Omelia Santa Messa del Crisma

28-05-2020

Carissimi sacerdoti,

Carissimi fratelli e sorelle,

questa sera celebriamo insieme la nostra prima Eucaristia a porte aperte. È una gioia grande, un segno forte, visibile, della misericordia di Dio verso di noi, verso il mondo intero. Portiamo gli effetti, dentro e fuori, di questo tempo di sofferenza ma abbiamo anche la certezza che il Signore non ci ha mai lasciati soli, tantomeno ora. Sento il bisogno di ringraziare quanti non si sono mai fermati e si sono adoperati a non far mancare a nessuno segni di vicinanza, di aiuto… segni della stessa carità di Cristo. Sono questi segni che non hanno spento quella piccola fiamma che chiediamo al Signore stasera di benedire, in noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità. Affidiamo a Lui il tempo che viene, perché lo Spirito di verità, di sapienza, d’amore, ci indichi i passi.

Ci è chiesto un ascolto serio, attento, creativo, che non corra dietro all’efficacia del momento, a velleità, a interessi individualistici. Quello che è accaduto in questi ultimi mesi ci sta dicendo molte cose, ha messo in crisi le nostre sicurezze, le nostre abitudini e gli stili di vita, la pretesa di garantirci da noi stessi la nostra esistenza. Ci siamo riscoperti tutti vulnerabili, ognuno, oggi più che mai, affidato alla cura e alla responsabilità dell’altro. Riceviamo dall’emergenza sanitaria un nuovo sguardo su una reciprocità possibile, nuova, radicata nella speranza di un futuro migliore per tutti, soprattutto per i più deboli e per le future generazioni.

Il nostro sguardo è inevitabilmente fisso sulle fatiche, le paure, le morti. I nostri occhi, però, non sono fissi nel vuoto ma nell’attesa. Il cuore non è condannato a sentirsi smarrito ma è, per grazia, attratto a uscire dall’offuscamento. Gesù capovolge le nostre prospettive e attese, i nostri schemi, le nostre pretese religiose: comincia dalle ferite, comincia dagli ultimi. È questo il suo annuncio, di una fraternità possibile perché sono beati i poveri! Ed è il significato profondo della benedizione degli oli. Scriveva papa Francesco lo scorso 27 marzo: «In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita» (Perché avete paura?).

Il Signore ricomincia da noi, da ciascuno di noi. Rompe il silenzio non solo di coloro che sono nella sinagoga ma anche il silenzio che abbiamo custodito, in modo pur maldestro, nei giorni più duri della pandemia che ha colpito e continua a colpire il mondo intero. La sua voce trasforma l’udire-sentire in ascolto: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi”. Oggi si adempie anche in noi e ci affida la responsabilità del cammino e del futuro.

La fedeltà del Padre, annunciata dal profeta Isaia, si compie in Gesù. In Gesù la Parola è viva, operante, penetrante. Cura, risana, rialza. È lui il Signore della vita, è lui che ha visitato, ascoltato e vinto ogni morte. È lui che attualizza l’oggi della salvezza, ci sveglia dal torpore, ci chiede di ricominciare. Scriveva don Tonino Bello per l’omelia di una messa crismale: «La Chiesa è un popolo di sacerdoti. Di gente, cioè, destinata a fare comunione, ad allacciare ponti; a costruire intese, a fabbricare solidarietà, ad alimentare convergenze, a incrementare articolazioni organiche, a combattere la disgregazione, a spegnere le rivalità concorrenziali, a scoraggiare le fughe per la tangente dell’egoismo o del calcolo solitario».

Il dono e la responsabilità degli oli sono affidati a tutta la Chiesa. La Chiesa li consacra e li consegna anche. Sono i segni del rinnovamento continuo della speranza che non muore. I discepoli, noi, siamo chiamati a ricucire la speranza. E la speranza è questa: Dio ci incontra sempre nel volto dell’altro, nella cura possibile, nelle ferite che ci portiamo dentro e che diventano opportunità di ascolto di chi ci sta di fronte. Ed è proprio questo il sogno della Chiesa che questo tempo sta in qualche modo permettendo facendolo diventare realtà: la Chiesa è ospedale da campo, compagna di strada degli ultimi, china sui più deboli, segnata dalle sofferenze e dalle cadute dei suoi figli. Chiesa sacramento di salvezza in cui tutti siamo chiamati a portare frutto nella carità per la vita del mondo.

