L’AMORE CHE CI FA VIVERE E CI SALVA – II lettera del Vescovo Mimmo per la Quaresima

04-03-2020

Chiara carissima,

scrivo pensando alla tua vita, alle domande e alle difficoltà con cui ogni giorno ti ritrovi a fare i conti e provo una grande emozione nel comunicare con te. Mi sento quasi in difficoltà ma parlerò ugualmente, credendo nelle parole della vita che nascono dentro e che nessuno potrà mai far tacere. Il tuo confronto con la realtà è duro, contraddittorio e spesso arrivi a dire: “non ci capisco più niente”.  È facile cedere alla rassegnazione, lasciarsi ingannare dalla delusione, dalla tristezza, dal senso di inadeguatezza che tante volte ci prende e ci fa anche sentire “sbagliati”. Ma non è così… tu non sei sbagliata. Tu non sei quel vuoto che senti dentro. Sento una grande tenerezza quando ti affidi al mio cuore di vescovo e mi sento padre perché non muoia in te la voglia di vivere.

“Ti arrabbi”, perché dentro sei vera. Il deserto da attraversare ti mette tanta paura. È la stessa paura che provo io. Perché quel deserto spesso è la solitudine, la malinconia, le angosce inevitabili, i sogni infranti, le speranze spezzate, i tanti perché senza risposta…

Chiara, la vita è sempre più grande dei nostri sbagli. Ma è importante che tu creda in te. Nella forza che c’è dentro di te. Allora anche il dolore potrà aprirsi alla speranza. È solo attraversando la notte, il buio, l’oscurità, che possiamo scorgere le stelle. E ritrovare la luce vera nella nostra vita. La vita ci chiederà di resistere nel buio, di non venir meno nelle prove, di continuare a credere in noi quando si fa il vuoto intorno, di non cedere quando tutto sembra crollare. Ed esigerà l’amore quando apparirà inutile, sprecato, quando sembra che trionfi solo la forza. Ma, ti prego… non rinunciare mai ad essere te stessa e a credere nella forza dell’amore. Non qualsiasi amore, Chiara, solo quello che è passato dalla morte alla vita, solo quello che ha conosciuto il buio e il disorientamento, lo smarrimento e la rottura, la prova, il fallimento, e ha rimesso insieme i pezzi come il respiro fa rialzare un corpo. Le nostre ferite hanno bisogno solo di questo amore. Ed è questo amore che ci salva e fa vivere.

Ti racconto un momento particolare vissuto diverso tempo fa nella mia Comunità:

La sala degli incontri scolpita di grigiore contro la luce del giorno carico di pioggia. Le voci sommesse dei miei ragazzi non facevano rumore; solo, qua e là, le file di sedie scavate e secche rompevano il silenzio. Lo scroscio improvviso della pioggia mi aveva distratto. E, in fondo alla fila di destra, con il capo chino, chiuso nella morsa delle proprie mani, i capelli scuri che le avvolgevano le spalle, la figura bieca di una giovane donna. Era lì, ma soffriva. Alzò lo sguardo. Riluttante lo abbassò. Poi, non l’alzo più. La stanza sembrava inghiottita in una quiete malinconica. Mi avvicinai e le chiesi: “Come stai, che hai?”. “Niente, niente!”, con repulsione, rispose. Insistetti e riproposi la stessa domanda, alla quale, inevitabilmente, ebbi la medesima risposta. Non mi scoraggiai e, credendo in lei, mi arrivò pungente il suo dolore. Mi trafisse, come sempre quando mi sento impotente di fronte alle pene della vita. Un chiarore scolpì il suo volto, facendo chiarezza nei suoi occhi, che, intanto, mi fissavano. Sentii la sedia trascinarsi sul pavimento duro e scivoloso dall’umidità. La condussi fuori, nello spazio antistante. Era lì, ferma, in piedi; Marta, così si chiamava, cercò istintivamente nei miei occhi qualcosa che l’aiutasse a parlare, ad aprirsi. Incalzai: “Dimmi, cosa ti succede, cosa ti è capitato?”. Marta si lasciò andare. “Grazie, è troppo bello quello che state facendo per me; vi ringrazio, ma io non merito niente!” Le sue parole scorrevano come un fiume in piena. “Non merito niente! Non riesco nemmeno a fare la doccia!”

