Il valore di una lacrima

22-05-2020

Ci sono momenti della vita che restano nella memoria ancestrale e indiscussa del cuore, ma quando meno te lo aspetti, ti sorprendono! Emergono scalpitando, desiderosi di liberare nell’etere quell’unico attimo che esplode in perle di verità e di saggezza che fanno della tua esistenza l’unica certezza per la quale sognare, lottare, soffrire, respirare… la certezza della misericordiosa grazia dell’esistere, dell’esserci: esclusivo canto che Dio intona all’alba di ogni nostro giorno.

Ero a letto con la febbre, con riluttanza e disattenzione accesi la televisione… iniziava un film che più fruiva, più mi appassionava.

Era la storia di un pagliaccio: protagonista e mattatore assoluto del circo in cui lavorava. Quando entrava in scena, gli applausi avevano la stessa intensità delle scroscianti risate che senza confondersi echeggiavano fino a me. E poi, quei bambini! Pareva di vedere la gioia e il divertimento facessero a gara per ridisegnare quei piccoli volti. E ogni giorno lo spettacolo del pagliaccio era sempre più esilarante fino a quando sul suo viso si manifestò una espressione diversa, che nessuno aveva mai visto prima. Si impadronì di lui, rabbuiandolo.

Improvvisa e amara fu la scoperta della realtà: il proprietario del circo sfruttava indiscriminatamente tutti: animali, giocolieri, acrobati, per soddisfare i suoi personali interessi e senza alcun ripensamento perseguiva il suo scopo. A quel punto, il pagliaccio che aveva dato fama e prestigio a quel circo, si rifiutò di continuare a lavorare per un uomo i cui principi erano ambigui e molto lontani dai suoi. La forza della sua dignità gli gridò di ribellarsi al sopruso, pertanto, decise di andare via.

Ma pianse fuori da lì. Pianse per nostalgia, per rabbia, per impotenza, sebbene si sentisse al contempo sollevato e fiero di non aver tradito se stesso, ciò in cui credeva e che lo aveva reso per tanto tempo felice di quella meravigliosa vita circense. Non avrebbe mai ingannato il mondo che portava con sé, non visibile agli altri, e che aveva regalato tante volte alla gente, allegramente, con il fiore all’occhiello, con il sorriso dipinto, con le buffe giravolte, con le riverenze e persino col frac stracciato.

Tra la persona e la maschera grottesca che rappresentava, non v’era lontananza e neanche differenza: il pagliaccio faceva festa col suo essere uomo di profondissima umanità.

L’umanità è la sintesi perfetta tra emozioni e sentimenti: ciò che in questa vita si sceglie liberamente di essere e il bisogno infaticabile di guardarsi dentro e scoprire angoli imperfetti ma veri, che testimoniano e accompagnano il viaggio della vita, ma anche comode poltrone di dignità su cui accoccolarsi per riprendere con speranza e fiducia il proprio cammino. E la ricerca infaticabile dell’umanità di Dio ci rivela ancora una volta e sempre quell’intimità dei ricordi, spesso tralasciati o addirittura ignorati, che generano esperienza e spingono al rinnovamento.

Non mi stancherò mai di credere che l’umanità è la speranza che ogni giorno il Buon Dio ci alita nell’anima anche quando non la avvertiamo; in noi vive palpita e aleggia con la stessa intensità con cui cerchiamo Lui e Lo incontriamo nell’altro.

A quel tempo avevo solo 15 anni, non conoscevo fino in fondo il messaggio di queste parole, che però vivevo quando abbracciavo mia madre, al rientro da scuola, che era sempre lì immutata, rasserenante e tenendo per sé le preoccupazioni, affondava il suo viso sul mio petto accalorandomi con il suo affetto. Le avvertivo quando mio padre, nonostante la sofferenza fisica, si alzava al mattino e senza un lamento andava a lavorare. La loro dignità erano impronte di coraggio del vivere, di umiltà, di affetto, di sacrificio, che li rendevano esseri speciali: uomini di buona volontà.

Ora la vita del pagliaccio era un ponte interrotto che lo costringeva ad incamminarsi per un’altra strada.

E anche nei giorni a venire fu avvinto dalla tristezza, dalla malinconia e dall’amarezza, rimanendo per tanto tempo senza lavoro.

