Tendi la tua mano al povero

IV Giornata Mondiale dei Poveri, 15 novembre 2020
11-11-2020

Carissimi,

mentre scrivo penso a quanti avvertono nel loro cuore l’inquietudine della speranza. Questa è già realtà di grazia, è la capacità donata di essere nel presente e di provare a leggerlo nella sua complessità, è capacità di chiedere la sapienza, la misericordia di Dio.

Mentre lo sguardo si allarga ad abbracciare i volti che nelle nostre comunità sono stati segnati prepotentemente dal Covid, penso anche ai sacerdoti che hanno vissuto o vivono la quarantena, penso alle ansie e alle preoccupazioni per le misure anti-contagio; penso alla precarietà lavorativa e di vita che sta diventando normalità per molti giovani, per troppe famiglie; penso ai genitori che sono impegnati nella vicinanza maggiore ai figli, soprattutto se piccoli, in questo momento delicato per la scuola; penso alle urgenze che viviamo su vari fronti, alle disuguaglianze che si sono accentuate, sociali ed economiche; penso con insistenza al rischio, che corriamo tutti, di non vedere, di passare accanto a povertà sommerse che non trovano ascolto e presa di responsabilità in noi.

«“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32)»: si apre così il messaggio di Papa Francesco per la quarta Giornata mondiale dei Poveri. Arriva come segno della misericordia di Dio per tutti noi. Arriva a ricordarci che è possibile condividere la vita anche e soprattutto in questo momento di dolore e di prova. Arriva ad annunciare ancora la verità e la bellezza della nostra vocazione, il senso della nostra vita che si compie nella cura dell’altro, nel preferire il debole, nel diventare dono per l’altro. L’invito a tendere la mano al povero è frutto della comunione già accolta sulla terra e dell’Alleanza che Dio continua a volere con l’uomo, dalla parte dei deboli. Lo Spirito di Dio rinnova in noi la consapevolezza di figli amati, perdonati, chiamati a diventare fratelli.

“Tendi la tua mano al povero”: queste parole risuonano nei nostri cuori con intensità diverse, interrogando la nostra memoria, la nostra libertà; sono «come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barriere dell’indifferenza». Facciamo memoria oggi dei tanti volti che hanno reso umana la nostra vita e ci hanno svelato il volto paterno, fraterno, di Dio! È questa la fonte della nostra speranza che fa aprire mani stanche e aride e le colma di vita e di speranza. Facciamo memoria dei tanti segni di carità che hanno seminato speranza nel nostro mondo in quest’ultimo tempo e che oggi ci fanno tendere le mani a Dio perché tutti abbiamo bisogno del suo sguardo che raccoglie tutti, che si accorge del respiro profondo e di quello affaticato, della solitudine dei malati e della fatica dei medici, della paura di perdere le persone amate e della capacità di accompagnare con l’affetto e da lontano. Sei tu Signore il Dio della tenerezza. Sei tu che continui per primo a rispondere, a dire il tuo “eccomi!” all’uomo e alla storia. La nostra tenebra, per opera tua, brilla come il meriggio… (cfr Is 58,9-10). Continui a fare appello al nostro senso di responsabilità: accogli il dono che è in te, perché diventi dono per altri, sguardo nuovo sulla realtà, sguardo profetico, che dà ragione della vita dei poveri, della speranza di chi soffre, della fiducia di chi si affida!

La pandemia ha accentuato l’inconsistenza di un sistema malato che produce morte. Non possiamo più chiudere gli occhi perché in questo sistema ci viviamo e dobbiamo scegliere quale stile di vita assumere, preferire. Non possiamo più rimandare. La nostra fede ci chiede onestà di sguardo.

Questa celebrazione mondiale segna decisamente la via del rinnovamento pastorale che Papa Francesco continua ad affidare a tutta la Chiesa, al mondo intero, anche a noi.

