l’associazionismo e con i gruppi sportivi. – Favorire il dialogo interculturale e la comprensione dei fenomeni migratori, anche mediante l’utilizzo della memoria dell’emigrazione italiana.
COME HANNO RISPOSTO COOPERATIVE E MIGRANTI. Il monitoraggio nel Sannio si è svolto senza difficoltà, anche perché i responsabili dei CAS erano stati avvertiti con anticipo dell’arrivo dei visitatori. Si è avuta l’impressione che le visite, in alcuni casi, abbiano «preoccupato» le cooperative proprietarie dei centri. L’atteggiamento del personale, tuttavia, è stato collaborativo e non vi sono stati problemi nell’accesso alle strutture (sia agli spazi esterni, sia agli spazi interni); in molti casi operatori e responsabili erano attenti a quanto venisse a detto tra i richiedenti e i visitatori. Spesso è stata offerta ai visitatori la possibilità di recarsi altre volte nella struttura. L’atteggiamento dei richiedenti asilo ospitati nei CAS è stato eterogeneo: alcuni si sono mostrati aperti e disponibili, altri più diffidenti. I visitatori, a loro volta, hanno assunto un atteggiamento collaborativo, mostrandosi interessati soprattutto a conoscere i richiedenti asilo e a organizzare insieme a loro iniziative per favorire l’integrazione. In tutti i centri visitati sono stati stabiliti contatti con gli ospiti. Il monitoraggio si è rivelato positivo, sia perché ha consentito ai richiedenti asilo di interagire e prendere contatto con persone diverse dal personale dei CAS, sia perché ha fatto sì che i gestori dei centri non considerassero le strutture come luoghi chiusi e «privati» e che si sentissero, di conseguenza, tenuti a rispettare i diritti degli ospiti, sulla base del contratto di appalto.
IL MONITORAGGIO NELLA NOSTRA DIOCESI. Per questo dossier, nel territorio della nostra Diocesi è stato visitato un solo Cas per richiedenti asilo, e cioè il “Damasco 6” ubicato a Castelvenere in via Fontana San Marco e gestito dal Consorzio Maleventum, per conto della Prefettura di Benevento a seguito di aggiudicazione delle gare d’appalto, insieme ad altre 12 strutture in tutto il Sannio. Le visite sono state autorizzate dalla stessa Prefettura di Benevento e, come detto, i gestori dei CAS sono stati avvertiti con diversi giorni di anticipo. Il CAS “Damasco 6” di Castelvenere è composto da un grande edificio a tre piani, diviso in miniappartamenti (ognuno formato da camera da letto, cucina/soggiorno, balcone e servizi). La struttura, attiva da circa un anno, dista alcune centinaia di metri dal centro urbano di Telese Terme e alcuni chilometri da Castelvenere. Il CAS ha una capienza di circa 70 posti, ma al momento ospita 125 richiedenti asilo. Gli ospiti sono arrivati in Italia da circa un anno; sono già stati ascoltati dalla Commissione territoriale e in larga parte hanno ricevuto il diniego della domanda di protezione internazionale; una decina di richiedenti è in attesa di risultato; in due casi la Commissione ha accolto la domanda. Gli ospiti provengono per lo più dall’Africa occidentale (Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Ghana, Gambia), ma non mancano alcuni mediorientali (Pakistan). I richiedenti sono in larga maggioranza di sesso maschile, ma sono presenti anche alcune donne e una famiglia. Gli uomini risiedono al primo e al secondo piano; la camera delle donne e quella della famiglia sono allocate al piano terra, dove si trovano anche alcuni ambienti comuni. In ogni miniappartamento (piani 1 e 2) sono alloggiate sette persone: in genere nella camera da letto sono collocati due letti a castello; un altro letto a castello e uno singolo sono nella cucina. Il sovraffollamento è evidente, ma i servizi (compresa la linea internet) sono tutti funzionanti. Le camere sono assegnate, in grandi linee, su basi etnico – nazionali. Il vitto è preparato dai richiedenti stessi, che cucinano nei rispettivi appartamenti gli alimenti forniti dal CAS. Nonostante la ripetitività del cibo (in genere sono forniti, a rotazione, riso, pasta, pollo, wurstel, tonno) gli ospiti sono soddisfatti. In particolare, ritengono migliore la situazione attuale rispetto a quella dei primi mesi di esistenza del Centro, quando era il personale a occuparsi della preparazione dei pasti. Le forniture di vestiario e prodotti per l’igiene in genere sono regolari, ma i richiedenti acquistano altri beni in proprio. Anche il pocket money è erogato regolarmente.
Nella struttura si tengono corsi di italiano quattro giorni a settimana (non tutti gli ospiti, però, si sono dichiarati soddisfatti dell’insegnante). Alcuni richiedenti vanno a scuola a Telese Terme. Qualche ospite parla un italiano comprensibile, ma la maggior parte non ne è capace. Dal punto di vista dell’assistenza sanitaria, stando a quanto dichiarano gli ospiti stessi, non si riscontrano problemi in merito a tessera sanitaria, visite, forniture di farmaci, ecc. Gli ospiti sono seguiti dall’avvocato dei centri Damasco e, in genere, sono abbastanza informati sulla loro situazione legale. Qualche richiedente fa lavori saltuari, ma tutti lamentano la mancanza di occupazione. I richiedenti si spostano quotidianamente a piedi o in bicicletta, per raggiungere Castelvenere o Telese. Il CAS, inoltre, dispone di un pulmino da 22 posti, con il quale accompagna gli ospiti a Benevento quando hanno da sbrigare pratiche in Questura o per altri casi. Il personale del Centro è composto da operatori e da altre figure professionali (mediatori culturali, insegnanti, ecc.). Il responsabile è di origine centrafricana e risiede stabilmente nella struttura; vi sono anche altri operatori notturni. In sostanza, tutti gli ospiti hanno dichiarato di non avere difficoltà all’interno del CAS, soprattutto per quanto concerne alloggio, vitto e assistenza socio-sanitaria. Hanno espresso lamentale, invece, per la mancanza di lavoro e per la situazione legale. L’interazione tra i profughi e gli abitanti di Castelvenere e Telese è scarsa. I profughi interagiscono molto raramente con la gente del posto. Una parte di loro trascorre le serate giocando a calcio su uno spiazzale di asfalto davanti all’edificio. La visita al Centro si è svolta in maniera molto libera: ai volontari e agli attivisti è stato consentito l’accesso anche senza accompagnamento da parte del personale. All’inizio i richiedenti asilo hanno mostrato una lieve diffidenza, ma dopo il primo impatto hanno assunto un atteggiamento di maggiore fiducia nei confronti dei visitatori.