S. Messa “in Coena Domini”

Chiesa Cattedrale, Cerreto Sannita (BN)
14-04-2022

 

“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15), dice Gesù ai suoi discepoli all’inizio della sua ultima cena.

Cari amici, la Pasqua non è un rito che si ripete, ma una grazia che si rinnova, la grazia oggi di essere invitati alla mensa del Signore, quando offrendo il pane come suo corpo ed il vino come suo sangue, stabilirà, con il memoriale dell’eucarestia una nuova ed eterna alleanza con noi. Non ci si può accostare in modo abitudinario alla Pasqua, ci vuole concentrazione, attenzione, cuore. Non sono giorni ordinari, non possiamo essere quelli di sempre, con i pensieri, con i sentimenti di sempre, mettendo come sempre noi stessi al centro. Se non vogliamo sprecare questi giorni, al centro ci deve essere il Signore. Devono essere i giorni in cui imparare di più a stare insieme vicino al Signore Gesù.

É bello allora trovarci insieme. Siamo come la comunità dei discepoli a Gerusalemme, un po’ impauriti, presi da noi stessi, cittadini di un tempo difficile e pieno di incertezze ed oscurità. Ma il Signore non rinuncia a invitarci alla sua mensa, perché sa che solo con lui si può essere suoi discepoli e non mondani come dice spesso papa Francesco. Mondani, del mondo, persone che fanno e ragionano come tutti.

Di fronte alla forza del male e della morte che non risparmia neppure il Figlio di Dio, ma vogliamo anche pensare al dramma dell’Ucraina ma anche di altri paesi dove si è abbattuta la forza del male che si chiama guerra, Gesù vuole indicarci come ottenere l’unica vera vittoria sul male e sulla morte. In quest’ora difficile per Lui, Gesù non si è piegato a vivere per sé, non è fuggito davanti al male, non ha cercato la risposta nelle armi. Mite ed umile di cuore fino alla fine, senza mai cedere alla violenza. Ma come è possibile? noi ci chiediamo. Tanti credono in questo tempo che non è possibile camminare con Gesù, seguire i suoi insegnamenti. Ci stupisce quanto egli ha fatto nella passione. Ci sembra che amare troppo ci indebolisca e ci renda deboli. Abbiamo sempre timore di distaccarci da noi stessi, di rinunciare a qualcosa di nostro, fossero le cose, le abitudini, i sentimenti e i pensieri, le convinzioni. Gesù si avvicina alla nostra paura di perderci e di dare.

E’ significativo come il Vangelo di Giovanni non riporti le parole di Gesù sul pane e sul vino, ma racconti della lavanda dei piedi. Subito l’inizio del racconto mostra il significato di quanto il Signore ha fatto: “Se io… ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Così Gesù disse ai discepoli nell’ultima cena al termine della lavanda dei piedi. E noi abbiamo messe in pratica queste parole, subito, alla lettera, anche senza capire. “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto”.

Questo invito è identico al “fate questo in memoria di me” con cui ci offre il suo corpo nell’Eucarestia. Sono le due vere memorie di Gesù: l’amore vicendevole e il pane della comunione e dell’amicizia. Il Signore Gesù insegna non solo a parole, ma con la sua vita, con il suo esempio. Dare l’esempio per mostrare che è possibile farlo e non chiedere agli altri quello che non si vive. Gesù aggiunge: “Sapendo queste cose siete beati se le mettete in pratica”. Siete beati, cioè felici. Il servizio al prossimo rende felici, oggi.

Cari amici, la Parola di Dio non è una dottrina, ma una proposta di amore che si comprende vivendola. Gesù si mise a lavare i piedi. Non aspetta che glielo chiedano ma anticipa perché conosce quanto ognuno è sempre bisognoso di amore. Non lascia che ognuno sia costretto a pensare a se stesso, ma ci insegna ad amarci gli uni gli altri. La gratuità non è solo non cercare alcuna ricompensa, ma anche muovere il primo passo senza aspettare. Il più grande è colui che serve. Ed il Signore ci vuole grandi, non piccoli, che si accontentano di poco. Si può essere grandi pur essendo piccoli di età. E la felicità che resta in noi, che nessuno ci può portare via, nemmeno la morte, è quella che doniamo agli altri. L’amore non dato è perso; l’amore donato non è mai perduto e farlo ci renderà grandi di cuore. Nutriti dallo stesso pane siamo uguali e amati tutti dello stesso amore. Noi usiamo proprio la parola “fare la comunione”. E’ vero: entriamo in comunione con Gesù, siamo una cosa sola con Lui e il suo amore ci unisce ai fratelli. “Facciamo” la comunione per vincere l’individualismo che ci chiude in noi stessi, che ci isola.

