Solenne Azione Liturgica “in Passione Domini”

Chiesa Cattedrale, Cerreto Sannita (BN)
15-04-2022

 

Care sorelle e cari fratelli, con l’adorazione della croce entriamo in un buio profondo, che avvolge la vita di tanti. “Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio” racconta il Vangelo di Luca. Il sole si eclissò, il buio avvolge la vita, la notte scende nel cuore, lo riempie di rassegnazione, disperazione, rabbia; alla fine si finisce per non riconoscere più il prossimo. Eppure noi siamo fatti per la luce, veniamo alla luce, cerchiamo la luce. Se la guerra è il buio che spegne la vita, che la nasconde, la pace è luce che la accende tutta, la permette, desidera e prepara il futuro. Quanto abbiamo bisogno di Gesù, luce del mondo, in questa notte di pregiudizi che giustificano l’odio e lo producono, di folle affermazione di sé contro qualcun altro!

Dopo essere passati attraverso il buio della pandemia, in questo tempo sperimentiamo la notte dove vince quello che Gesù chiama il “potere delle tenebre” (Lc 22,53): è la pandemia della guerra che cancella la vita e priva di qualsiasi dignità la persona.

Il potere delle tenebre annulla il valore della vita, spegne i sentimenti di umanità, fa morire la pietà, fa crescere l’euforia delle armi, come una droga che trova soddisfazione nella forza e nella violenza che stordisce e acceca. Ma nella storia, sempre, chi di spada ferisce di spada perisce, perché la spada non dà la vita, la toglie solamente. E noi amiamo la pace perché amiamo e difendiamo la vita. Gesù dice BASTA ai discepoli che vogliono difenderlo con la spada, eppure sembra inascoltato. Il male sembra prevalere: “Questa è l’ora vostra e l’ora del potere delle tenebre” dice Gesù a quelli che erano andati ad arrestarlo nell’orto degli ulivi.

Come le donne del Vangelo anche noi, ascoltando il Vangelo della Passione, ci siamo messi dietro la sua croce per accompagnarlo sulla via del dolore Poteva fuggire, poteva usare la spada, come chiedevano i suoi amici, poteva sottrarsi a quel supplizio di solito inflitto ai criminali, poteva salvare se stesso, ma non lo ha fatto. Non per disprezzo della vita, non per una forma di eroismo cieco, ma solo per amore. Se vogliamo salvarci tutti, se vogliamo vivere tutti, se vogliamo essere felici tutti, siamo chiamati a uscire da noi stessi mettendoci dietro la croce di quest’uomo morto per noi. Non c’è felicità per chi se ne va per conto suo, dimentico del dolore e della croce del prossimo, soprattutto dei bisognosi e dei poveri. Non c’è felicità senza tener conto e dare valore alla felicità degli altri. Per questo la Chiesa da sempre ha visto nella croce del Signore Gesù il cuore della sua fede. La salvezza va cercata nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, croce che è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23).

Il profeta Isaia ci ricorda: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello”. Sì, fermarci davanti alla croce del Signore ci aiuta a fermarci davanti alle croci di tanti uomini e donne del mondo: sono le croci dei sofferenti, dei malati, degli anziani lasciati soli e dimenticati, dei carcerati, dei perseguitati, dei poveri, dei profughi che scappano dall’Ucraina e dai tanti paesi afflitti dalle guerre, dalla fame, dalle malattie. Sono tanti, una schiera senza numero, e spesso tanti sono dimenticati e abbandonati, come quel giorno a Gerusalemme fu abbandonato Gesù. Solo alcune donne e un giovane discepolo rimasero con lui. Anche noi questa sera abbiamo scelto di rimanere con lui. Per questo siamo qui a celebrare il venerdì santo.

Lo sappiamo, non è facile fermarsi con chi soffre. Il dolore, la fragilità, la morte, mettono paura e fanno fuggire. Per questo molti sono lasciati soli. Davanti alla morte è facile rimanere quasi privi di parole e di gesti di amicizia. La Chiesa nostra madre però ci viene incontro, e ci dona le parole da dire, mentre il Vangelo della Passione del Signore ci insegna i gesti di compassione di cui il mondo ha bisogno.

Le parole sono innanzitutto le parole della preghiera. Oggi nelle Chiese non si celebra la Santa Messa, perché oggi si celebra l’unico grande sacrificio, che ha salvato il mondo dalla morte eterna e dal peccato, quello del Signore Gesù sulla croce. Anche la preghiera si fa essenziale: è la preghiera universale, nella quale la Chiesa raccoglie sotto la croce tutta l’umanità, senza distinzione di fede e di cultura. Pregare significa non aver rinunciato a sperare. Il Papa ha voluto far aggiungere alle preghiere universali di sempre anche una preghiera per la pace nel mondo. A partire dalla sofferenza di quel povero condannato e dei poveri del mondo, partendo dai piccoli e dai deboli, si può sperare di tornare ad essere un’unica famiglia, e non essere più uomini e donne frammentati dall’individualismo e dall’amore per se stessi.