Papa Francesco ha parlato di quattro profonde ferite che minacciano il nostro tempo: l’indifferenza, l’egoismo, le divisioni, la dimenticanza. Riconoscerle è grazia perché vuol dire che il perdono di chi è rimasto indietro ha raggiunto i nostri occhi e il nostro cuore. Tutto il lavoro nascosto, tutta la solidarietà, il volontariato, che non rientra nel PIL ma crea possibilità di vita, concretezza di esistenza, passi a misura d’uomo, ci chiedono oggi di credere, di investire sulla prossimità vera e reale, di domandare una più giusta distribuzione dei mezzi per vivere. La gestione delle risorse non può più essere lasciata all’arbitrarietà di un’economia che ha fallito abbondantemente e di una politica asservita. Si tratta di convertire i nostri stili di vita, i nostri criteri di scelta. Scrive papa Francesco: «Spero che i governi comprendano che i paradigmi tecno-cratici (che mettono al centro lo Stato o il mercato) non sono sufficienti per affrontare questa crisi o gli altri grandi problemi dell’umanità. Ora più che mai, sono le persone, le comunità e i popoli che devono essere al centro, uniti per guarire, per curare e per condividere» (A un esercito invisibile).

Non possiamo correre il rischio di essere superficiali. Gli oli, che ci sono affidati, risanano le ferite, restituiscono dignità, diffondono il profumo della speranza? È da qui che abbiamo il bisogno di ripartire. Cari fratelli sacerdoti, oggi, questo mondo, la nostra gente, ha bisogno di voi. Della vostra ricerca, delle vostre inquietudini, del vostro ascolto, della vostra parola di misericordia, del vostro esserci, del vostro voler bene e del nostro volerci bene. Sono consapevole che spesso non riesco a esservi vicino come ne avreste bisogno, e, vi ringrazio per il dono della vostra vita, per quello che vivete e sopportate in silenzio, per quel desiderio che vi spinge a sentire, a pensare, a fare, avendo presenti i volti delle vostre comunità. È questa la fonte sempre viva della speranza della nostra chiamata, è anche il nostro costante bisogno di perdono, della misericordia di Dio.

Le nostre attese di bene sono intrecciate all’attesa stessa di Dio. Ci attende nel bisogno di unità che attraversa noi stessi e tutti i poveri della terra. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”. Poveri sono i prigionieri, i ciechi, gli oppressi, gli sfruttati a tutti i livelli, ma poveri sono tutti i vinti della storia, gli sfiduciati, gli emarginati, i feriti dalla vita, poveri sono gli umili che si affidano e attendono il bene, il perdono, la salvezza.

È questo il cuore del ministero e il programma della missione di Gesù. Il suo regno è un regno di giustizia e di pace. È tutto profondamente intrecciato alla vita degli ultimi. È proprio l’olio degli ultimi che ci conduce a ogni uomo! Anche la sofferenza accolta può generare speranza, anche il dolore può unire. Gesù è entrato per sempre nella debolezza della nostra condizione umana e chiede anche a noi di farci carico delle sue ferite. È l’unità di fratelli, nella sofferenza, che unge il capo degli infermi, degli emarginati, degli esclusi. L’olio degli infermi non è dunque solo l’olio dei malati ma è l’olio che benedice nella sofferenza, risolleva, accompagna, accarezza. Il grido di speranza di chi soffre continua a interrogare le nostre coscienze, a tirarci fuori dalle nostre chiusure e isolamenti, dalla nostra indifferenza.