Gesù sa che sarebbe stato un suo discepolo a tradirlo, Lui sa che nell’ora della Passione e della morte tutti sarebbero scappati lasciandolo solo, eppure li amò sino alla fine. Non gli importa che i suoi insegnamenti non siano stati capiti fino in fondo; non gli importa che lo rinneghino, che lo tradiscano. Lui li ama, al di là della loro risposta e si china sulla loro vita.

La lavanda dei piedi non è una umiliazione, anche se al tempo di Gesù era un gesto di accoglienza che facevano gli schiavi con chi arrivava in casa. Lavare i piedi è segno dell’umiltà di Dio che si fa servizio.

Gesù si spoglia della considerazione e del ruolo, e ci mostra che il vero ruolo cui siamo chiamati è uno solo, quello di essere servi, di pensarci per gli altri, di ritenere gli altri superiori a noi stessi. Per questo Gesù dice ai discepoli: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono…Se dunque io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri ».

Pietro, appena vede avvicinarsi Gesù, reagisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Ma come il Maestro lava i piedi al discepolo? E’ un gesto che non si capisce con la logica normale di questo mondo. E Pietro vuole rifiutare quel gesto affettuoso di Gesù che aveva prima spiegato: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come uno che serve”. Ma com’è difficile capire un amore che si fa servizio! Quanto è difficile disarmare il cuore, lasciare che l’amore lo tocchi.

Il Vangelo della lavanda è un comando nuovo. Anche per noi. Lo abbiamo sentito varie volte. Ma oggi è nuovo. Sì, davvero è nuovo. Mentre gli uomini si combattono e fanno la guerra, Gesù lava i piedi ai discepoli: quale abisso! Gesù è il nostro Maestro e vogliamo seguirlo con maggiore attenzione mentre i tempi che viviamo ci parlano del dolore della guerra. Quanto c’è bisogno di gesti come quello di Gesù!

Il Signore ci insegna come vivere e da dove iniziare a vivere: la vita vera non è quella di stare diritti nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarsi verso i fratelli e le sorelle, iniziando dai più deboli. Tutti, infatti, abbiamo bisogno di amicizia, di affetto, di comprensione, di accoglienza, di aiuto. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle. Chinarmi verso il fratello e la sorella mi disarma. Chinarmi disarma l’altro. Lavare i piedi non soltanto è un gesto: è un modo di vivere.

Sì, sorelle e fratelli, dobbiamo imparare a vivere preoccupati degli altri, chinati sulle loro domande, avendo compassione di tutti, soprattutto dei più deboli. E questa sera abbiamo voluto chinarci sulla vita di amiche ed amici della Ucraina e della Siria, due paesi dove la guerra sta rubando vite umane, sta rubando futuro e speranza. Ci siamo chinati, io l’ho fatto a nome di tutta la Diocesi, ai loro piedi per dire che vogliamo prenderci cura della loro domanda di aiuto e di pace e che siamo chini sui loro paesi con la preghiera ed i nostri gesti di amore. Chinarsi ai piedi significa avere a cuore; lavare i piedi significa ripulire e donare uno slancio nuovo. Davanti alle perplessità di Pietro Gesù dice qualcosa di molto importante: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Che significa? Se Pietro non capisce questo segno si esclude da ogni comunicazione con lui, si esclude dal partecipare all’opera di Gesù. Cioè per il Signore questo segno è centrale per essere discepoli, per chi lo vuole seguire. La lavanda dei piedi mostra cos’è l’amore tra fratelli, ma soprattutto spiega con grande evidenza che servire è amare e che amare è servire. Se vuoi essere felice – sembra dirci Gesù – devi amare, cioè servire gli altri. Se vuoi essere felice devi perderti nell’amore.

E’ un comando che ci trova ancora troppo distanti, prudenti, dimentichi. Questa sera vogliamo chiedere perdono al Signore perché lungo quest’anno ci siamo ancora troppo sottratti a mettere in pratica la sua parola. Quanta distanza e distrazione verso i fratelli! Quante attenzione a noi stessi, quanto orgoglio, pretese, rivendicazioni per noi, mentre nel cammino della vita incontriamo o sentiamo parlare di tante sofferenze, dolori, angosce. Chiediamo perdono per il poco amore, la poca attenzione…

La vita secondo il Vangelo, il piegarsi verso i fratelli e le sorelle, inizia nutrendo questi sentimenti a questa mensa, dove ci viene donato il pane disceso dal cielo. È infatti una via che viene dal cielo, eppure è la via più umana che possiamo desiderare, un mistero di comunione e di fraternità, profezia di un mondo nuovo in tempi di gente sola e spaesata. “Fate questo in memoria di me”, “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto”, ci ha ricordato Gesù. Tanta gratitudine al Signore per il dono del sacerdozio. Un augurio di santità a tutti i sacerdoti.

E così sia.

† Giuseppe, vescovo