“Siamo di nuovo in cammino, con le nostre attese. Eccessive, a volte, e fragili, appese alle nostre speranze: attese soltanto nostre. E dimentichiamo che questo tempo è tuo, Signore, e tua è l’attesa: orienta lo sguardo del cuore nella giusta direzione e muovi i nostri passi alla ricerca di Te, in questo tempo di avvento. E l’attesa diventa un sussurro sospeso e profondo e amorosa vigilanza, perché il Giusto verrà ad abitare tra noi. È mistero di attesa: vieni, vieni ancora Signore Gesù.”
Il cammino di avvento riprende il suo percorso e sempre con un invito all’attesa, fatta di attenzione e vigilanza. Per mettersi in cammino è necessario dare spazio alla curiosità nei confronti della vita, capaci di orientare il desiderio del cuore e di farlo maturare. Se n’è andato, racconta la parabola, lasciando al servo la sua casa. La sua casa affidata all’intelligenza e alla custodia. Va via. Senza riserve. Fino al ritorno. Ci crede, si fida! Ti affida ogni cosa: il sapore della terra, il profumo di casa, gli occhi e le mani delle sorelle e dei fratelli. Tutto affidato. Un dono che si fa mistero!… e ritornerà!
Non so se a parlarmi di attesa sia questo tempo di avvento, tempo che forse abbiamo tradito, considerandolo come l’attesa della venuta del figlio dell’uomo alla fine dei giorni. Come se dovessimo far apparire qualcosa attraverso quell’appuntamento che ci diamo la domenica: “nell’attesa della tua venuta”, quasi come una formula magica. E penso ai giorni ormai lontani in cui le chiese venivano costruite rivolte ad oriente, perché è da lì che sarebbe tornato il Signore. Oggi c’è il piano regolatore e le chiese non sono più orientate come un tempo…ma forse, ci è chiesto di più. Dovremmo essere noi rivolti, con gli occhi e con la vita, a oriente. In attesa del suo ritorno. Rivolti verso oriente non per continuare a contemplare ciò che è accaduto ma per spiare quello che ora sta nascendo, la luce che oggi il Signore fa spuntare.
Ti fermi allora e pensi. Rifletti. Ti domandi dell’attesa e dell’assenza di attesa. Forse, non siamo più capaci di attendere, occupati da altro, dalla voglia del tutto e subito, dalla voglia di sentirci appagati… e poi assenze. Non puoi attendere se non uno che ti ha occupato il cuore. Per una sorta di innamoramento. Conosci il desiderio del volto. Conosci lo scandire dei battiti del cuore, che impaziente attende il ritorno. Perché non può esserci attesa del ritorno senza innamoramento. In tanti parlano di religione, in molti con parole la difendono. Ma gli occhi sono freddi, di ghiaccio. Cristallizzati dal gelo del cuore. Si urla, ma non è un grido di una voce innamorata né di Gesù, né del vangelo. Militanti, ma non innamorati.
Fede non è avere qualche pensiero su Dio, soprattutto se gli occhi sono di ghiaccio. Il fondamento della fede più ancora che sapere qualcosa sul Cristo è avere il cuore occupato da Lui. Noi abbiamo la mente occupata dai pensieri su Dio, ma non abbiamo il cuore occupato da Lui. Se il cuore è occupato lo attendiamo. Lo attendiamo resistendo alla bruttezza e alla mediocrità, lottando contro l’ingiustizia e la menzogna. Contro la dissacrazione del volto.
Verrà. Il cuore lo sa, lo sente. E quando verrà fugherà le tante nubi che nascondono la verità. E sarà chiaro dove stava la bellezza della vita: se nell’egoismo o nell’amore.
Verrà. E sarà naufragio per la menzogna perché su di essa splenderà la verità di chi, con fatica, senza certezze, ma con occhi incantati, ha anelato a fare opere belle, quelle che faceva Lui, opere che restituivano la dignità, la libertà, la vita piena ad ogni persona. Lottando contro chi questo incanto negli occhi voleva spezzarlo.
Verrà. Sussurra il cuore. E sarà la fine dell’inverno. L’inverno dei nostri cenacoli chiusi, delle nostre false presunzioni, dei nostri vuoti di tenerezza, delle nostre mancate attese, l’inverno dei giudizi spietati.
Verrà. E sarà la fine del gelo. E sarà il germoglio di un sorriso.
