Festa delle Sacre Spine – Ariano Irpino

13-08-2021

Care sorelle e fratelli sono molto contento di essere qui a celebrare con voi e per voi questa Santa Eucarestia in questo giorno di Festa qui ad Ariano Irpino, che ringrazia il Signore per il dono ricevuto di un segno del suo amore per questa terra, le Sacre Spine della corona di spine con la quale fu incoronato il Signore Gesù durante la sua passione. Ringrazio il caro don Sergio, Mons. Melillo per l’invito che mi ha fatto, saluto le autorità civili e militari qui presenti, saluto i sacerdoti, i diaconi, le religiose.

Venerare le Sacre Spine è onorare la Passione del Signore e meditare la via dolorosa del calvario. La storia delle spine è nota.

Le Sacre Spine, nel 1269, furono donate al Vescovo di Ariano, quale rappresentante della città, dal Re Carlo D’Angiò dopo la battaglia di Benevento contro Manfredi e la conquista del Regno. Fu in quella occasione che il Re come segno di riconoscenza alla città, per la fedeltà mostrata nei confronti del papato, donò 2 spine della corona di Cristo.

Sin da subito il popolo arianese ha mostrato una profonda devozione per le reliquie e lo testimonia il prezioso reliquiario d’argento, in parte quattrocentesco che le custodisce. Risalgono già al medioevo le processioni penitenziali che dalle contrade e specie dal santuario di S. Liberatore, “con il capo coperto da corone di edera e di biancospino, in tempo di calamità, di prolungata siccità o di abbondanti piogge, giungevano in cattedrale, dove erano esposte le S. Spine, invocando la pioggia ristoratrice o il sole benefico.

Le sacre spine sono sempre state un tesoro prezioso, ambito e desiderato da molti. Il Vescovo di Ariano, l’agostiniano Fra Luigi Morales nel 1660 rispose al viceré conte di Pignorando di non poter accogliere la richiesta del dono di una spina perché il popolo è “assai geloso di questo sacro tesoro e avrebbe potuto creare tumulti”.

Un antico sonetto dice: Spina pungente ca pungisti lu miu Signore Pungimi stu core E pirdona lu piccatore.

Inchiniamo allora insieme il nostro capo davanti a queste sacre reliquie, poste sul capo di Colui che “pur  essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini”. Il primo invito che ci viene allora da queste sacre spine è l’invito all’umiltà. Essere umili. La corona di spine infatti posta sul capo di Gesù fu un gesto di mortificazione e di disprezzo. La corona si pone sul capo di chi è re. Gesù lo era, ma non come i re di questo mondo e quello che voleva essere un segno di disprezzo diventa invece un segno della grandezza di Gesù che ci dice che la via per arrivare a Dio non è quella della vittoria sui nemici, dell’imporre se stessi, della eliminazione di chi ci ostacola, ma è quella dell’amore gratuito, quella della scelta difficile ma possibile a tutti di non ricambiare il male con il male, della scelta difficile ma possibile a tutti di confidare in Dio fino alla fine. Come è difficile confidare in Dio fino alla fine quando il male sembra prevalere sulla propria vita. “Dio mio…” dirà Gesù sulla croce citando il salmo 21. Il salmo continua dicendo: “Si è affidato al Signore, Lui lo scampi; lo liberi se è suo amico”. Si è affidato al Signore, lui lo scampi.

Durante la pandemia la fede di tanti ha vacillato. Qualcuno si è chiesto: Ma dove è Dio, dove sta Gesù, visto che abbiamo tanti problemi e tanti soffrono con questa pandemia? Molti di noi hanno avuto persone care che non ci sono più. Tanti non hanno potuto stare vicino alle persone che amavano, che quindi si sono sentite sole, e loro erano soli perché non potevano stargli vicino. Qualcuno addirittura ha pensato: a Dio non gli interessa nulla della nostra vita. Altri hanno pensato invece che la colpa era nostra, perché ce lo siamo meritato, pensando quindi che il Signore ci stesse punendo per i troppi peccati. Le spine della vita non solo fanno male, ma portano a dubitare dell’amore di Dio. “Si è affidato al Signore, Lui lo scampi; lo liberi se è suo amico”. Ma Gesù non è mai stato lontano. Come non fuggì davanti al male ed alla violenza che aveva aggredito la sua vita, come non fuggì davanti alla corona di spine, così non si è tenuto lontano dalla violenza della pandemia che ha aggredito la nostra vita. “Apparso in forma umana, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”: di questo ci parlano le Sacre Spine. Gesù sceglie di salvare noi e non di salvare sé stesso. C’era lui vicino agli anziani soli che non potevano incontrare nessuno; c’era lui vicino ai malati lasciati senza la consolazione di una parola buona; c’era lui nelle case dove il bisogno si è affacciato in modo prepotente. C’era Lui perché non c’è spina che possa tenere il Signore lontano dalla nostra vita. Nel vocabolario di Dio la parola spina sta non solo per dolore, ma sta soprattutto per amore.

