L’assemblea che celebra

Ritiro del Clero presso la Chiesa “Santa Maria del Carmine” (Casa Madre delle Suore degli Angeli) - Faicchio (BN)
13-01-2022

 

Cari fratelli,

“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”, è stato il Vangelo di questo lunedì del tempo ordinario. A Natale è venuto il tempo di Dio, Dio si è fatto vicino, è entrato nella storia degli uomini, e non resta a guardare, è parte attiva, è presente, ci parla, e per ascoltarlo dobbiamo fare silenzio, dentro e fuori di noi, ci chiama a seguirlo, ci ha già scelti per una missione importante, il sacerdozio, chiede ad ognuno di aiutarlo nella sua opera di salvezza, di misericordia e di compassione. Con la nascita di Gesù nella terra degli uomini, tutto è possibile, soprattutto tutto può cambiare. Tutto, dice San Paolo, possiamo in lui che ci dà forza. Erode vuole spegnere la luce, uccidere la speranza, fa sentire importanti, ma in realtà ci usa e quando non serviamo più ci butta via, testimone di quell’individualismo che insegna solo il “salva te stesso”. Natale è un dono di Dio alla nostra vita e l’Epifania di Gesù è esattamente il contrario della pandemia: è la salvezza che si mostra, la presenza di Dio per tutti, tutti amati. Nessuno deve essere lasciato solo, guardato con diffidenza o addirittura pregiudizio o dimenticato. Le pandemie, in realtà, sono tante, le pandemie della violenza, della fame, della guerra, della mancanza di lavoro, rivelano quanto in realtà siamo tutti fragili e bisognosi gli uni degli altri.

Dio è con noi perché vuole curare le nostre ferite, e, come per i Magi, facendoci trovare quello che cerchiamo nel profondo. Come i magi, ognuno di noi in un determinato giorno e anno, ha fatto dono al Signore della sua vita, ha lasciato quello che aveva di più prezioso, i suoi doni, ed è ripartito con quello che conta per davvero, ricco di Gesù, della sua vocazione al sacerdozio che è come una luce che rende luminosi, pieni di amore da trasmettere, da donare a chi incontriamo.

Gesù ci insegna a pensarci insieme, senza avere paura di perdere qualcosa. Siamo chiamati tutti a diventare con Gesù fratelli universali, che in tutti vedono il fratello, ad iniziare dai più poveri, che sanno essere luminosi per tanti che sono nel buio, speranza per chi è nella sofferenza, consolazione di vita vera per tutti gli uomini cercatori di vita vera.

Non mettiamo subito da parte il Natale, come scontato, come una festa ormai passata in attesa di altre feste! Questo Natale ha una particolarità: è venuto nelle nebbie del Covid per dirci che con Gesù è possibile l’inizio di un tempo nuovo. È nato Colui che insegna a chiamare Dio con il nome di Abbà, Padre. Nessuno è più orfano, ma figli, parte della sua famiglia, fratelli tra di noi, amici dei poveri, stretti nella comunione della Chiesa, uniti in una fraternità senza confini. Con Gesù, siamo “fratelli tutti” con i vicini e i lontani, con chi ci è noto e chi non conosciamo.

Nei lunghi mesi della pandemia, parecchie persone si sono ritratte dal contatto con gli altri, per timore del contagio o per un’abitudine sociale.

Aiutiamo gli altri a riscoprire la bellezza ed il senso dello stare insieme. Ripartiamo dalla liturgia della Domenica, dove la famiglia si raccoglie per celebrare. La Liturgia Eucaristica – è bene ripeterlo – è il cuore della Domenica perché è il momento privilegiato per costruire la “famiglia di Dio”: sconfigge l’egocentrismo e la dispersione che segnano profondamente le nostre persone e l’intera società.

La comunità che celebra l’Eucarestia domenicale, per piccola e povera che essa sia, diviene il corpo di Cristo e quindi vive con le dimensioni di Cristo.

Il vero soggetto della celebrazione è sempre l’assemblea dei fedeli”, hanno scritto i vescovi italiani. Se è vero, come abbiamo detto la volta scorsa, che è l’Eucarestia che fa (ossia costruisce) la Chiesa, dobbiamo anche dire che è la Chiesa che fa (ossia che celebra) l’Eucarestia. Per celebrare la Messa è necessario che ci sia la Chiesa, la comunità cristiana, non importa se piccola o grande. Senza la comunità non c’è Eucaristia. Queste affermazioni potrebbero ancora stupire chi pensa che in chiesa è il sacerdote che celebra, mentre i fedeli assistono. In verità, con il Battesimo tutti siamo divenuti un popolo sacerdotale che rende culto al Signore. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato il “sacerdozio battesimale” di tutti i credenti. Questo sacerdozio comune si esprime anzitutto nelle assemblee liturgiche. Tutti i credenti sono chiamati a celebrare la Liturgia Eucaristica. Si chiama Liturgia, appunto perché è opera di tutto il popolo. I cristiani laici, perciò, hanno il diritto-dovere di partecipare alla Messa domenicale a motivo del loro Battesimo, e non certo per un senso del dovere o per “aiutare il parroco”.