Il pagliaccio, indiscusso donatore di attimi felici per amore e solo per amore del suo pubblico, si sentì profondamente solo. Perché la delusione è l’amica fedele della solitudine!

Nel frattempo, il circo sopravvisse, pur soffrendo l’assenza del protagonista; gli spettacoli furono sempre più scarni, svuotati di quella vitalità che era diventata l’unica forza tra il pubblico e il pagliaccio.

Un giorno al proprietario arrivò una proposta: uno spettacolo di beneficienza per raccogliere fondi per i bambini poveri. Sapeva molto bene che senza il pagliaccio nessuno avrebbe partecipato allo spettacolo.

E così lo cercò e lo pregò di tornare al circo.

Egli dapprima si rifiutò e spiegò con veemenza le giuste ragioni; erano le ferite aperte che parlavano per mezzo della sua bocca.

Il proprietario gli chiese mille volte scusa ammettendo i suoi sbagli e promettendogli, anche giurando, che avrebbe messo nelle sue mani tutto il ricavato dello spettacolo che lui stesso avrebbe consegnato alle famiglie in difficoltà. Insistendo, ribadì che voleva cambiare ma aveva bisogno del suo aiuto. Il pagliaccio lo guardava mentre la fiducia verso quell’uomo che ora mostrava il volto del pentimento era solo una chimera. Ciò nonostante, provò un moto di inquietudine che lo indusse a riflettere e ad accettare di ritornare al grande amore della sua vita: il circo

Il pagliaccio, manifestando l’inquietudine, mostrò la volontà di dare all’altro una possibilità. Il pentimento del proprietario, quel mostrarsi a lui arrendevole con tutte le sue fragilità di uomo operarono il cambiamento nel pagliaccio, che accettò la sua richiesta e lo perdonò.

E arrivò il giorno dello spettacolo e le luci si riaccesero su quella ribalta.

Il pagliaccio felice si avvicinò alla platea per ringraziare … e si accorse che in mezzo a tutta quella gente c’era una bambina triste con la testa china che sosteneva con le mani. Era l’unica totalmente indifferente alla sua esibizione. Le si avvicinò, con intorno il silenzio dell’attesa, e a un passo da lei, notò due stampelle riposte con cura al suo fianco. Il pagliaccio capì… e sentì un dolore profondo che mutò la sua espressione di appena poco prima. Quella bambina doveva assolutamente ridere! Il pagliaccio voleva vederla felice e si esibì solo per lei in un palco in cui lui e lei erano gli unici protagonisti e spettatori. Questo desiderio spinse la sua bravura e diede vita all’esclusivo spettacolo.

Ma non bastò. Si impegnò ancora, ma mancò nell’intento di farle sollevare la testa e scorgere finalmente il suo sorriso.

Dichiarò a se stesso il suo fallimento e mentre annegava nel dispiacere, si faceva carico dell’infelicità della bambina e dalla sua maschera grottesca sgorgò una lacrima. Solo allora la bambina alzò la testa. E sorrise.

Il pagliaccio sbalordito chiese: Perché ora e così?

E la bambina: Rido, perché non ho mai visto un pagliaccio piangere.

Nel dolore che lui porta fuori da sé, la bambina riconosce il proprio, sentendosi compresa fino in fondo all’anima da dove emerge la speranza. Ciò che le faceva tanto male le era stato rappresentato dal pagliaccio. Lui piange, il trucco si scolora con le lacrime e a lei così rimanda un messaggio di valore eterno.

Lei sorride compiaciuta perché si sente rinata. Il dramma è stato rappresentato e la vita ancora una volta, attraverso la sofferenza, diventa leggera. E la crisalide si trasforma in farfalle di verità, di speranza e di fede.

Ancora una volta e sempre anche in una lacrima Dio manifesta la Sua grande opera.

Impariamo ad amare dall’amore ricevuto.

Impariamo a perdonare dall’inquietudine.

Impariamo ad essere compassionevoli.

Impariamo ad offrirci arrendevolmente.

Crediamo nell’amore che non si arrende mai.

Tu sia Benedetto, Signore, sempre e per sempre!

Tu l’unica promessa concreta del messaggio d’amore eterno.

† don Mimmo, vescovo