Il pensiero sociale della Chiesa ci ricorda il dono e la responsabilità. C’è una profonda trasformazione da vivere prima di tutto in termini di consapevolezza: il dono della comunione chiede il sì nella responsabilità di accoglierla, di viverla come fine e come criterio nella nostra concreta esistenza. La via della comunione, non possiamo nascondercelo, è anche la via della croce. Ha le sue durezze. Ma è anche la via per diventare uomini e donne di questo tempo, persone che si riconoscono a servizio gli uni degli altri, persone capaci di tracciare ancora oggi cammini di giustizia, di solidarietà, di pace. Interrogarsi sull’essenziale è accogliere la carità come sguardo critico, lievito di rinnovamento e cambiamento, perché insieme possiamo impegnarci a capire che sarebbe un grande errore pretendere di tornare a fare le cose di prima, di tornare a vivere come prima della pandemia.

Condivido con tutti voi la preoccupazione di discernere che cosa ci è possibile fare, come persone e come comunità, per riuscire a individuare le nuove forme di povertà invisibili, per raggiungere chi non ha voce, per aiutare chi ha perso la speranza. Il grido silenzioso del povero arriva al Padre… Ed è proprio quel grido che non può non farci pensare al grido inascoltato di tanti che nel mondo continuano a soffrire la fame, la guerra, la violenza, l’abuso, l’esclusione. Ci è chiesto di volgere lo sguardo a questi volti segnati dalla vita. Ci è chiesto di conoscere i sistemi in atto che regolano la globalizzazione e che non riescono a risolvere situazioni disumane di povertà, di prostrazione. Abbiamo il dovere, seppure in ritardo, di fermarci a riflettere, a studiare, a farci carico di quanto capiamo attuando criteri che permettano ancora di credere e di sperare, che ridiano dignità, che promuovano l’umano, la vita dei più deboli, dei poveri, dei giusti. Desidero che questa attenzione fondamentale alle fragilità diventi sempre di più anima, punto di vista critico, delle nostre prassi pastorali. Il Papa afferma: «La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli (cfr Mt 25,40)». Sono proprio le nostre comunità che hanno bisogno di fare esperienza di una presa di responsabilità condivisa: i poveri ci sono e dobbiamo chiederci perché ciò continua ad accadere.

Non sprechiamo questa occasione, chiediamoci che cosa avevamo bisogno di ritrovare, di capire in maniera nuova, e che cosa ci è chiesto di perdere, di lasciare. Concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare la tentazione dell’indifferenza vuol dire proprio questo. Attiviamo la nostra creatività per imparare a leggere oggettivamente i bisogni. Solo in questo modo potremo sperare di essere realmente compagni di strada, fratelli, e potremo toccare con mano le falle di questo sistema che non è un dogma e che aspetta il nostro contributo per essere cambiato alla radice nella nostra vita. Lo scandalo dello spreco, dell’accumulo di ricchezze nelle mani di pochi, della mancata distribuzione delle risorse, segnano e impoveriscono il nostro mondo. Ha ragione il Papa a ricordare il grido della nostra casa comune.

La nostra vita ha bisogno di tornare all’essenziale delle relazioni, della condivisione, del racconto e della narrazione, dell’accoglienza, della solidarietà, dell’ospitalità. Abbiamo fame tutti di parole vere, di parole che si vedano, che lascino cioè trasparire il senso, le possibilità, la bellezza di poter vivere insieme. E abbiamo bisogno di parole che sappiano contagiare gli sguardi di solidarietà, sguardi capaci di chiedere e di dare fiducia.

Viviamo sulla nostra pelle il conflitto tra la salute, il lavoro, l’economia; ci sentiamo sottratta spesso la serenità per discernere le priorità in quanto tutto è urgente e ciò che è importante e centrale va in secondo piano. Stiamo vivendo la perdita di persone anziane, sagge, di coloro che erano, sono, per noi, i riferimenti di una formazione delle coscienze ancora possibile. Il virus ci sta impoverendo, ci sta sottraendo la vera ricchezza. Siamo prostrati da tanto dolore. Ma il Signore ci ripete: “Tendi la tua mano al povero!”. Prenditi cura di tutto questo, non lasciare che neppure una tua lacrima vada persa, neppure un tuo dubbio, una tua paura. Raccogli…!