La comunità cristiana è, quindi, una comunità tutta sacerdotale: i cristiani, incorporati a Cristo nel Battesimo, sono partecipi dell’unzione sacerdotale con la quale Cristo fu consacrato dalla forza dello Spirito Santo. Il Vaticano II, nella Lumen Gentium, parla di sacerdozio dei fedeli (chiamato “sacerdozio comune”) perché comunicato a tutti i cristiani attraverso il Battesimo, e lo intende in senso reale, non simbolico. Con Gesù termina la concezione veterotestamentaria del sacerdote come mediatore tra Dio e il suo popolo. Gesù, morendo, ha squarciato “il velo del tempio da cima a fondo” (Mt 27,51), e tutti i discepoli di Gesù hanno accesso diretto a Dio. Tutti lo possono chiamare “abbà”, “papà”. Ecco perché il santo vescovo Giovanni Crisostomo, rivolgendosi ai fedeli di Costantinopoli, diceva loro: “Anche tu, anche tu sei stato fatto re, sacerdote e profeta nel fonte battesimale”.

Sempre la Messa è stata una celebrazione della comunità, anche se a volte è stato poco evidenziata: ‘Pregate fratelli e sorelle, perché il mio ed il vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre Onnipotente”. È chiaro, da queste parole, che il sacrificio posto sull’ altare dal sacerdote viene offerto in modo generale dalla famiglia tutta intera”.

Non c’è dubbio che l’assemblea liturgica domenicale resta il luogo dove la comunione che il Signore dona ai suoi figli appare nel modo più evidente. Una comunione di cui dobbiamo avere cura perché cresca. Ed i vescovi italiani sentono il dovere di sottolineare la dimensione ecclesiale della Messa: “Tutta la ricchezza dei ministeri e i diversi compiti dei ministri non dovranno far dimenticare che il vero soggetto della celebrazione è sempre l’assemblea dei fedeli……”. E aggiungono: “Un’attenzione particolare dovrà essere dedicata a quei fedeli che collaborano all’animazione e al servizio delle assemblee. Consapevoli di svolgere un ‘vero ministero liturgico’, è necessario che essi prestino la loro opera con competenza e con interiore adesione a ciò che fanno. Nell’esercizio del loro ministero essi sono ‘segni’ della presenza del Signore in mezzo al suo popolo” .

La frase di Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” trova nella Eucaristia domenicale la sua più alta espressione. Questo sta a dire che “il protagonista” delle nostre assemblee liturgiche è il Signore Gesù. E solo lui. È lui che convoca, che parla, che offre, che trasforma i nostri cuori e ci plasma come suo corpo. È lui che dobbiamo servire. Tutti coloro che sono radunati per la Celebrazione Eucaristica, nella povertà e nella indegnità di ciascuno, sono però trasformati nel Corpo di Cristo. È il mistero della grazia del Signore che ci trasforma in “pietre vive” per l’edificazione della sua Chiesa. Non sono i meriti di ciascuno di noi che, assommati l’uno accanto all’altro, fanno la Chiesa. È il Signore che raccoglie la nostra pochezza e la trasforma nel suo Corpo, rendendoci così partecipi della comunione con il Padre e lo Spirito Santo.

Nessuno, pertanto, è semplice spettatore. Tutti concelebrano. Grande rilievo assumono i dialoghi tra il sacerdote celebrante e l’assemblea dei fedeli e le acclamazioni. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra sacerdote e popolo, per l’offerta che fanno insieme al Signore: sono soprattutto l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera dei fedeli e la preghiera del Signore, cioè il Padre nostro”. Vi sono poi altre parti proprie dell’assemblea che nessun presidente o ministro o coro o cantore può “espropriare”. Esse vanno lasciate alla comunità celebrante, perché le svolga in prima persona, come segno chiaro della propria partecipazione: il Gloria, il salmo responsoriale, l’Alleluia, il Santo, l’acclamazione dell’anamnesi: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”, l’Agnello di Dio, il canto dopo la comunione.