Poi ascolteremo la preghiera del “popolo mio”, nella quale il Signore stesso chiede: “Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta”. Sono domande, cari fratelli e sorelle, rivolte a ognuno di noi personalmente, perché siamo tutti responsabili della sua morte a causa del nostro peccato. Troppo spesso ci crediamo giusti e buoni, senza chiederci se non contribuiamo anche noi ad appesantire la croce di Gesù con l’indifferenza e l’egoismo.

Infine ci sarà l’adorazione della croce, davanti alla quale tutti ci inchineremo, senza poterla baciare, ma con grande rispetto, per imparare a fermarci e ad inchinarci davanti alle croci di questo nostro mondo.

Nel Vangelo della Passione sono pochi coloro che rimangono con Gesù. Pietro prova a restare con lui, ma viene preso dalla paura e nega di conoscerlo. Gli altri fuggono tutti. Fuggire davanti al dolore, esorcizzarlo, evitarlo per non farsi contaminare, è quasi la regola del nostro mondo, che abbandona i sofferenti fino a togliere la vita quando si pensa che non vale più niente. Incontriamo però nel vangelo un certo Simone di Cirene, un contadino che costringono a portare la croce di Gesù. E’ un gesto semplice, che egli non rifiuta. Portare la croce degli altri rende più leggero il peso della propria croce e sostiene coloro che non ce la farebbero a portarla da soli. Troviamo poi alcune donne, che rimangono con Gesù fin sotto la croce. Tra loro c’erano Maria di Magdala, Maria Salome, insieme alla madre di Gesù, e con loro il giovane apostolo Giovanni. Sono persone deboli, disarmate, ma vogliono bene a Gesù. Come possono abbandonarlo nel momento della sofferenza? Nel cuore hanno la stessa compassione che hanno imparato proprio da Gesù. La compassione e la misericordia si imparano alla scuola del Vangelo e stando accanto a chi soffre. I poveri ci evangelizzano e ci insegnano ad abbassarci e ad amare, lasciando da parte le paure e l’amore per noi stessi. I poveri ci insegnano di cosa c’è veramente bisogno nelle difficoltà della vita. Accanto alla sua croce ci sono altre due croci da cui pendono due ladri. Uno lo insulta, l’altro si rivolge a Gesù con una preghiera: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gesù gli rispose: “In verità ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. E’ la vittoria di chi è misericordioso, di chi persino nel momento della sofferenza sa ascoltare la preghiera di qualcun altro, di chi non mette le proprie difficoltà davanti alle difficoltà degli altri. Infine sotto la croce troviamo un soldato che si commuove e capisce chi è quell’uomo da come lo ha visto sulla croce e sa dire “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”.

Volgiamo il nostro sguardo a Colui che hanno trafitto, Gesù. Le immagini di morte che ci raggiungono dall’Ucraina sono stazioni della via dolorosa di Gesù. Esse ci chiedono di restare con Lui e con loro, di stamparle nel cuore, di cambiare dissociandoci da un mondo come questo, anche negli atteggiamenti esteriori. Lasciamoci conquistare da Gesù, e con Gesù costruiamo e difendiamo la pace. Ha detto Papa Francesco: “Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia”. Questo momento dipende da noi e inizia in noi. Aiutiamo a costruire, come Noè, questa arca di un mondo nuovo che protegge i piccoli, che custodisce la vita; un’arca dove ci riscopriamo Fratelli tutti. Non pensiamo di salvarci preoccupandoci solo di noi. Il ramoscello di ulivo, quello vero, è Gesù; è Lui la nostra pace che abbatte i muri di divisione. Chi ama Lui ama il prossimo. Impariamo a soffrire con chi soffre: c’è tanta sofferenza che chiede compassione, di essere anche solo condivisa, perché la sofferenza da soli è insopportabile.

“Donna ecco tuo figlio; figlio ecco tua madre”. Dalla croce , da un discepolo e da una donna, la madre di Gesù, comincia la vita di una famiglia nuova donata e creata dal Signore stesso. Dalla croce, da un luogo che sembra dominato dal male, l’amore continua a creare qualcosa di assolutamente nuovo, la comunità dei figli della croce e della resurrezione. La Chiesa, nostra madre, ci chiede di non fuggire, di restare sotto la croce e di prenderci cura di Lui e di tutti i crocifissi del nostro mondo, per annunciare il Vangelo della misericordia, perché il venerdì santo sia l’inizio di una nuova vita e di una nuova creazione.

Cari amici, non parliamo di pace, facciamo la pace. Portiamo pace dove c’è divisione; chiediamo e diamo perdono; circondiamo di compagnia chi è solo; disarmiamo i cuori violenti o semplicemente duri o maleducati con la fermezza dell’amore forte, intelligente, umano, semplice. E sarà luce nella notte, nella notte del venerdì santo. Nell’ora del potere delle tenebre, troviamo già i germi della resurrezione.

E così sia.

† Giuseppe, vescovo