Care sorelle e fratelli, davanti al dolore, il Vangelo di Gesù ci dice: Non abbiate paura! Dice Gesù: “chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre…” e poi ancora Gesù dice teneramente: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Gesù è la radice della nostra gioia, perché sappiamo che non ci abbandona e non abbandona il mondo. In questo mondo così fragile allora viviamo uniti: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Viviamo uniti in lui, perché il mondo creda al Vangelo, perché vengano scacciati i demoni della paura, dello smarrimento, della indifferenza, della rassegnazione, perché vengano figli di un futuro fraterno, perché arrivi la pace a tutti. L’unità nell’amore riempie i vuoti creati dalla pandemia. Ognuno di noi viva da artigiano di pace e fraternità.

Per la città di Ariano e per la Diocesi intera è un onore grande custodire le preziose reliquie. È in esse e attraverso di esse che siamo chiamati a scorgere il volto sofferente del Cristo, l’“Ecce Homo”, l’incarnazione dell’amore di Dio per l’uomo. Quanta mortificazione, quante offese il Signore Gesù dovette subire da quei soldati che lo schiaffeggiavano e si prendevano gioco di lui mettendogli una corona di spine e un manto di porpora. Era davvero quello il re dei Giudei? Quell’uomo inerme di cui loro potevano fare ciò che volevano? Ma Dio non è onnipotente? Come può essere deriso, torturato e messo a morte? Il male allora è più forte? Pilato diede una possibilità ai Giudei di liberare Gesù. Pilato non aveva trovato in Lui alcuna colpa e sperava che il popolo si accontentasse della punizione. Mise davanti a loro un uomo battuto e umiliato, sanguinante, con la corona di spine e il manto di porpora e disse: «Ecce homo!», Ecco l’uomo.

Ecce homo, disse Pilato alle folle presentando Gesù. Sì, fratelli e sorelle, Ecce homo, ecco l’uomo di cui c’è bisogno in questo tempo smarrito e confuso. C’è bisogno di questo uomo mite, fraterno, pacifico, solidale con i peccatori, forte della fiducia in Dio; che non giudica ma che guarda il mondo con amore e lotta per un mondo migliore, liberato dalla dispersione e dall’egoismo. Ecco l’uomo e la donna che siamo chiamati ad essere. Troppi considerano la pandemia come una parentesi, dopo cui tornare a prima. Il segno della pandemia ha svelato che, nel mondo globale, non si vive soli, ma da fratelli. La gente costruisce muri per proteggersi, che non servono a niente.

L’uomo con la corona di spine ci chiede di vivere la costruzione della fraternità a tutti i livelli. Per creare il futuro, non si può essere soli. Lo mostrano gli anziani, i bambini e tanti giovani spaesati. Lo mostrano le malattie psichiche dopo la pandemia. Solo da fratelli, si può affrontare la vita. Bisogna popolare il mondo globale di fraternità. Tutte le terre hanno bisogno del seme della fraternità, da cui cresce l’albero che protegge i deboli, accoglie i migranti, fa vivere sereni in pace. Bisogna riempire il mondo di alberi di fraternità, sotto cui trovare riparo. Siamo chiamati a vivere un cristianesimo affettivo. Questa è l’eredità dei mesi di pandemia: un cristianesimo che si fa affetto per le persone, vissuto come cura, partecipazione, rapporto personale, senso caldo di responsabilità. Mi sembra una via per la nostra Chiesa. Per tutte le Comunità. Ognuna è chiamato a rendere il mondo in cui vive una fraternità. La Chiesa è seme di fraternità. Le Sacre Spine sono seme di fraternità.

Ariano allora è un luogo benedetto e sacro, non solo per l’Eucarestia e per la Parola di Dio che ogni giorno viene proclamata e donata, ma perché custodisce le reliquie di un amore infinito. Che questo amore cresca nei nostri cuori, che le sacre spine pungano il nostro cuore e la nostra vita così come fu per il capo di Gesù e ci donino di amare con coraggio e senza paura, di costruire insieme il Regno di Dio.

Il vescovo Sergio, Mons. Melillo, nella sua preghiera alle Sacre spine dice: “Allevia le spine che confliggono il nostro cuore di pastori e di fedeli, degli ammalati, degli anziani, delle famiglie, dei giovani; facci carità per lenire le piaghe altrui.”

Cari amici, Gesù era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Sì, noi che abbiamo accolto Gesù nella nostra vita come la vera luce che illumina ogni uomo, abbiamo compreso chi era Gesù e soprattutto abbiamo compreso che egli ci ha amato talmente tanto da sopportare tutta quella sofferenza e quelle ingiurie per poi prendere la croce e morire al nostro posto. Viviamo questo amore, ogni giorno, qui e dove il Signore ci farà vivere.

+ Giuseppe, vescovo