È il sorriso che indica il passaggio di Dio, che colma di gioia. Le lacrime sono necessarie per seminare. Ma le lacrime non nutrono nessuno. È la gioia che fa vivere. Chi non sa sorridere, si dimostra incapace di sognare le cose grandi che Dio intende compiere per noi. Il sorriso è il segno della salvezza, del perdono, della tenerezza. Non qualsiasi sorriso. Ci sono dei sorrisi ipocriti, di circostanza, di mestiere, di dovere. Perfino sorrisi cattivi, maligni, sospettosi, sarcastici. Qualcuno ha scritto che si può ammazzare una persona anche con un sorriso. Allora occorre convertire anche il sorriso. Renderlo autentico, espressivo, spontaneo, che rivela il “si” detto a Dio e ai fratelli. Il sorriso è dono, ma è anche costruzione paziente. Presuppone la pace con se stessi e una volontà di pace con tutti. Presuppone un certo distacco da sé. Un individuo superbo non saprà mai sorridere.
Il sorriso non si impara davanti allo specchio. Quello è smorfia, trucco, non sorriso.
È necessario liberare la sorgente profonda della gioia nascosta in ognuno di noi, perché essa illumini tutta la nostra persona. È indispensabile che ciascuna delle nostre parole inciampi nel sorriso prima di arrivare alla bocca. Allora si può dire tutto. Anche le verità più spiacevoli.
L’unica verità proibita è quella detta con amarezza, senza amore.
E il sorriso sta a testimoniare che il nostro intento non è di ferire o umiliare, ma di procurare il bene altrui. In ogni sorriso c’è qualcosa della trasparenza di Dio. E anche della trasparenza di una persona aperta, che non ha nulla da nascondere. Il sorriso è un invito ad entrare. Con la certezza di trovare una persona vera, riconciliata. Verrà e avrà occhi che accarezzano sabbie e stanchezze. Avrà gli occhi della misericordia.
Allora, è, soprattutto, il Signore che attende: ti attende. Ed è ciò di cui abbiamo bisogno. Del suo abbraccio. Solo questo può liberare dentro dalla paura: la paura di sbagliare, la paura di non farcela, la paura di cadere, la paura di non essere capiti, la paura che sia tutto inutile, la paura di non aspettarsi più niente dalla vita. Forse quello che ci innamora di Dio è proprio il suo non fare spazio alla paura, mai .. è questo che lo ha fatto povero sulla terra. E lo fa essere oggi con noi.
È Lui che veramente ci attende, perciò possiamo attendere anche noi. Se solo alzassimo un po’ di più lo sguardo, comprenderemmo meglio quello che vive negli occhi dell’altro.
La speranza è chiamata a risorgere sempre. Ed è proprio la speranza che colma ogni tipo di distanza nell’attesa. Ogni giorno. Questo è affidato a ciascuno, a tutti. Piccoli e grandi. Ed è la vera linfa della pace. È la bellezza di uno sguardo nuovo, abitato da Dio. Gli occhi arrivano prima delle mani. Sempre! E sono la finestra del cuore. Dio non si stanca, il Signore è compagno leale, ci ama nella verità e nella giustizia.
Ritorniamo a quell’abbraccio: come di bimbo in braccio a sua madre … così un’anima può tornare a respirare. La speranza nasce dall’incrociarsi del cammino di Dio con quello dell’uomo. La speranza nasce dall’incrociarsi dell’argilla con le mani di Dio. La speranza in un abbraccio! In questo dinamismo sta il dono e la sfida di un nuovo avvento, che ci mette in cammino verso il luogo dove riluce la stella viva, la luce e il dono impensato di un Dio che si degna di scendere dalla sua intoccabile eternità per nascere ancora e consegnarsi nuovamente nelle nostre mani, con immensa fiducia. Sii attento, allora: alle mani di Dio che ci plasmano nel quotidiano; agli altri, alle parole e ai silenzi, alle domande mute e alle offerte d’amore. Che nessuno seduca la tua coscienza. Sii attento alla patria grande che è l’umanità, storia di sangue e di bellezza. Per imparare a cogliere lacrime e profezie, per sentire nella tua vita una carezza e il calore delle mani di Dio, vasaio che ancora spera in te sua argilla, che ancora ti dà forma adesso, con speranza tante volte tradita, con speranza ogni volta rinata.
+ don Mimmo, vostro Vescovo