Diventò più buio là e passandosi le mani tra i capelli, continuò:

“Troppe mani hanno toccato il mio corpo! Voglio farla finita, mi sento sporca. Nessuno potrà restituirmi ciò che ho perduto!” Quale amarezza e quanto dolore nelle sue parole! Avevano squarciato l’ululato del vento. E intanto camminavamo. “Nessuno può restituirmi il mio corpo”, Marta continuò. Poi chiuse gli occhi. Si vedeva che ogni suo movimento era racchiuso, rannicchiante come una conchiglia, la faceva star bene, si riparava da se stessa. Nulla avrebbe potuto farle del male. “Marta!”, la mia voce la scosse, “Guarda, guarda nell’acqua!”. Ai nostri piedi si era formata una pozzanghera d’acqua, una delle tante pozze che cerchiamo di evitare per non affondare il passo. “Guarda”, la sollecitai… “ti va di bere di quest’acqua?” E lei, con voce infastidita e quasi sprezzante “Noo! Perché dovrei farlo? E’ acqua sporca!”. “E’ sporca come la tua vita”, quasi le gridai con l’intento di scuoterla. “Mi stai offendendo, non hai capito niente… non hai capito niente di me!” Gridò selvaggiamente.

“Guarda meglio” – insistetti – “e in quest’acqua sporca, forse, scorgerai dell’altro!”. “Io vedo solo acqua sporca!” E mentre lo diceva si chinò; disperatamente i suoi occhi annaspavano di qua e di là. Sollevò le spalle, mentre io cercavo di scoprire in lei un barlume che mi facesse capire. Poi le dissi: “Non essere inquieta. Chiniamoci insieme, così vedremo meglio! Forse in quest’acqua stagnante c’è dell’altro”. “Oh! I miei occhi sono lì, riflessi! Ma non ne scorgo il colore.” “Guarda ancora, Marta, coraggio! Non stancarti!”, continuai. La fissavo. Il suo viso si apriva come l’arcobaleno. “Che bello!”, improvvisamente esclamò: “Quanto è bello!” scuotendo le nubi e regalando alla vita un debole sorriso. “Vedo riflesso il cielo… quel lembo di cielo che è lassù”, incalzò. Alzando lo sguardo e indicando il cielo con il dito, con la meraviglia di cui solo i bambini sono capaci. Così se ne rimase lì, con il cielo negli occhi riflessi nell’acqua. Le lacrime presero il sopravvento, scivolando fin sul collo del maglione rosso, sbiadito, mentre i singhiozzi smorzati le gorgogliavano in petto. Piangevo anch’io. Marta s’interruppe. Si sporse un po’ e mormorò qualcosa sottovoce. Poi, istintivamente, dignitosamente, si voltò verso di me e mi abbracciò. L’abbracciai. E tutti i ragazzi lì a coronare quel momento. Quanta liberazione in quel pezzo di cielo che lì, proprio nella pozzanghera, aveva compiuto il miracolo. La vita ci aveva restituito Marta!

Mi piacerebbe spiegarti esattamente le sensazioni vissute quel giorno. Solo le parole “Amore autentico” possono rendere l’idea. È passato un po’ di tempo da allora. Oggi Marta è moglie e madre, ed è felice.

Perché in ognuno di noi c’è un pezzo di cielo. È lì che si nasconde il senso e il segreto della nostra dignità. È lì che puoi trovare Dio. Quel pezzo di cielo è la luce nella nostra creta.

