Incontro con il presbiterio diocesano – 17 agosto 2016

17-08-2016

Intanto vi dico buongiorno e vi dico che sono molto felice di essere oggi qui in mezzo a voi, accanto a voi. Saluto il vescovo Michele De Rosa, saluto anche Mons. Antonio Franco, uno per uno vi saluto tutti e vi abbraccio tutti, credetemi vi abbraccio davvero.
Entrando in Chiesa, in cattedrale questa mattina, soprattutto salutando quelle persone che stavano fuori, ho avuto una sensazione stranissima: come se vi conoscessi da sempre. Credetemi, davvero così, come se vi conoscessi da sempre. Sarà perché in tutti questi giorni, in qualche modo, o tramite telefonate o tramite whatsapp o tramite sms, ci siamo comunque quasi tutti sentiti, però credetemi è una sensazione bellissima, e di questa sensazione ringrazio soprattutto il Signore perché vivo questo momento ma soprattutto questo incontro con voi, oggi e in questi giorni, come un dono di Dio per la mia vita.

Io tutto pensavo nella mia vita, tutto, tranne che un giorno qualcuno mi avrebbe chiesto di vivere questa esperienza, questo servizio, all’interno della chiesa. Credetemi: sono un prete felice, di tutto pensavo nella mia vita… E lì dove stavo vivendo il mio sacerdozio stavo benissimo, c’erano tantissime attenzioni che avevo in mente, nel cuore e che volevo realizzare soprattutto con i miei ragazzi, ma di colpo, è come se a un certo punto qualcuno fosse arrivato, ti ha preso, ti ha detto:
– “Lascia tutto, ora voglio che tu faccia questo”.
– “Ma io non ne sono capace, io mi sento inadeguato, non mi sento neanche degno di fare una cosa del genere…”.
– “Metti da parte tutto e seguimi, seguimi…”.
Questo è quello che sta accadendo nella mia vita. “Metti da parte tutto, lascia tutto e seguimi…”
E ho accettato, per lo stesso motivo per cui mi sono fatto prete… Mi sono fidato, mi fido, continuo a fidarmi perché sono certo che il Signore non mi abbandona. Il Signore è davvero il mio pastore, il mio vincastro, la mia sicurezza e anche se vado in una valle oscura non mi abbandona e sarà la mia guida: di questo ne sono certo.

Quando sono diventato prete, 28 anni fa, il giorno prima della mia ordinazione sacerdotale mi è stato consegnato un biglietto. Su questo biglietto c’era scritto così:

“Se scegli una vita
a servizio dell’uomo,
nel nome del vangelo,
fino a dare tutto te stesso,
non domandarti mai cos’è un prete,
lo inventerai strada facendo”.

La cosa più bella che ho vissuto in tutti questi anni è che non sono stato io ad inventare, ma il Signore ha inventato per me. Perché per me la cosa più importante nella vita non è quella di raggiungere Dio ma di lasciarsi raggiungere da Dio. Credo sia questo il senso della nostra vocazione: ogni giorno lasciarsi raggiungere da Dio; perché, voi me lo insegnate per quello che vivete, per la bellezza del vostro essere preti, non ci si fa preti una volta per sempre, ci si fa ogni giorno preti. Ogni giorno bisogna lasciarsi colmare, lasciarsi plasmare, lasciarsi riempire, lasciarsi raggiungere da quella che è la tenerezza del Signore.

