Care sorelle e cari fratelli, oggi celebriamo la grande festa della Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Risurrezione di Gesù, che prima di salire al cielo aveva promesso ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre». A Gerusalemme nel giorno di Pentecoste gli apostoli stavano in preghiera nel cenacolo, insieme a Maria la Madre del Signore. Venne lo Spirito Santo, si posò su di loro e uscirono e cominciarono a parlare una lingua che tutti capivano: quella del Vangelo, quella di Gesù, della sua amicizia per tutti, la lingua della misericordia di Dio. Questa è la Pentecoste, cari amici. Lo Spirito Santo ci insegna la lingua dell’amicizia, dell’incontro, del perdono. Tutti possono capire questa lingua perché tutti ne hanno bisogno.
Spesso cerchiamo forza in noi stessi, nelle cose che facciamo, nell’affermazione del nostro io. Invece la potenza viene inaspettata, dall’alto, nel vento, nel fuoco. I discepoli erano ancora un po’ timorosi. Lo Spirito li apre alla vita. È facile chiudere le porte; è facile dire di no, mettere limiti. Lo facciamo istintivamente: è la pigrizia delle abitudini, la presunzione dell’orgoglio, la sicurezza dei nostri giudizi. Le porte soprattutto si chiudono con la rassegnazione, per cui niente vale la pena. La rassegnazione è, come la tiepidezza, il contrario dello Spirito: lo spegne con il “si è sempre fatto così”, o più facilmente “non lo abbiamo mai fatto”, “non siamo sicuri”, “tanto a che serve?”, o con il facile “non è possibile”. La rassegnazione fa diventare uomini che hanno perso l’ambizione di cambiare il mondo.
A Pentecoste vi erano tutti i popoli, come a rappresentare il mondo intero, le lingue diverse che però non isolano, non contrappongono, non giustificano il chiudersi, non causano la diffidenza o peggio la violenza. Tutto è amato dallo Spirito. Non mette più paura la città, la confusione del mondo, perché parliamo la lingua per cui l’altro capisce ed è capito. È la lingua della misericordia, quella dello Spirito, quella di Dio.
Il confine della vita non è più il piccolo gruppo ma è la città e la terra tutta. Due sono i frutti dello Spirito. L’unità e la gioia. I discepoli a Pentecoste sono uniti. Il nostro mondo ha diffidenza dell’unità e la scambia per uniformità, tanto che la divisione e l’individualismo sembrano l’unica via per la realizzazione di sé stesso. Triste l’uomo che per essere sé stesso si divide o si deve isolare! Cerchiamo sempre la via dell’unità, anche quando sembra inutile o è faticosa. La nostra unità è la comunione, pensarsi assieme, praticare l’amicizia. A Pentecoste avevano un cuore solo e un’anima sola. Lo spirito libera da quell’individualismo. E ne vediamo i frutti in un mondo così violento, rapace. L’unità ci rende credibili, ci sostiene, ci completa.
La gioia è frutto dello Spirito. La gioia di Pentecoste è il tanto amore che riceviamo, che ci unisce tra di noi, che rende bella e attraente la vita, perché sappiamo quanto siamo infinitamente amati. Seminiamo tanto amore anche quando ci sembra di non aver ottenuto nulla con i nostri sforzi. L’amore non va mai perduto. Ne ha sempre bisogno la città, ogni uomo. Come a Gerusalemme. Tutto è nostro nell’amore. Uniti e gioiosi. Così si trasforma la città e sappiamo vedere il cielo nella terra, indicarlo e donarlo a tanti che lo cercano.
Lo Spirito di Dio faccia crollare i muri che si costruiscono contro i poveri e i profughi, i muri che dividono nelle guerre, pensiamo all’Ucraina, ma non solo. Sgretoli anche i muri delle nostre paure che fanno chiudere in sé stessi e impediscono l’incontro, l’ascolto, l’amore reciproco. La forza dei cristiani, cari amici, non è infatti nel denaro, nel successo, nel potere, come ci vorrebbe far credere il mondo. La lingua della Pentecoste vuole essere la nostra forza e anche la nostra gioia. Essa è infatti la “gioia del Vangelo”, come ci ha detto papa Francesco.
Lo Spirito è amore. E solo questo Spirito d’amore può cambiare il mondo. Solo lo Spirito ne ha la forza. Dio crea un mondo nuovo con l’amore.
Forse bisogna mostrare di più come una vita con Gesù, i poveri e i fratelli sia bella. Mostriamo come si possa non vivere per se stessi, e che vivere per i poveri, con i fratelli è bello. Con Pietro e gli altri, usciamo dalla sala dove siamo riuniti, diciamo che Dio è amore e che bisogna vivere con lui, che è bello vivere della sua parola e del suo Spirito!
«Una Chiesa chiusa – ha detto papa Francesco – è una chiesa ammalata, deve uscire da sé stessa, verso quelle che io chiamo periferie esistenziali.
Lasciamoci trascinare dallo Spirito verso questo visone così diversa dalla nostra, lasciamoci insegnare e ricordare da lui, dove guardare e a cosa dare importanza, perché il suo sguardo divenga anche il nostro.
Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!».
Amen.
† Giuseppe, vescovo