La Liturgia Eucaristica della Domenica, per il carattere comunitario che la contraddistingue, e soprattutto per il mistero che celebra, richiede sia un particolare atteggiamento interiore che esteriore. Il vescovo del III secolo, Cipriano, scriveva così ai suoi fedeli: “Coloro che pregano… pensino di trovarsi alla presenza di Dio. Dobbiamo piacere agli occhi suoi anche nell’atteggiamento del corpo e nel tono della voce. Una persona senza educazione di solito grida; al contrario, una che sia discreta deve pregare con un tono basso di voce. Quando ci raduniamo insieme… dobbiamo evitare di disperdere le nostre preghiere con voci confuse e di rivolgere con tumultuosa loquacità le domande che dobbiamo elevare a Dio con umiltà”. E il teologo Origene (III secolo) aggiungeva: “Mi pare non sia fuori luogo, … trattare brevemente della disposizione e del contegno che deve avere chi prega: la disposizione va riferita all’anima, il contegno al corpo”.

I gesti (stare in piedi, inginocchiarsi, stare seduti, inchinarsi, battersi il petto, il segno della croce), durante la celebrazione liturgica, non sono una dimensione secondaria. Essi, manifestano l’atteggiamento del cuore, ma coinvolgono il nostro corpo. Così pure è determinate il clima di silenzio che deve circondare tutta la Liturgia Eucaristica. Mi riferisco anche ai necessari momenti di silenzio che debbono esserci durante la Messa. Soprattutto parlo di quel clima di silenzio dato dalla sospensione sia del rumore fisico che del rumore interiore. Ambedue questi rumori, originati dalle nostre distrazioni e dal nostro egocentrismo, non ci rendono attenti né al mistero di Dio né al rispetto degli altri, i quali hanno bisogno di un clima di raccoglimento. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, si va dal modo di entrare in chiesa senza fare attenzione al rumore dei propri passi, al chiacchiericcio del fondo, alla grossolanità del gesticolare, e così oltre. Tutto ciò richiede una sensibilità spirituale e una delicatezza nei confronti degli altri. Ripeto, si tratta di qualcosa da costruire. È ovvio che non saremo capaci di silenzio fisico se non apprenderemo il silenzio interiore; ma è anche vero che se saremo attenti al silenzio esteriore apprenderemo anche quello del cuore.

Cari amici, il discorso sull’assemblea che celebra, non è anche un discorso sulla sinodalità?

Papa Francesco, nel discorso rivolto il 18 settembre del 2021 ai fedeli della diocesi di Roma si è soffermato sul processo sinodale e ha sottolineato che “il tema della sinodalità non è il capitolo di un trattato di ecclesiologia, e tanto meno una moda, uno slogan o il nuovo termine da usare o strumentalizzare nei nostri incontri”. La sinodalità esprime “la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione”. In questo discorso Francesco pone anche una domanda: “I poveri, i mendicanti, i giovani tossicodipendenti, tutti questi che la società scarta, sono parte del Sinodo?. “Sì, non lo dico io – spiega il Pontefice – lo dice il Signore: sono parte della Chiesa”. “Al punto tale che se tu non li chiami – si vedrà il modo – o se non vai da loro per stare un po’ con loro, per sentire non cosa dicono ma cosa sentono, anche gli insulti che ti danno, non stai facendo bene il Sinodo. Il Sinodo è fino ai limiti, comprende tutti. Il Sinodo è anche fare spazio al dialogo sulle nostre miserie”.

Come si coniuga la sinodalità con il ministero gerarchico?

Papa Francesco ricorda che “il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”. “Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire”. Il cammino sinodale – sottolinea il Pontefice – inizia ascoltando il Popolo”. E prosegue “ascoltando i Pastori e “culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma”. “La sinodalità, afferma ancora Francesco, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico”. Che non è verticistico, ma piramidale al contrario.

Quali passi compiere insieme? “Come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?”.

Credo personalmente che camminare insieme al nostro popolo, nasca soprattutto dal celebrare insieme al nostro popolo, come celebrare insieme ci aiuta a dare corpo al nostro camminare insieme. È una visione di Chiesa, meno clericale, più fedele al Vaticano II.

Ripartiamo allora con il Cammino Sinodale. A cerchi concentrici partiamo, compatibilmente con il tempo che stiamo vivendo, dai nostri consigli pastorali per poi continuare come il Sinodo prevede andando incontro a tutti, vivendo la liturgia della Domenica come il volto bello della Chiesa Sinodale.

† Giuseppe, vescovo