Chiara, ama la tua vita, i passi che hai fatto fino ad oggi… è questo amore fiducioso che libera, è l’amore senza misura che salva, è l’amore che crede nell’altro più che in se stesso, che pone un segno di vita.

Per questo benedico la tua vita tutta, il tuo passato e il tuo presente, le tue crisi e le tue speranze. Benedicila anche tu. Come io benedico le distanze che devo ancora percorrere, le stanchezze che mi porto dentro. Comprendo così che il Signore lo incontro proprio in esse e riveste di luce quei momenti.  È il buio dei dubbi e delle tribolazioni che ci conduce alla luce, è il buio di una crisi che ci riporta in noi stessi, che ci consegna alla vita. È il buio che sveglia e prepara all’attesa, è il buio che permette di vedere spiragli di luce.

La trasfigurazione non è altro che una feritoia che ci dona coraggio, ci fa capire che c’è la luce della resurrezione. È da questa luce che dobbiamo ripartire.

Chiara carissima, le ferite non sfigurano, ma trasfigurano. E diventano feritoie, perciò luminose. Proprio attraverso quelle ferite che ci parevano colpi duri o insensati della vita, diventiamo capaci di comprendere altri, di venire in aiuto ad altri, nell’attraversare le stesse tempeste. La debolezza non è un ostacolo, ma una risorsa, non è più un limite, ma si trasfigura in opportunità.

Nessuno può arrivare a capire la Pasqua se non “scende”. Il significato della vita non è nella fuga dalla realtà, ma nel fondo della realtà. Nessuno può dire di ascoltare il Figlio se non prende sul serio ciò che in questo momento sta vivendo, la sua nuda realtà. Per entrare nella divinità di Cristo bisogna passare attraverso la Sua umanità. È l’umano la via che ci conduce a Dio.  È solo così che dal buio si passa alla luce. È attraverso il buio della nostra debolezza che giungiamo alla luce di saperci amati e salvi. Alcuni istanti della nostra vita sono delle vere e proprie trasfigurazioni. Esse sono lì non per farci vivere di rimpianti ma per indicarci come affrontare le oscurità. Allora diventa essenziale saper riconoscere o ricordare le trasfigurazioni che Dio ci ha donato nella nostra vita. Dura poco quel bagliore ma quello squarcio di luce diventa importante. Perché sostiene il cammino. Il cammino dei giorni bui, che non sono pochi. Amare significa essere vulnerabili, ma la vulnerabilità è luce. E l’amore fa sempre il primo passo, l’amore dona fino in fondo e fino alla fine. Cerchiamo il Signore fuori dalle nostre crisi mentre lui è là che ci rende possibile il cammino. Cerchiamo il senso della nostra vita nel più alto dei cieli, mentre il cielo sta proprio qui. Nell’andare fino in fondo. E il vento della vita ci sorprende. E ti accorgi di una strada che non sapevi, quella che va “oltre”, quella che si può dire con un sorriso, con una carezza. E vedi che l’infinito è qui, in quello che rinasce. L’infinito è qui, ed è bello, perché puoi vederlo, ha i tratti del concreto. Ti chiama e ti vuole libera, libera di amare e basta. Oltre i tuoi schemi e le tue attese. Soprattutto ti aspetta. Senza nessuna catena, senza nessuna sicurezza, senza paure ma solo restando, faccia a faccia. Faccia a faccia con la vita vera.

Chiara, c’è una luce dentro la nostra creta. La luce di Dio è forza e bellezza. Dio ha un cuore di luce. E gronda di luce ogni volto di uomo. Lasciati illuminare dal mistero di Dio, dalla luce che abita in te. E anche tu sarai trasfigurata. Tu rimani come sei, ma il tuo volto è come preso dalla luce che hai dentro. E ti svela. E appari in tutta la tua luminosità. Libera la luce che hai dentro. E ogni cosa è illuminata. Questo è il presente del tuo futuro. Ti voglio bene, Chiara…

† don Mimmo, tuo Vescovo