Invito i sacerdoti in questo momento a vivere più intensamente l’incontro personale con la Parola di Dio, ad ascoltare la sofferenza della gente, per poter tornare a celebrare la vita concreta con le sue luci e ombre. Chiedo di spendere a piene mani parole compromesse con la vita, con il Signore, con le fatiche degli uomini e delle donne di questo nostro tempo. Il discepolo di Gesù non fugge la povertà e i poveri: li sceglie. È importante che in questo momento la nostra gente, i nostri giovani, si accorgano di quello che siamo chiamati a vivere. Non abbiate paura di condividere quel Gesù povero che avete scelto. Un sacerdote sa che accogliere la dimensione della povertà nella sua vita vuol dire sporcarsi le mani con chi è nella povertà. Questo è veramente il tempo della tenerezza. La tenerezza è il vero volto del coraggio. Ed è la tenerezza che incontro spesso nei vostri volti. Sono certo che siamo tutti uniti nel desiderio e nella preghiera che un sapore nuovo, una luce nuova, risveglino la capacità di una cura radicale come segno più vero dell’amore di Dio in noi. Abbiamo bisogno di decidere come orientare il nostro sguardo per riprendere a camminare insieme. Abbiamo bisogno di farlo ora.

È importante in questo tempo coinvolgere tutti coloro che nell’attenzione alle norme anti-contagio si sentono di mettersi a servizio di chi ha più bisogno. Si attivino reti di solidarietà per leggere e intervenire sul territorio, reti di famiglie o del vicinato. Non illudiamoci di aspettare che il povero bussi alla nostra porta, ora più che mai è necessario andare incontro, chiedere, interessarsi, ascoltare.

Chiedo a tutti coloro che hanno visto i segni di una solidarietà possibile e vera, di accoglierli nella loro vita, di dire di sì, di accogliere l’operare di Dio. Perché Dio opera così, affidandoci fratelli. Chiedo davvero a tutti, a ciascuno di noi, di fare tutto quello che ci è possibile perché, laddove siamo chiamati a operare, non resti indietro nessuno. Tutti possiamo renderci conto che questo tempo è prezioso se lo impieghiamo a servire e a riflettere insieme, a pensare, a discernere proprio a partire da quanto e da come stiamo vivendo. È importante non sottrarsi al confronto, anche alle piccole occasioni che abbiamo per sentirci tra noi.

Ci vuole coraggio a pensare così, a pregare così. Anche il nostro modo di amare credo abbia bisogno di conversione, per raccogliere l’eredità di chi non è solo morto ma ci sta chiedendo di restare in piedi, perché altri possano continuare a vivere, nella consapevolezza del dono, nella responsabilità di accoglierlo, nel privilegio di consegnarlo ad altri. Ci vuole coraggio a riconoscere nel povero un fratello, a permettere al povero di essere nostro fratello. È il coraggio che ci è chiesto. Sono proprio i più fragili oggi a indicarci la via della vita, del cambiamento possibile e necessario. Tendi la tua mano: è questa la vera rivoluzione nella nostra vita, il vero capovolgimento dei nostri criteri! È imparare a sperare, a credere, ad amare, con l’altro, con gli ultimi… che ci precedono nella via della comunione.

Il Signore benedica in ciascuno di noi l’attesa fiduciosa di tornare a gioire nella festa dell’incontro, nella consolazione di aver accolto, nel concreto della nostra esistenza imperfetta e provata, Gesù Cristo come l’unico Signore della nostra vita.

Il Signore abbia pietà di noi, ascolti la nostra preghiera… e la compia! Amen!

don Mimmo, vostro Vescovo