Ci è affidata la fatica preziosa e bella dell’unità da ricostruire a partire dalle pietre scartate, da coloro che si sentono più che altro un peso per questa società. Gesù, pietra scartata, è il servo sofferente che ha glorificato Dio. Cari fratelli laici, gli oli degli ultimi sono affidati anche a voi, perché la nostra società si rinnovi a partire dalle relazioni, dalle sue strutture. La nuova aria di solidarietà che cominciamo a respirare tra noi, è abitata dalla solidarietà di Dio. Egli è da sempre solidale con il suo popolo sofferente. Tutti siamo chiamati a servire l’umano sulla terra nella speranza di servire il Signore. Lo hanno fatto le famiglie che non hanno spento nella quotidianità la luce della preghiera; che hanno accompagnato i figli privati del diritto della scuola; lo hanno fatto i sacerdoti che si sono inventati modi diversi per farsi prossimi a tutti; lo hanno fatto coloro che hanno messo a repentaglio la loro stessa vita per non venir meno al loro lavoro (medici, infermieri, volontari, ecc.).

Questo non è il tempo di cedere alle logiche dell’egoismo. C’è una sola parte da privilegiare, quella di chi fa più fatica, perché sia possibile un mondo più equo, una società più umana. Non possiamo tornare indietro, non possiamo tornare ai criteri di prima. È questa solidarietà, è questo capire la vita come vocazione, che fa vivere, che libera la responsabilità, che testimonia il futuro che viene, che è presente come lieta notizia. La testimonianza della fede e della giustizia, nell’olio dei catecumeni e del crisma, è quell’olio che come luce consacra di profezia la Chiesa.

Ci è chiesto di riscoprirci comunità umana, fraterna, nella via del dialogo e della corresponsabilità. Non nascondiamoci più dietro a conflitti inutili, pretestuosi, fissati in noi stessi e nelle nostre ragioni. Dobbiamo chiederci quale Chiesa vogliamo essere, quale Chiesa il Signore sta continuando a immaginare perché il mondo viva, quale volto avrà il nostro domani. A ciascuno è affidata la speranza della nostra vocazione, la gioia del servizio, la fiducia nella fedeltà di Dio. Gli oli, che tra qualche minuto verranno consacrati, alimentino la nostra ricerca del Signore, della sua volontà, perché possa trovarci pronti a seguirlo.

Come Chiesa non possiamo sottrarci di fronte al sacramento della memoria del bene che continua a segnare il cammino della carità. Apriamoci tutti allo Spirito che muove alla ricerca della verità e del bene dandoci il coraggio di affrontare le sfide più difficili: il precariato e la disoccupazione, le nuove povertà invisibili, le disuguaglianze sociali, e purtroppo anche il grande peccato dell’usura e di chi si approfitta del momento lucrando sulla fatica degli ultimi.

Cari sacerdoti, la nostra gente ha bisogno di sacerdoti ungitori, capaci di uscire e donare se stessi. È ungendo che si rinnova la propria unzione. Mentre ungiamo siamo unti dalla fede e dal bene della nostra gente. Sacerdoti in uscita che sanno avvicinarsi all’altro, accogliere tutti, perché nessuno si senta escluso, con pazienza, con mitezza, darsi tempo per far sentire alle persone che Dio ha tempo per loro, voglia di prendersene cura, di benedirli, di perdonarli, di guarirli. Ungiamo sporcandoci le mani toccando le ferite, le fatiche, l’inquietudine della nostra gente; ungiamo profumandoci le mani toccando la fede, le speranze, la generosità, imparando a vederla e riconoscerla, di chi ci sta accanto.

Sacerdoti che escono e che stanno accanto al tabernacolo, che tornano al tabernacolo per riempire di olio le loro lampade prima di tornare fuori.

Oggi rinnoviamo la nostra unzione sacerdotale. Sentiamo su di noi la mano del Signore che torna ancora a ungerci. Sentiamo la forza e la tenerezza del suo sguardo, che ancora ci chiama a seguirlo da vicino. E chiediamo a Maria, nostra Madre, che ci dia la grazia di sentirci unti, come Lei, dallo sguardo benevolo del Padre, abbandonandoci senza riserve all’unzione di quello sguardo.

Carissimi tutti, si apre il tempo della testimonianza, della potenza dello Spirito, è il tempo accetto a Dio, tempo di grazia del Signore. Beati noi ogni volta che ci riscopriamo poveri dietro al Signore, bisognosi della sua misericordia, della sua parola. Beati noi quando per questo saremo non capiti e perseguitati. Beati noi e rallegriamoci, perché la consolazione del Signore è vicina! Amen!

† don Mimmo, vescovo