Voglio riportarvi un episodio particolare che ho vissuto qualche anno fa nella mia vita anche per riprendere quel messaggio che ho inviato alla diocesi il 24 giugno scorso, quel “mio sogno…”, la chiesa dei miei sogni, che poi è la chiesa del vangelo, e so che è anche il vostro sogno, e non c’è cosa più bella che condividere questo sogno, perché il peso della nostra speranza è nella condivisione dei nostri sogni e mi piacerebbe che noi non rinunciassimo mai ai nostri sogni, nonostante le difficoltà, nonostante le paure, nonostante i possibili dubbi, nonostante anche le ferite che ci portiamo dentro, perché tutti ci portiamo dentro le ferite, però c’è sempre un sogno da vivere e quel sogno viene da un altrove, da dentro di noi, è il sogno di Dio nella nostra vita…
Io come presidente nazionale delle comunità terapeutiche sono stato spesso fuori, in giro per il mondo, anche nei paesi poveri: sono stato in Columbia, Honduras, Brasile a vivere esperienze forti, esperienze di povertà, davvero esperienze accanto alle persone che non riuscivano a trovare nessuna speranza nella vita. Non vi nascondo che sono state proprio queste persone, i ragazzi della mia comunità, a formarmi e ad aiutarmi a leggere il vangelo.

Ricordo una volta di essere stato a San Paolo del Brasile e sono andato a vivere qualche giorno un’esperienza forte in una casa famiglia, in periferia, che si chiama “casa della vita” e il sacerdote, per me una figura straordinaria, eccezionale, che viveva in questa casa famiglia e che si occupava dei bambini che vivevano in questa casa famiglia, si chiama don Giulio. Il cardinale Hummes, che è il cardinale che ha detto a Papa Francesco nel momento dell’elezione “non dimenticarti dei poveri”, aveva affidato a questo sacerdote la pastorale della strada… Lui mi ha invitato a vivere e capire, in quei giorni, come viveva concretamente il vangelo accanto agli ultimi, accanto ai poveri, soprattutto nell’esperienza della strada. Questa casa famiglia accoglieva bambini malati di AIDS, e capite bene che se sono bambini malati di AIDS vuol dire che sono già tutti bambini orfani. Pensate: l’ultimo bambino era stato portato qualche giorno prima che arrivassi io in quella casa, trovato da alcuni passanti nel bidone della spazzatura… Preso e portato lì, da don Giulio. E lui lavorava in questa casa famiglia in mezzo a tanti volontari e persone che gli davano una mano.
Un giorno stavamo a pranzo e accanto a me c’era seduta una bambina più grande di questa casa famiglia che aveva 14 anni, si chiamava Tania, e Tania mi stava raccontando la sua fatica, la difficoltà ad accettare quella malattia, anche perché quando aveva possibilità di uscire fuori, per strada, si vedeva sempre additata dagli altri e quindi sempre di più messa da parte, emarginata… Don Giulio soffriva tantissimo per questa cosa qui.

Quanto fa male l’emarginazione, quanto fa male mettere da parte le persone… quanta sofferenza nel nostro cuore e nel cuore degli altri.

E quindi io stavo prestando tutta la mia attenzione a quello che Tania mi stava raccontando. Accanto a Tania c’era un bambino che aveva 5 anni e mezzo, sei anni, che rispetto a tutti gli altri bambini era quello che fisicamente stava peggio degli altri e proprio per questo, come spesso accade anche nelle nostre famiglie, era quello più coccolato dai volontari. Quel giorno, però, quando io stavo prestando attenzione a Tania era come se in qualche modo questo bambino si fosse sentito messo in disparte e allora per attirare su di sé l’attenzione si rivolge in maniera scorbutica nei confronti di Tania. Don Giulio che stava dall’altra parte del tavolo ad un certo punto lo riprende, ma in una maniera molto bella, molto delicata, e dice al bambino: “Vito che figura ci fai fare? Chiedi subito scusa alla tua sorellina. E poi anche davanti a don Mimmo, che figura ci fai fare davanti a don Mimmo? Chiedi scusa anche a don Mimmo”. Ad un certo punto tu vedi questo bambino che si sforza con tutte le forze che aveva dentro, prova a salire sulla sedia e poi in qualche modo ad arrampicarsi su quel tavolo dove stavamo pranzando e a un certo punto con la mano va a cercare la mano di don Giulio. Don Giulio afferra quella mano e sente questo bambino che dice: “Scusa papà, non lo faccio più”. E don Giulio accarezza quel viso, asciuga quella mano e dice a quel bambino “Non ti preoccupare. Non è successo nulla”. Io mi sono fatto piccolo così, credetemi…

Questa è la chiesa che sogno, questa è la chiesa che amo, questa è la chiesa della tenerezza, della misericordia, questa è la chiesa che vive del vangelo e che fa del vangelo il senso del suo esistere. Una chiesa povera, serva, che ama, che non chiede nulla, non pretende nulla, che ama. Questa è la chiesa. E vorrei che questa fosse la chiesa che tutti noi siamo chiamati a costruire, a realizzare, a vivere partendo proprio dalle nostre ferite, dalle nostre fragilità.

Voi sapete molto bene che le fragilità non sono un ostacolo ma un’opportunità per amare di più il Signore, per servirlo, per riconoscerlo; per riconoscerlo proprio a partire da quelle ferite che noi ci portiamo dentro. Voi me lo insegnate: le ferite non sfigurano ma trasfigurano e sono feritoie che soltanto entrandoci dentro si riesce a vedere oltre. È questo che ci insegna la risurrezione. Ed è per questo che io sono appassionato di Gesù Cristo, sono innamorato di Lui, perché so che Lui è il senso della mia vita e senza di Lui non potrei vivere… Ma lo siete anche voi, per questo siete preti perché siete innamorati di Lui.

Allora l’augurio che vi faccio è che ogni giorno davvero vi lasciate raggiungervi dalla bellezza del Suo sguardo, perché è il Suo sguardo, il Suo volto che ci ha fatto innamorare.

E dentro di voi ci sia quel fuoco, quella passione per Lui, per il Suo regno, per il volto di ogni uomo, soprattutto dei poveri perché essi sono la nostra unica grande ricchezza. E senza paura di uscire fuori da quella chiesa e di sporcarci le mani, ma nel nome del vangelo. E così il vangelo diventerà la nostra forza, il vangelo sarà la nostra gioia.

E ci si rende conto che abbiamo bisogno gli uni degli altri: io ho bisogno di voi… io dovevo ancora imparare a fare il prete, io ho bisogno di voi. Ognuno di noi ha bisogno dell’altro perché soltanto insieme potremmo essere credibili, insieme….
Io credo nella comunione e nella fraternità sacerdotale, ne ho fatto il leit-motiv della mia vita, e ripeto, nella condivisione il senso e il peso della nostra speranza, della nostra speranza.

Allora crediamoci… lasciamoci raggiungere dalla bellezza del volto del Cristo, innamoriamoci ancora di più, ogni giorno… e anche davanti ai nostri sbagli, davanti ai nostri errori, perché tutti ne commettiamo, non tiriamoci indietro, fermiamoci, e impariamo a salvaguardare sempre l’incontro, all’altro…

Voi siete la mia forza, voi siete la mia certezza, voi siete il mio presente… io ho bisogno di voi, senza di voi non esisto, io ho bisogno di voi.
Allora coraggio…

Vi prego accoglietemi come un fratello, come un amico, come un padre, come un pastore. Voi siete già nel mio cuore.
E lo dico da subito: io verrò a cercarvi, non siete voi che dovete venire da me, vengo io da voi. Io verrò a cercarvi: verrò nelle vostre case, nelle vostre parrocchie, lì dove vivete la vostra vita, lì dove vivete la bellezza del vostro sacerdozio; verrò io da voi, perché è quello che ho fatto sempre in questi anni. Ma se per un motivo o l’altro non riuscirò a farlo subito sappiate che le porte, le mie porte, sono sempre aperte. E io sogno, per questo, una chiesa dalle porte aperte sempre, le mie sono sempre aperte. E voi siete la mia famiglia, voi siete i miei fratelli, voi siete, e io con voi, i miei preti.

Grazie per l’attenzione.